Verso il fondo

14 Gennaio 2012
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2 minuti di lettura

E’ strano sentirsi ogni giorno come sul punto di scoppiare, aspettarsi che da un momento all’altro arrivi una crisi di pianto per perdere il controllo e distruggere la prima cosa che sia a portata di mano.

E’ strano notare che alla fine di ogni giornata, nonostante un persistente senso di vuoto, non succeda mai niente, che non arrivi mai a dare di matto e confidarmi con un amico rivelandogli tra le lacrime le ragioni del tormento.

Ogni giorno inizia allo stesso modo: apro gli occhi, Zoe passa a salutarmi, poi arriva Nemo con le sue testate, ed io penso a lei; qualche istante dopo la rabbia per ciò che nella vita obbedisce alle crudeli regole dei sentimenti: l’altro, colui che riceve gli sguardi, le carezze, i baci che un tempo erano riservati a me.

Impossibile restare inerte, ho bisogno di alzarmi dal letto perché sono stanco delle emozioni pesanti, di quelle che ti fanno fissare il soffitto che lentamente si abbassa svelando la tua impotenza. Ho bisogno di riempire il vuoto che mi accompagna, accettarlo ed integrarlo giorno dopo giorno come se fosse la prima volta, perchè quel vuoto non va via, perchè qualsiasi uomo ha bisogno nella sua vita di un compagno da amare.

Non comprendo le ragioni della mia apatia, essa è davvero imperscrutabile perchè contraria a quello che in passato ha nutrito i miei sogni: la dolce musica, le misteriose energie del cuore, l’affetto per gli amici e la capacità di mettersi a nudo con chi amo, tutto smarrito nel turbine di una misera quotidianità contaminata dal senso del disastro. Nessuna reazione utile, nessuna voglia di venirne fuori perchè il fondo di questo pozzo non riesco a raggiungerlo, e non arrivando ad una superficie stabile non ho modo di risalire.

In passato ho creduto che ogni stato emotivo umano avesse un limite, un punto oltre il quale, nel bene o nel male, si cominciasse a tornare indietro: nessuna gioia quindi che potesse durare per sempre, e così nessun dolore, perchè per quanto potessi toccare il cielo con un dito così come il fondo di un pozzo stretto ed umido, non ci sarebbe stato altro, e per via delle leggi del movimento perpetuo ogni breve gioia come qualsiasi esperienza dolorosa sarebbero presto o tardi mutate nella più costante condizione della serenità d’animo, punto d’equilibrio che molte volte nella vita sono riuscito a raggiungere e mantenere.

Non so se per il disfattismo di un genitore critico o per la mancanza di un amico a cui poter dire davvero tutto quanto, ma ho la sensazione di essere rinchiuso all’interno di me stesso in un posto talmente lontano dall’aria che respiro, da non sentire altro che il battere ritmico del mio cuore, unico indizio della mia esistenza

Probabilmente questo post vedrà la luce quando tutto sarà finito, per il momento lo affido agli scritti privati di questo sistema informatico. Non posso fare a meno di pensare al tempo in cui pubblicavo senza vergogna qualsiasi cosa mi venisse in mente, per arrivare oggi a temere il giudizio altrui: non ho mai negato ai miei lettori la reale natura di quest’anima tuttavia è talmente fragile la creatura rinchiusa dentro me che assecondo naturalmente il suo bisogno di non essere sotto gli occhi di tutti, e l’accontento, fino a quando non mi dirà che va tutto bene, che ciò che è stato può anche essere rivelato.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

2 Comments Leave a Reply

  1. Come ti capisco. L’aria attorno è irrespirabile. E’ tutto così vivo, tutto in movimento, solo noi restiamo letteralmente spezzati, bloccati, immobili nel bel mezzo del ciclone, incapaci di muovere un solo muscolo, un solo pensiero che non riguardi il perchè della nostra situazione. Cresce l’insofferenza, perfino sentire la musica o crearla diventa impossibile; oppure vedere gli altri che si muovono e interagiscono e magari hanno quello che noi non possiamo avere, la felicità, il ritorno dell’amato pentito, o quelli per la maggior parte infelici, nei quali non riusciamo ad immedesimarci, perchè ormai prigionieri nel nostro dolore assordante, verso un fondale alienante. Anche loro fanno crescere il nervoso.
    Nel nostro io sentiamo solo arida desolazione. Come un vento secco e caldo che entra nelle nostre gole, nella nostra anima e prosciuga tutto. E’ così ingiusto, è così triste e insensato da disinvogliarci a fare qualsiasi passo verso la minima direzione. Perchè il solo esistere ci sembra una condanna, una tortura senza tregua. Nessun desiderio nemmeno di arrabbiarsi, perchè anche se lo facessimo la realtà non cambierebbe e né sarebbe tanto meno meno avvilente. Così permaniamo immobili in questa condizione chissà ancora per quanto tempo.. Il Tempo.. “Se solo esistesse un Tempo…”.

    • Cra Joker, hai dipinto in maniera fedele e senza sconti quello che si prova in questi momenti, spesso mi chiedo se la precisa consapevolezza di quello che si provi non contribuisca ad allungare quel tempo anzichè accorciarlo, perchè in fondo quanto ti bruci ritiri la mano, non stai lì a pensare che tenerla ancora sopra il fuoco porterà al lento consumarsi di pelle, muscoli, ossa… non so se crederci, è solo una riflessione estemporanea sollecitata dalle belle parole che hai scritto.
      Un abbraccio

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