Passava da poco la mezzanotte e mia moglie Giuliana sentiva qualcosa nel suo corpo che stava trasmettendogli un qualche tipo di messaggio: era forse la creaturina dentro che scalpitava perché non gradiva di stare troppo stretto nella sua casetta, o stava innescandosi quel misterioso meccanismo che da lì a breve, volente o nolente, avrebbe accompagnato nostro figlio nel suo nuovo mondo? L’ostetrica Carlotta (una quantomai singolare figura che ci ha offerto la presa in carico più esilarante della nostra storia) ci ha informato a questo proposito che sono ancora sconosciuti ed incerti i motivi per i quali, ad un tratto, inizia quel faticoso lavoro che è il travaglio: termine che mi evoca all’istante lo spagnolo trabaho ed il più confidenziale travagghiu e che traduce solo parzialmente l’entità dello sforzo cui è chiamata ogni donna che decide o si ritrova a portare in grembo un figlio. Divagazioni a parte, la simpatica ostetrica ha aggiunto che molto probabilmente, la scintilla che accende la miccia è di origine psicologica e trova la sua giustificazione nell’evoluzione della nostra specie: solo quando la madre sente che il proprio nido è confortevole e che non vi è alcun pericolo esterno, scatena la risposta del corpo. Ed in effetti, giusto due giorni prima avevo finito di montare i mobili della cameretta di Corrado, mettendo così la parola fine (o almeno di “fine primo tempo”) alla nostra odissea di trasloco iniziata lo scorso anno a Natale e che, se non fosse stato per Ikea ed un amico ciappinaro super disponibile, ci avrebbe visti probabilmente accampati come adolescenti hyppie e tanti saluti al travagghiu. Ad ogni modo, assecondando la tesi del “nido” perfetto che per il suo squisito profumo darwiniano mi convince parecchio, il cervello di Giuliana avrebbe comunicato in qualche modo ad una del suo corpo designata allo scopo che il momento era arrivato, benché i nostri calcoli lo avessero fissato al 13 Febbraio.
Da principio pensavo che la moglie lamentasse le classiche contrazioni di Braxton Hicks, che per la letteratura medica sono un modo per il corpo di prepararsi al travagghiu, ma Giuliana non ne era convinta, benché fosse stata lei quella arcisicura che il bimbo sarebbe nato a termine, perché c’era la luna piena ed anche perché se lo sentiva. Tuttavia ho imparato che se c’è una cosa che appartiene a mia moglie, beh… è quella di non crearsi alcun problema nel cambiare idea repentinamente, sconvolgendo i pensieri di chi (come me) fa pieno affidamento sulle sue profezie. Fermo restando che non c’è arroganza più grande per un marito o compagno del credere che certi eventi seguano delle regole rigide prestabilite e che le sensazioni della tua compagna siano da sottovalutare. Così come quando mi dirigo nel terzo sportello a sinistra della cucina, convinto di trovare lo zucchero, quando la moglie lo ha spostato in quello in basso, così dovevo accettare che non contava quello che era stato detto o quello che avevo letto sull’argomento, se la moglie riconosceva che quelle contrazioni non c’entravano nulla con Braxton, dovevo resettare tutto e cercare lo zucchero da un’altra parte… e dire che mi ero solo alzato per fare un goccio e volevo solo tornarmene a letto, sigh.

Naturalmente non potevamo andarcene senza che la mamma scrivesse all’altro figlio, che ancora dormiva, una letterina: sulle cose emotive la mamma la sa sempre più lunga. Erano le 5 del mattino, fuori di casa l’aria era fresca, direi ghiacciata, il cielo sgombro dalle nuvole: mi dirigo velocemente verso la macchina con i bagagli che per fortuna erano già pronti da 2 mesi. Sapevo di dover fare tutto con calma, senza fretta, perché l’agitazione è nemica di quella roba psicologica che fa partire “u travagghiu” visto che, come piace a Darwin, se la donna non si sente tranquilla, si ferma tutto. Così ho avviato il motore, installato l’ingannatore di cintura dal lato di giuliana (per non irritare la moglie con quei maledetti beep beep), fatto partire Harvest che è l’album “ro travagghiu” insieme a Dark Side, e via a passo di lumaca verso l’ospedale. C’era molta calma per strada ed una magia nell’aria che conoscevo bene… eravamo tutti e due felici, sapevamo bene cosa stava succedendo.
Una volta al pronto soccorso abbiamo spiegato al triage il fatto che c’erano contrazioni, che non eravamo a termine… ok, due cose precise, con le donne in gravidanza non fanno tante storie, ti mandano subito in reparto. Ci avviamo, piano piano, un passo alla volta. In reparto ci accolgono con un sorriso, non si sente un fiato: quelle che ci sono hanno già partorito. Ci fanno accomodare in una stanza dove fanno il famoso tracciato, non c’è un’anima e la cosa ci piace tantissimo, non c’è il caos che avevamo trovato a Ragusa con le infermiere maleducate e scontrose, insomma non era il tipico ospedale siciliano disorganizzato. Comunque va detto che il reparto nascite di Imola è notoriamente apprezzato.
“Ancora è presto, le contrazioni sono irregolari e sebbene l’utero si stia preparando, non è ancora pronto… tornate a casa e tornate quando….” … beh, saremmo dovuti tornare quando il corpo della moglie avrebbe comunicato con più decisione i suo intenti. Secondo le ostetriche sarebbe potuto accadere dopo qualche ora, come anche farsi risentire la settimana dopo. Poteva accadere quindi che quei dolori cessassero nel giro di qualche ora per poi ripresentarsi a distanza di tempo, magari il 13 febbraio, oppure che si sarebbero intensificati da lì a breve. Tra l’altro la moglie aveva cercato su Internet quella storia strana dell’influenza lunare: era Gibbosa crescente ed il web parlava di dilatazione lenta, parti con induzione, insomma una faticaccia, diverso invece se fosse nato con la Luna Piena che era appunto il 13 Febbraio: anche se non potevo darlo a vedere, mi preoccupava un po’ che la moglie patisse più del dovuto ed avrei voluto ritrovarmi com’era stato per Corrado in quel beato stato mentale magico dove non c’era nulla che poteva andare storto perché con noi era diverso, con noi era speciale e magico. Purtroppo, in quel momento (come da un po’ di tempo a questa parte) ero solo un terricolo con 1000 paure e l’ansia di dover fare la parte di quello tranquillo, perché sennò la moglie sarebbe andata in allarme e “u travagghiu” non sarebbe partito.
Usciamo quindi dall’ospedale per tornare a casa, passando per la strada dei Cappuccini che è piena di avvallamenti e buche che fanno squittire la moglie. Erano circa le 8 del mattino, un sabato del villaggio come tanti “ma… una capatina alle Terrazze per la colazione la facciamo”, domandavo. “No, torniamo a casa, non è mica finita”, ribatté decisa la moglie. Una volta a casa, Giuliana ripesca la letterina che aveva scritto per Corrado e la mette da parte, visto che il figlio ronfava ancora beatamente sotto le coperte, infine si butta sul divano cercando un po’ di quiete e relax: le contrazioni di Braxton, dicono, si placano quando ci si rilassa… se rimani in tensione è peggio.
Nella persistente illusione di capirne più della moglie, ho creduto che l’evento doloroso si sarebbe esaurito presto e che, giusto il tempo di una buona colazione, saremmo andati a Bologna come da programma a prendere una bella sedia per la scrivania di Corrado e mangiare un panino salutare da Hello Kitty. La moglie però continuava a lamentarsi, se ne stava lì sul mega divano e non voleva saperne di muoversi. Io cercavo di tranquillizzarla nella mia convinzione che Semino avrebbe impiegato non meno di 5 giorni per venire fuori.
Per permettergli di cercare quella serenità che avrebbe placato Braxton Hicks decido di andare con Pippi al mercato dei Cappuccini, promettendogli che questa volta non sarebbe uscito a mani vuote come le altre ottocentoquarantasette: mi rendo conto che sono ancora nel mood “trasloco-mobili-casa nuova” e mi riesce davvero difficile uscirne perchè in qualche modo la moglie mi trasferisce sempre questa sensazione che il suo nido sia ancora incompleto e che un vero uccello del paradiso avrebbe fatto molto di più per la sua compagna. Qualcuno dice che le donne in cinta sono una vera rottura di *****, ma io credo che la gente si sbagli, in realtà il problema è molto più ampio ed interessa ambiti che superano abbondantemente le situazioni in cui ciascuno possa ritrovarsi in un momento da rottura di ******** … ho riletto un paio di volte questa ultima parte dopo averla scritta senza più capire cosa intendessi, in questi casi normalmente cancello e vado avanti, ma sento di doverla tenere, magari a rileggerla tra qualche anno mi mi si sbloccherà un super potere.
Facciamo il nostro giro con Pippi e torniamo a casa con un bel po’ di libri sotto braccio, uno sul sistema solare (la fissa di Pippi di quest’ultimo periodo) ed un altro sui Pinguini. La moglie è ancora sul divano, sempre dolorante: rinuncio definitivamente all’idea di fare una passeggiata a Bologna.
Alle 17 circa propongo di andare a fare una passeggiata: se si trattava di vere contrazioni, starsene sdraiati non fa altro che allungare i tempi, al contrario bisogna camminare. La moglie accetta ed iniziamo a prepararci. Una volta sulla porta capisco che qualcosa è cambiato, forse è meglio andare in ospedale, almeno per tranquillizzare la futura mamma che proprio non ce la fa a riconoscere che si tratti solo di contrazioni di Braxton e che il parto sarebbe stato dopo 5 giorni (naturalmente, mentre scrivo non posso far altro che provare un profondo senso di vergogna per aver anche solo provato a pensare cosa sentisse dentro anche se, è giusto riconoscermelo, ad ogni stupida congettura seguiva comunque un “ma se ritieni di dover andare in ospedale, andiamo e basta!!”).
Indossiamo giubbotti e sciarpe e ci dirigiamo verso la porta… Corrado viene incontro alla sua mamma e sussurra qualcosa in direzione del suo fratellino: se vuoi puoi nascere, o domani o sabato (e cioè oggi).
Arriviamo in ospedale, passiamo dal pronto soccorso: solita pappardella sulle contrazioni e bla bla… ci fanno accomodare in reparto. Preparano il tracciato… le contrazioni sono ancora irregolari e nella mia testa provo un po’ di soddisfazione: ecco vedi moglie, lo sapevo che era Braxton. Gli fanno nuovamente la visita e questa volta l’ostetrica non gli fa neppure male a rovistare dentro il suo utero. Poi arriva l’imprevisto: la dilatazione è di 3cm, possiamo ricoverarti. A quel punto io e Braxton ce ne andiamo a quel paese. Mi chiedo quale poteva essere stata la famigerata scintilla che aveva fatto partire il “travagghiu”, se erano bastate quelle paroline sussurrate da Pippi o era semplicemente Semino aveva deciso di venir fuori battendo 10 volte di qua e 10 di là e toccando poi il pulsante rosso davanti alla sua faccia.
Carlotta ci spiegava che la scienza medica ha capito tante cose su come funziona il corpo di una donna in stato interessante, ma una cosa è ancora ignota, ed è la ragione per la quale d’un tratto inizia u “travagghiu”. Sappiamo della sindrome del nido perfetto, un retaggio evolutivo che condividiamo con tutti i mammiferi e che permette al neonato di non nascere in condizioni di pericolo, e di tutta quella roba chimica che genera le contrazioni… ma il come tutto questo inizi, quello non si sa, e mentre ascoltavo questa cosa troppo interessante pensavo che è un po’ la stessa cosa quando ti innamori: sai che il batticuore ti viene perché hai l’adrenalina che poi è la stessa che ti genera inappetenza, ma non sai cosa c’è ancora sopra, insomma, quello che scatena tutta quella roba… conosci quello che c’è sotto il cofano ma sconosci chi sta premendo l’acceleratore.
Io mi dilungo ma la storia continua, ed il bello deve ancora arrivare. Alle 18.0o circa siamo in stanza ed io inizio a mettere un po’ di musica da “travagghiu”. Entra la stessa ostetrica che aveva poco prima ravanato nella vagina della moglie e si informa gentilmente come va… a Giuliana non fa immediatamente simpatia, ma credo dipenda da quelle cose che ogni 3 minuti la costringono a mettersi a quattro zampe sul letto. In realtà Asia si rivela una persona deliziosa, le parla sempre con dolcezza ed anche se il suo turno era finito da un po’, continuava a seguire Giuliana fino a proporle di andare in vasca, che quello era probabilmente il momento giusto.
La sala travaglio era un po’ fredda, c’era penombra ed il vento sbatteva sui vetri delle finestre: fuori si preannunciava davvero una nottataccia. La vasca in fondo alla stanza promanava un fantastico odore di lavanda ed in genere l’atmosfera era molto rilassante e pacata. Dopo aver riempito la vasca, la moglie si è spogliata e si è subito buttata dentro: ahhhhhhh, ha esclamato con gioia e liberazione. Ed io ho pensato: ma guarda un po’, bastava un po’ d’acqua calda per togliere il dolore, Edoardo sarebbe nato in una dolce atmosfera romantica fatta di lavanda e Pink Floyd… ancora una volta un pensiero stupido per nulla realistico. Dopo una decina di minuti la moglie manifestava maggiore irrequietezza. Asia era ancora con noi, mi spiegava come dargli un po’ di sollievo: un massaggio di qua, buttarle un po’ d’acqua calda di là etc etc… ma la moglie io la conosco, sapevo che a breve tutte quelle cose non sarebbero servite a nulla. Stava arrivando una cosa più seria e probabilmente era stata proprio quella vasca ad accelerare il processo, o forse a rallentarlo… boh! La moglie grida a gran voce di voler uscire dalla vasca, non riesce più a trattenere la preoccupazione e l’ansia. Io so bene perché si sente così, ricorda il primo parto, ricorda il crac del suo coccige e le stupidaggini che diceva l’ostetrico… ha paura del dolore o forse ha più paura di non riuscire a farcela, di non essere brava, che dovranno ancora metterle la mascherina… sono sicuro che avrà pensato: ma perché mai ho rinunciato all’epidurale? Come ho potuto credere che sarei stata in grado.
In poco tempo ci siamo ritrovati circondati da tante bravissime ragazze, ed ognuna di loro era in grado con le parole ed il tono di voce di normalizzare una situazione che sembrava precipitare da un momento all’altro (almeno, con me ci sono riuscite). Probabilmente è il protocollo stabilito da chi governa il reparto nascite dell’Ospedale di Imola e si terranno anche dei corsi con nozioni di psicologia per le ostetriche, difficile credere che possa essere stato il super caso specialissimo della famiglia Randone/Biondo a scatenare un’empatia straordinaria in tutto lo staff. A capo di tutto il team sembrava esserci Giulia, una ragazza coi capelli biondi raccolti dietro ed un viso dolce ma allo stesso tempo sicuro che non aveva superato la quarantina e che sembrava essere super sicuro del fatto suo. Giuliana l’ha adorata da subito. Di tanto in tanto faceva capolino un medico, lo capivo perché aveva un vestito diverso, ma com’è stato per Corrado, ho capito che se non ci sono complicazioni, il lavoro lo fanno tutto le ostetriche, e ce n’erano 6 tutte per noi. Io ero tranquillo, l’ambiente di quel reparto mi portava a fidarmi ed affidarmi, una sensazione che non provavo da quando mi hanno tolto le tonsille e capo del reparto c’era un amico di mia madre che mi rassicurava e pensava a non farmi mancare nulla, anziché un tale che ti fa firmare un foglio dove se schiatti non puoi pretendere nulla e che si spazientisce se gli fai una domanda di troppo.
Io tenevo la mano alla moglie, gli dicevo di tenere duro, che l’aveva già fatto. La mia piccola mogliettina aveva paura, e mi dispiaceva. Da fuori le dicevano “Stella, non aver paura, asseconda la spinta”… 1, 2, 3, 4…. ne arrivava una ogni 60 secondi ed ognuna di queste ne durava altrettanti. Dalla zona “vagina” mi chiamano: vieni papà, guarda la testina! Io mi sporgo, ma Giuliana non mi lascia la mano. Le chiedo: posso? E lei: si! Lo stesso non mi lascia la mano. Cerco di sporgermi e di guardare alla meno peggio e vedo quella piccolissima testina capellosa che viene giù e che poi risale subito.
La contrazione si interrompe… aspettiamo che arrivi la prossima. La testina viene ancora fuori, se ne sta lì per la durata della spinta e poi rientra ancora. Mi sentivo in una situazione surreale ma non ne soffrivo, come ho detto prima avevo fiducia in tutte le donne presenti (inclusa la moglie naturalmente). Sapevo che era un processo naturale, che era ben assistita e che nulla sarebbe andato storto. E pensare che poco prima ero in ansia ed avevo la preoccupazione di svenire se la cosa fosse stata troppo difficile. Magicamente però non è successo.. al contrario, ero lucido e tranquillo, completamente abbandonato al mio ruolo da marito-comfort… dovevo solo tenere la mano a mia moglie e dirle che stava andando tutto bene.
Arriva un’altra contrazione… la testina viene fuori e questa volta non rientra. Provo ad immaginare quella piccola creaturina che si guarda intorno e scorge solo ombre che gli passano davanti mentre la sua mamma grida per il dolore. Arriva un’altra contrazione… è quella finale… Edoardo è fuori.
La mamma è esausta, sembra che balli ma in realtà è la tensione che la fa sussultare. Vuole distendersi per accogliere quella piccola creatura fra le braccia, ed è la prima cosa che gli viene in mente, la prima che importa davvero… c’è un po’ di confusione perché il cordone ombelicale è in mezzo e qui non lo tagliano subito, aspettano che Semino tiri tutto quello che c’è da tirare. “Il cordone lo taglia il papà” esordisce d’un tratto Giulia… ed io “ma naturalmente” mentre nella testa pensavo: ne sarò capace? In effetti con le forbici tra le mani, il primo taglio è stato timido e modesto tanto che non l’ho neanche scalfito. Le ragazze mi spiegavano che quella roba è resistente, deve nutrire il bambino per nove mesi quindi figuriamoci se un approccio tenero lo avrebbe reciso. Allora inizio a tagliare, un colpo, due colpi…. ce ne sono voluti almeno 6 prima di separare definitivamente semino dalla mamma (intendiamoci: fisicamente). Mentre lo facevo pensavo che simbolicamente ci stava tutta che ero io a tagliare il cordone, il padre solitamente ha il ruolo di spingere il figlio verso l’autonomia, togliendolo dalla campana protettiva nella quale la madre vorrebbe tenerlo per tutta la vita quindi, con quella prima azione, stavo già assumendomi il ruolo di padre… così come è stato con Pippi.
C’era tanta felicità nell’aria, la moglie ballava ancora e questa volta non per i tremori ma perché era davvero felice di stringere il suo piccolo tra le braccia. Ballava, rideva e piangeva di felicità… un uomo non può non intenerirsi davanti a questa magnifica espressione di libertà emotiva: dopo il dolore, la gioia immensa per l’evento più incredibile che può sperimentare nella sua vita.
“Tu sei il mio nido, il mio conforto, l’ aria pulita, fresca. Quella stessa aria che ho riconosciuto quando ti stavo perdendo e la stessa che ho cercato quando dovevo respirare per far nascere Edoardo. Grazie Amore Mio ora e per sempre”.
Il blocco che leggete in alto è stato scritto dalla moglie mentre accompagnavo Corrado in piscina e che si è spoilerata il post ancora incompleto, comunque è un intervento carino non trovate?! Ma dov’ero rimasto. Ah già… a quando Semino è venuto fuori dal grembo materno, pronto per conoscere il mondo. In quella stanza era davvero grande festa, forse l’unica nota stonata ero io ed era strano sentirsi così perché ero il papà, ma è come se l’evento del parto fosse più una cosa da donne… la donna è la protagonista assoluta e se l’uomo è lì per rompere le balle (come ad esempio svenire), allora viene fatto accomodare fuori. In effetti, se guardi i film del passato, gli uomini restavano sempre fuori quando le mogli partorivano, a sfumacchiare sigari e passeggiare nervosamente avanti e indietro. Comunque, anche se mi sentivo così, devo dire che la cosa mi stava bene, è giusto che la protagonista definitiva della serata fosse la moglie, era lei che aveva portato in grembo quella creatura per 9 mesi ed era lei che aveva affrontato il dolore della contrazioni e poi quello dell’espulsione finale. In fondo noi uomini che facciamo, a parte mettere il seme (cosa tral’altro piacevole); biologicamente possiamo riconoscerci un ruolo ma da un punto di vista strettamente pratico, non contiamo davvero una mazza. Con la scusa di dover servire la società lavorando tutti i giorni, sostanzialmente ci facciamo i cazzi nostri lasciando alle donne non solo i compiti che già facevano prima, ma anche tutti i disagi e le stanchezze di dover portare dentro un altro essere umano… no, noi uomini non saremmo mai in grado di gestire una faccenda di questo tipo e passando il tempo mi accorgo sempre di più che se non fosse per il genere femminile, la razza umana si sarebbe estinta da tempo… e non certo perché sono loro a creare i figli ma per la capacità che hanno di gestire tutta questa storia. Comunque, tornando alla sala travaglio, c’è stata una complicazione con il parto che ha portato la moglie a perdere quasi un litro di sangue (l’ho letto dopo in cartella), in effetti c’è stato un momento in cui mi sono fatto prendere un po’ dalla preoccupazione, cercando di non trasmettere nulla a lei che aveva appena vissuto un’esperienza che più tosta non si può. Ho avuto però fiducia nelle persone che l’assistevano, quel team mi rassicurava al punto da farmi credere che poteva anche essere in grado di fare miracoli, ed è una cosa rara viste le mie ultime esperienze coi medici che alla fine vedo solo come uomini distratti a cui non frega nulla di chi si trovano davanti, della sua storia, delle sue sofferenze, ma che si limitano a seguire quello che gli dicono i libri e pazienza per il paziente, e scusate il gioco di parole ma credo che il nome paziente sia stato scelto anche per questo: abbiate pazienza perchè siamo troppo impegnati a scegliere il nostro yacht grazie alle 200€ che ci date per 10 minuti di visita, per preoccuparci di come vi sentite. Ma lasciamo perdere… so che generalizzare è sempre sbagliato e magari c’è ancora chi fa questo mestiere come se fosse una missione di vita, ed anche se le ostetriche non sono medici veri e propri (probabilmente è anche una fortuna), quelle dell’ospedale di Imola dovrebbero fare da scuola a tanti su come vanno trattati i pazienti, perché per il modo in cui hanno accudito Giuliana qualcuno potrebbe pensare, guardando da fuori, che lei fosse stata una parente stretta come una sorella o una figlia.
La notte è passata relativamente bene, più che altro sono io ad aver dormito a katz visto che non avevo nè l’energia mentale nè quella fisica per capire come funzionasse il meccanismo che reclinava lo schienale della sedia, ma tanto non dovevo mica stare bene io e neanche mi sognavo di chiedere come funzionasse la sedia… mi sono buttato su un fianco e ho dormito a cachì, svegliandomi ogni 10 minuti.
L’indomani non vedevo l’ora di andare a prendere Corrado Santiago per fargli conoscere il fratellino. La nonna ci ha detto che quando gli abbiamo detto che era nato, gli si erano inumiditi gli occhi. Poi ha provato a chiamarci col cell della nonna, ma noi eravamo ancora alle prese con la complicazione della moglie e quando ci siamo liberati da quell’ultimo impiccio, lui dormiva già.

Una volta arrivato, quasi non voleva entrare in stanza. Mi piacerebbe sapere (anche adesso) cosa passa per la testa del mio primo fantastico figlio quando pensa al suo fratellino.


Auguri, auguri e congratulazioni… tanti i messaggi arrivati, qualche telefonata; in ospedale però non è stato come per Corrado, per Semino ci sono stati solo la nonna, i due zii di bologna ed il cuginetto. Forse la cosa mi ha dispiaciuto un po’, ma preferisco non farmi tante domande su ciò di cui ho bisogno, ciò che ho perso e che ho deciso di perdere… credo che un padre debba anzitutto pensare alla propria famiglia fino a quando le forze glielo consentiranno, non ci si può permettere di andare giù di morale o sentirsi con le spalle al muro… qualcuno potrebbe pensare che mentire a se stessi è sbagliato, ma non parlo di mentire… è solo una questione di responsabilità, gli egoismi personali devono semplicemente essere messi da parte sennò non decidi di mettere su famiglia, te ne stai single come fanno in tanti e ti godi una vita senza responsabilità facendo il possibile per ottenere tutto quello che vuoi. Si si lo so… uno psicologo direbbe che prima o poi esploderò e farò un macello ma sapete che c’è, credo che fare il padre non sia una cosa facile e che bisogna essere forti. Per fortuna nella mia vita ho fatto tante cose che mi hanno dato soddisfazioni, le mie canzoni, i miei scritti, e se guardo indietro non posso dire di aver già lasciato un bel po’ di roba… anzi, credo fortemente che se non avessi avuto famiglia, probabilmente avrei finito per drogarmi di serie tv, fare i soliti cammini di Santiago ogni anno (senza più gioia però)… insomma, sono arrivato ad un’età della mia vita in cui probabilmente avrei dato energia solo alle 8 ore di lavoro forzato che mi toccano per sopravvivere e non ci sarebbe stato più tempo per fare altro, se non qualche viaggetto hyppie di tanto in tanto. Questa consapevolezza è quella che mi spinge a pensare che va bene così, che fare il padre è una cosa importante e devo dargli tutta l’energia che mi resta, perché arricchirò i miei figli con ciò che sono stato anziché buttarli nel mondo e dirgli di arrangiarsi.
Ieri comunque è stato un grande giorno, è nato Edoardo Aniello Randone e con questo scritto voglio dargli il benvenuto su questa terra, che fa un po’ cacare in effetti considerata la situazione geopolitica, quella atmosferica ed ecologica in generale, insieme all’indole vastasa della maggior parte degli umani. Ma come ho sempre creduto: rispetto al nulla è un paradiso.