Al ritorno dal mio ultimo cammino (il portoghese), la brava giornalista Rossella Schembri mi ha invitato a parlare dell’ultima mia esperienza sulla Via chiedendomi di anticipargli a “ruota libera” le mie sensazioni post-cammino allo scopo di perfezionare l’intervista che sarebbe seguita da lì a poco. Quel giorno serbavo ancora le migliori energie che erediti da questo tipo di esperienza e che riesci a trattenere una volta a casa giusto il tempo necessario ad elaborarle: quindi per me anzitutto (in modo che questo file non si perda negli angoli scuri del mio hard disk), e per i miei lettori pubblico la lettera a Rossella che il 29 Settembre ha scritto un bell’articolo sul mio Cammino e su Ultreia nel quotidiano La Sicilia.
Ciao Rossella,
rispondo con piacere al tuo invito di scriverti della mia esperienza sul Cammino che quest’anno ho percorso per la quarta volta sulla Via Portoghese; tra l’altro sono ben felice di mettere da parte per un’ora la noiosa quotidianità e rivivere quella strada alla quale sento di essere molto legato per ragioni che pian piano mi stanno diventando sempre più chiare.
Anzitutto ti racconto velocemente cos’è il Cammino di Santiago. La pratica legata al pellegrinaggio dei devoti dalla propria abitazione fino alla città di Santiago de Compostela in Spagna affonda le sue radici nel medioevo dopo che un miracolo rivelò il luogo dove giacevano le ossa dell’apostolo San Giacomo (Santiago in spagnolo). A proteggere i Pellegrini i cavalieri templari, ad offrire riparo chiese e conventi e i cosiddetti hospitales, oggi sostituiti dagli albergue, questi ultimi strutture a basso costo (a volte persino gratuite) che trovi sulla strada.
Oggi esistono diverse vie che portano a Santiago, quella tradizionale (probabilmente anche la più conservata da un punto di vista storico) è quella Francese che parte da St. Jean Pied de Port in Francia e attraversa tutto il nord passando per la Navarra, la Rioja, la Castilla y Leon ed infine la Galicia dove risiede la città di Santiago. Poi c’è la Ruta Norte che parte da Irun nei paesi baschi e ti porta a Santiago passando per la costa, frequentata un tempo dai pellegrini che arrivavano via mare e volevano evitare l’interno per la presenza dei Mori. Un’altra via molto battuta è quella Portoghese, che ho fatto quest’anno, che parte da Lisbona e attraverso il Portogallo raggiunge la cattedrale: perché la meta è sempre quella. Infine la Via de la Plata che parte da Siviglia e attraversa la spagna del nord (impossibile da percorrere ad Agosto per il troppo caldo) ed il Cammino primitivo, probabilmente il più antico che partendo da Oviedo attraversa la Cordillera Cantabrica.
Da Santiago i pellegrini antichi (come molti di quelli moderni) usavano anche arrivare a Fisterra, il posto in cui si credeva finisse la terra dove veniva consumato il rito del bagno purificatore nell’oceano e di bruciare un indumento a simbolo della rottura con la vita precedente. I pellegrini raccoglievano poi le conchas (conchiglie), da sempre simbolo del Cammino, a testimonianza dell’avvenuto pellegrinaggio.
Ma veniamo a noi o meglio a me, perché se c’è una cosa che ho imparato è che ogni pellegrino è spinto sulla Via da motivazioni spesso diverse. C’è chi parte per superare il dolore di una perdita, chi per perdere peso, chi vuole mettersi alla prova, chi ha bisogno di staccarsi da una dipendenza, chi per passare una vacanza diversa e chi naturalmente lo fa per devozione verso l’apostolo (anche se questi ultimi sono più rari di quanto ci si aspetterebbe).
Alla mia quarta esperienza credo di aver compreso le ragioni per le quali lo faccio e mi appresto a raccontartele nella speranza di trovare le parole giuste.
Credo che alla base ci sia anzitutto il desiderio di raggiungere quei vigorosi stati d’animo che ci fanno percepire una realtà diversa da quella che si vede e che ahimè con l’avanzare dell’età riesco ad evocare sempre più raramente; il mondo come lo viviamo da bambini è un gigantesco calderone di cose bellissime ed interessanti che non vediamo l’ora di scoprire: chi non ha scorto negli occhi di un neonato quella meraviglia davanti ad un semplice oggetto di plastica che fa din din e che si può masticare, e chi può dimenticare nella nostra Ragusa anni 80 le corse in strada col calacipito sperando che dietro la curva non ci fosse un automobile o peggio una vecchietta che attraversasse la strada… e questa è solo una parte della magia che colora la vita dei bambini e quella dei giovani.
A quarantanni ti ritrovi con un lavoro che ti ha stancato, una vita sentimentale con troppe delusioni alle spalle e dove neppure il ricordo delle belle esperienze passate ti conforta dal sentirti imprigionato in una società che non hai avuto la forza di abbandonare e dove fatichi sempre più a riscoprire quella magia che ti incantava da giovane… è per questo che ho affrontato il Cammino la prima volta, per cercare qualcosa di cui sentivo disperatamente il bisogno e che ancora non avevo ben chiara.
La prima esperienza è stata fulminante, al ritorno sono diventato vegetariano, ho iniziato ad affrontare le difficoltà con calma e senza infuriarmi, ho persino imparato ad accettare le cose che non potevo cambiare e a non dare di matto per ciò che avrei voluto e non ho ottenuto. Qualcosa mi aveva investito ma l’impatto era stato così inaspettato e potente da renderlo irriconoscibile, come se qualcuno ti desse una bastonata mentre sei di spalle e ti risvegliassi in un letto d’ospedale con il mal di testa senza ricordare cos’è successo.
Ho dovuto percorrere la via una seconda volta per capire che in realtà stavo cercando la Magia e che quella voce che mi diceva “torna sul cammino” era in realtà quella parte di me che l’ha sempre saputo. La magia che senti nel sussurro del vento ad O Cebreiro dove ho creduto realmente di sentire la voce di Dio, quella che avverti fermandoti ad ascoltare il canto delle foglie dei pini mosse dal vento che nel cammino di Finisterre ti fanno sentire parte di quel mondo dal quale ci siamo allontanati vivendo nelle città, ed ancora la magia nel sorriso di uno sconosciuto che augurandoti Buon Cammino ti da la forza di fare altri 100km, ed il sentirsi improvvisamente nudo davanti agli altri pellegrini a cui non interessa più la tua età, il colore della tua pelle, la nazione da cui provieni e persino il tuo nome che è sempre l’ultima cosa che si chiede, ti fa sentire finalmente libero di essere ciò che sei… eccola la Magia di cui parlo cara Rossella, sentirti parte di qualcosa che non è solo un insieme di leggi fisiche che governano tanti pezzettini di carne convinti di chissachè e che diventeranno solo cibo per vermi… e per la prima volta la religione non c’entra nulla, Dio o come preferisci chiamarlo non è in una chiesa né in un libro… Lui sta semplicemente lì, dietro ogni pellegrino che ti offre la sua acqua perché l’hai terminata, negli splendidi posti che attraversi, nel volo di un ape tra un fiore e l’altro che ti ha tenuto fermo sul ciglio della strada per un’ora intera, nella gentilezza di uno sconosciuto, nella fonte che scorgi in cima alla salita, in tutte le cose semplici che nelle città ci sembrano scontate: acqua corrente, sole, ombra… perché si, se il sole batte forte sulla testa, la gioia che provi scorgendo da lontano un albero è… beh… altro che l’uscita del nuovo iPhone.
Potrei continuare a scrivere altre 100 pagine di tutto questo, forse lo farò, ma per il momento mi fermo qui sperando di averti da un’idea di quello che ho sperimentato sul Cammino, esperienza che credo dovrebbe essere prescritta ad ogni uomo come antidoto alla disperazione.
Grazie di essere arrivata fin qui… un abbraccio e Ultreia.