Ritorno a Trollstigen

14 Marzo 2008
10 minuti di lettura

cover: shell (2003) di JapiHonoo 

Dio mi conceda la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che possono cambiare e la saggezza di distinguere tra le une e le altre.”
Kurt Vonnegut

Sono trascorsi molti giorni da quando ho lasciato l’ultimo dei miei pensieri sulla vostra dimensione, giorni interminabili scanditi dal ritmo costante di un’emozione parassita: la solitudine.
Non v’è felicità che possa essere definita tale se non condivisa, non v’è uomo che possa fare a lungo questo cammino senza avere al suo fianco un compagno di viaggio. In queste interminabili giornate di pioggia ho girato in lungo e in largo percorrendo i sentieri impervi dei monti, con coraggio. Nel buio delle gelide notti ho attraversato i rassicuranti viali dei boschi per respirare il profumo del muschio selvatico ed assaporare il tenue calore di un sole pallido. Oggi l’ultimo miraggio è stato svelato alla mia coscienza: sono arrivato al confine di ogni strada e qui mi adagio stremato, impotente.

Guardo verso il cielo, di notte, e la luna pallida mostra il suo volto più delicato: un dolce sorriso dal quale rapire tenerezza e sincero amore.

Difficile esprimere a parole lo sconforto ed il senso di fallimento che mi accompagna, è triste constatare sulla propria pelle come ad ogni vittoria segua sempre una sconfitta, quasi fosse nell’ordine naturale delle cose umane: una stella nasce, compie il suo ciclo e poi muore; la primavera dipinge la natura di mille meravigliosi colori, ma ecco arrivare l’inverno pronto a vanificare il suo lavoro. Ogni uomo insegue un desiderio e non appena lo raggiunge il suo cuore si svuota di quell’entusiasmo, per così poter desiderare ancora altro, fin quando ne avrà possibilità.
Ogni cosa fuori da noi è destinata a lasciarci, delle volte la si può raggiungere e riconquistare, altre la si perde per sempre. Ogni vita si riduce così ad un insensato susseguirsi di sconfitte e vittorie condite da un desiderio di gioia e quest’ultima è solo un raggio di sole che trafigge ogni creatura sola di questa terra. Ho creduto in una favola e ad essa mi sono aggrappato con tutte le mie forze. Amore, odio, pietà, tenerezza: interpretazioni romantiche di quel calore che di tanto in tanto ognuno percepisce nel proprio cuore, ma la scorta di legna è finita, il fuoco è ormai spento.
Sono riuscito a piacermi per la forza dei sentimenti, mi sono anche odiato per la troppa ingenuità, ma quale pietà e tenerezza provo oggi per la mia anima non sono in grado di trasmetterlo. Chino sull’immagine di un fiore appena sbocciato, affido le mie lacrime ai suoi petali.

L’albero maestro della mia barca è stato spezzato dal vento, le solide assi del ponte squarciate come fuscelli, le vele disperse tra le onde di un mare in tempesta, il timone solo una forma senza significato.

Ma lasciate che vi racconti e vi spieghi le ragioni di questo sconfortante prologo. Qualche giorno dopo l’incontro con Øye, sulla solita strada dalle mille deviazioni, sono stato travolto da uno strano fenomeno atmosferico: mille e più aghi di pino cadevano dal cielo come pioggia ed ognuno di questi, a contatto con la mia pelle, pungeva come uno spillo. Ricordai le parole di mia madre, la fata, mentre mi sussurrava: <<Mio amato figlio, quando sulla terra pioveranno aghi di pino e questi ti provocheranno dolore, vorrà dire che in un’altra dimensione una creatura a te cara sta provando colpa per la tua solitudine.>> Non mi parve illogico credere che “Perduta”, ovunque si trovasse, stesse soffrendo per il mio disagio. Nel frattempo il fenomeno atmosferico si faceva più intenso ed il dolore cominciava a divenire intollerabile, così dovetti rifugiarmi in una grotta in attesa che la terribile pioggia cessasse. Rimasi lì un giorno o due, ma gli aghi continuavano a cadere sempre più fitti e numerosi. Le creature dei boschi passavano di fronte a me come se non si accorgessero di nulla. Ero solo io a soffrirne, solo io assistevo a quel fenomeno, così realizzai che, in quanto creazione della mia mente, potevo far cessare quegli effetti concentrandomi sul non pensiero. Annullare la mente non è cosa facile, nel corso dei miei numerosi tentativi avevo la sensazione che i pensieri cercassero di uscir fuori come lumache da una pentola d’acqua bollente. Ogni volta che li ricacciavo dentro, essi uscivano da un’altra parte, disperatamente. Ogni tentativo era scandito da scintille di luce che si scagliavano sulle pareti della caverna. Compresi che anche i pensieri hanno una loro energia e che spesso si nutrono di quella stessa forza vitale che spinge ogni giorno la nostra esistenza verso il successivo. Così mi sforzai di pensare al “dopo”, al fatto che dovevo andare via da quella grotta, che quel senso di colpa non faceva bene a lei, né tantomeno a me. Uscii dal mio rifugio e mi lasciai ferire, andai avanti con le lacrime agli occhi e col dolore che si faceva strada fra le mie terminazioni nervose. Camminavo a testa bassa, con gli occhi stretti ed una smorfia sulle labbra, fino a quando non raggiunsi la strada. A quel punto i ciottoli sul sentiero divennero le uniche cose su cui la mia mente riusciva a posarsi. Il pensiero del dolore scompariva là dove il mio sguardo restava confinato al suolo e quando ogni immagine venne fugata dalla testa rivolsi a me stesso queste parole: <<Olav, adesso puoi riposare.>>

Sono tanti i bicchieri che colmiamo e altrettanti quelli che svuotiamo del tutto. è così che va la vita, ciò che si riempie prima o poi si svuota e, fin quando non trovi la maniera di riempire il vuoto che hai davanti, hai la sensazione che ogni cosa perda di significato e vorresti solo non pensare a niente, perché il niente è la condizione ideale per non sentire.

L’essere che per tanto tempo avevo chiamato “Perduto” -me stesso- moriva in quell’istante. Il velo di Maya era stato squarciato dal fragore di ricordi troppo antichi e per troppo tempo rimossi. In un solo momento ebbi davanti agli occhi mia madre e mio padre, Nisse, Grethe e poi Varg, Hilde, la Völva, Nomi. Mancavano solo Hjørdis – così si chiamava “Perduta” – e Benjamin, ma gli altri erano tutti lì, immobili, con gli occhi inespressivi, involucri senz’anima, modelli per la mia condanna. Ancora incredulo mi diressi verso le sagome, desideravo con tutte le mie forze che Nisse aprisse gli occhi e mi dicesse che un buon piatto di porridge mi aspettava nella sua casetta, ma il processo era stato innescato, non c’era più niente da fare. Anche Grethe era lì, immobile e bellissima, con gli occhi senza luce e l’espressione di una bambola di ceramica. In quegli attimi avrei voluto continuare a credere in quella favola, speravo che Hilde continuasse a tormentarmi e che Varg, accortosi della mia presenza, tornasse a fuggire nel bosco, perché potessi inseguirlo. La mente è una strana macchina, una volta aperte, certe porte ti si chiudono alle spalle inesorabilmente, senza che tu abbia la possibilità di tornare indietro.
Ero stato Olav, un potente re vichingo fuggito in terra di Norvegia a causa del crollo del proprio regno per mano di demoni malvagi, un uomo triste annientato dal senso di colpa e annegato, poi, negli occhi di una dolcissima fanciulla di nome Hjørdis. Un re caduto sotto la scure di un’infida creatura delle montagne e poi sprofondato in un limbo emotivo nella folle illusione di poter salvare la verità delle proprie emozioni, al di fuori di un cuore e di una mente crudelmente terrena. Ma adesso sono costretto a guardare in faccia la realtà di ogni cosa, ad accettare l’arida verità di essere caduto in battaglia, perché non è giusto vivere di soli ideali, la vita è un’altra cosa, la vita è guardare negli occhi la tua amata quando ti pare, sorriderle, dirle che l’ami con tutto il cuore e fermarsi, costruire una casa, metterci dentro le tue cose, strutturare legami che puoi portarti dietro per sempre e persone care cui, delle volte, affidare il tuo destino.
Gli amati monti, il sentiero, i boschi e le loro creature, adesso tutto è fisso, innaturale. Adesso ogni cosa rivela la sua natura illusoria, perché il mio percorso altro non è stato se non una creazione della mia stessa mente. “Perduta”, insondabile miraggio, quale forza misteriosa l’ha mai condotta nel Perpetuo Camminare? Quali meccanismi regolano la vita e la morte? L’unica spiegazione che riesco a darmi sta nel grande amore che ho provato per lei, un calore talmente confortante cui non potevo rinunciare né da vivo, né da morto.
Adesso ho chiaro il senso della filastrocca che cantavo nel tunnel di pietra dove ho incontrato Hilde.

Non sei accanto a me
mia dolce regina
e dedico a te
quest’ingenua preghiera
se il mio cuore è ancora incanto ai tuoi occhi
io morirò con la speranza d’incontrarti nei tuoi sogni

Ed è nei suoi sogni che ho creato il mio mondo, ma questi adesso svaniscono lentamente…

Prega il tuo re
che il demone muoia
e canti il tuo cuore
ricolmo di gioia
sui tuoi begli occhi, specchi d’abisso, ho letto il dolore
e morirò con la certezza di averti dato tutto il mio amore

E così muoio, perché non vi sia alcun senso di colpa nel suo cuore, perché riconquisti presto tutte le occasioni che la vita saprà concederle. A volte riesco a sentire così vicino il suo dolore da annientarmi io stesso ed annegare nel mare delle cattive considerazioni, degli sbagli, della paura di una strada dai mille bivi dove ogni sentiero può essere al contempo giusto o sbagliato. L’ho fatto fino ad ora, ho vissuto in simbiosi col suo disagio. Io arrivo al confine del mio percorso, perché è nell’ordine della mia natura di essere sospeso, ma lei continuerà ad imboccare mille direzioni e potrà andare avanti oppure tornare indietro e scoprire altre strade. In questo sta la meraviglia della vita: poter decidere anche sbagliando, soffrendo, per poi gioire di nuovo, perché spesso gli sbagli conducono a nuove occasioni di scoperta, a migliori opportunità di conoscersi e riconoscersi.
Io invece sono solo un’idea giunta alla fine, strappato alla vita da una nobile causa. Ho scontato ogni singolo errore, ho gioito per ogni singolo attimo di felicità che mi è stato concesso, ho acceso gli animi delle folle per poi trovarmeli tutti contro e fuggire, verso dove non sapevo. Poi ho incontrato Hjørdis e con lei ho trascorso gli ultimi giorni della mia vita, con tutte le gioie e i dolori che un amore porta con sé e sono felice di aver potuto guidare “Perduta”, di essere stato la sua fiaccola notturna ed aver illuminato la sua strada oscura, di aver fatto sì che raggiungesse ancora il suo mondo e lì continuasse la sua battaglia contro il vero nemico di ognuno: sé stesso.
Adesso che muoio davvero, posso vedere la sua nuova strada, è diritta ma ancora buia, le basterebbe ogni tanto andare a sinistra o a destra per accorgersi che non ha confini ad est, né ad ovest, a nord e nemmeno a sud, le strade del nostro cuore sono infinite. Spero di andare in paradiso e da lì renderla più luminosa, perché lei capisca che quella strada non ha interruzioni, che le meraviglie che conserva nel cuore fanno si che venga forgiata ogni giorno fino all’orizzonte, che lei lo voglia oppure no.
Oggi farò ritorno nell’odiato monte di Trollstigen, venti piedi sotto il suolo, là dove giace il mio scheletro ammuffito. Se un “dopo” mi attende, è lì che serberò per sempre il ricordo di “Perduta”, dei miei amici, che siano reali o immaginari, perché nel contorno delle nostre vite c’è sempre spazio per un po’ di magia.
Con affetto, per tutti voi, il vostro Olav.

Epilogo

Un momento prima che “Perduto” uscisse da quel mondo per tornare al monte che serbava le sue spoglie mortali, dal viso immobile di Grethe scese leggera una lacrima, la Völva fece un cenno con la testa ed esclamò: <<L’avevo detto!>>, Hilde e Varg sorrisero, i genitori di “Perduto” si strinsero fra le braccia e sua madre cominciò a singhiozzare. Fu Nisse a parlare: <<Il fatto che qualcuno non creda più nelle favole, non significa certo che esse non esistano! Per quanto mi riguarda, è tempo che torni ai miei affari.>>
E così tutte quelle figure che a “Perduto” parevano immobili, si voltarono e presero direzioni diverse, sulle strade di quel mondo meraviglioso in cui il tempo è scandito dal movimento degli astri e dal fluire delle acque.

La gioia di un uomo risiede negli occhi innamorati di una donna. Quanto vane sono le ambizioni umane se non le circondi d’amore.

NOTA DI CHIUSURA

Il mio nome è Hjørdis, regina triste dalle cento maschere.
Uno strano destino ha voluto che il fiume mi consegnasse queste pagine che raccontano emozioni a me già note, perché sussurratemi dal vento sotto forma di poesie e canzoni.
Ogni parola, ogni suono, ha tracciato il solco della mia rinascita. L’amore di un re ha fatto sì che ritrovassi la memoria di un cuore che avevo creduto sottratto dalla violenza di un Troll e che, invece, scisso in due metà da un arcaico conflitto, aveva solo smesso di sentire.
Oggi torno su questo monte per onorare una promessa. Oggi, su questa tomba, restituisco a lui il suo cuore e gli faccio regalo del mio.
Il re che qui giace ha pregato perché morisse il demone che viveva nella mia anima nutrendosi delle mie stelle. Forse quel demone è ancora lì, ma certamente sfinito dai mille colpi inflitti dalla purezza e dalla generosità di un sentimento unico che ha aperto spazi per nuove dimensioni.
Come Olav mi aveva sempre detto: <<La vita è meravigliosa e cambiare è una sfida.>> Questo sarà il mio nuovo gioco, seppure continuerò ad errare per le strade di questa terra e la solitudine continuerà ad essere la mia casa.
Il mio re perduto, invece, rinascerà e scoprirà che di regine è pieno il mondo e che non tutte sono tristi.
A me basterà potere ascoltare la sua voce portata dal vento per sapere che, da qualche parte, in un’altra vita, tutte le sue stelle splendono di nuova luce.

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(da Linea di confine, una favola d’amore. Di Nicola Randone con il contributo di Emanuela Fragalà)

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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