Friedrich Wilhelm Nietzsche
Non capisco il motivo per cui Hilde abbia desistito dal tentare azioni distruttive contro il mio cuore, forse non era interessata ad un cuore senza emozioni o forse era stata spaventata dalla creatura che da lì a breve mi avrebbe raggiunto. L’inquietante visione avanzava in linea retta e dietro ad essa il cielo perdeva ogni colore. Una proiezione speculare della parte superiore del corpo sostituiva gambe e piedi, ad eccezione degli occhi: due croci nere. Le due parti erano separate da una spessa linea innaturale e collegate organicamente da un cordone che partiva dal cuore per penetrare nello stomaco comune, costituito da una ruota schiacciata. Curiosi arabeschi monocromatici si lanciavano dalla schiena fino a sopra il capo, mentre scariche elettriche si scagliavano in basso. Credo si muovesse proprio grazie all’energia generata da quei fulmini. Entro un raggio di diversi metri quella figura si spostava quasi fosse un’allucinazione, un’immagine disturbata che pareva cercare un insano contatto con la forza di gravità.
<<Nomi, il mio nome!>> disse quando fu abbastanza vicino. Mi voltai incuriosito e trovai la voglia di alzarmi, qualcosa di nuovo stava stuzzicando il mio interesse e questo bastava per distogliermi dai mille pensieri che mi rendevano impossibile l’azione. <<Cosa vuoi da me?>> chiesi sgarbatamente. Egli si avvicinò ancora, così gli urlai contro: <<Fermo, non ti avvicinare di un solo passo!>> Incurante delle minacce, la creatura continuava ad avanzare. Ero in trappola, dietro di me il vuoto, davanti a me Nomi. Gli corsi incontro, ma la mia audacia non cambiò le sorti di quanto sarebbe accaduto: non era una comune forma fisica quella che avanzava, ma un’immagine di gelatina e quando vi urtai contro, quella gelatina si chiuse su di me, avvolgendomi del tutto. A quel punto ogni suono cessò, ogni colore si spense, la spessa linea divisoria si era trasformata in un cerchio che mi stringeva alla vita e l’immagine di Nomi si allungava per tutta la circonferenza del cerchio. Non scorgevo più alcun dettaglio se non una grande bocca deforme. <<Sono qui per svelare la tua realtà, “Perduto”.>> La bocca si muoveva: <<I boschi, il sentiero, “Perduta”, Grethe, i tuoi amici, non esistono, non sono mai esistiti, sono solo creazioni della tua mente. Sei sepolto sotto dieci metri di terra, una donna ha avuto pena di te e ti ha scavato la fossa con le sue stesse mani. Sei stato un re ma sei caduto, per una sciocchezza… per amore. Rassegnati dunque alla fine della tua vita, rassegnati alla natura effimera di tutte le cose umane, cessa di sognare e lascia libere le creature della tua fantasia, perché esse aspirano alla vita, mentre tu sei morto!>>
Colori, luci, immagini e suoni penetrarono d’un tratto nella mia corteccia ed in concerto danzarono nella mia testa. Tristi ricordi di un uomo bambino mi contagiarono la loro tristezza. La Völva aveva ragione, ero morto. Grethe aveva ragione, c’era qualcosa che dovevo ricordare: non avrei mai potuto ricambiare a sufficienza l’amore di mia madre, non sarei mai riuscito a fabbricare stelle così luminose e durature per la mia “Perduta”, qualsiasi attenzione da parte mia verso il prossimo non sarebbe stata sufficiente, avrei perso tutto, comunque, ovunque! I pensieri si ammassavano uno sull’altro, i ricordi stridevano contro la mia angoscia. Ogni frase, ogni parola, era portata fuori e riusciva a pensare da sola, quei pensieri poi si univano ai miei e così a quelli delle altre parole. La bocca di Nomi si storceva in un ghigno. L’infame visione si nutriva del mio stato confusionale, leggeva nella mia testa come se potesse guardarvi dentro, ma ero soltanto io a concederle questo favore.
Bastò quest’ultima lucida consapevolezza per salvarmi. Smisi di pensare, annientando così le conseguenze del mio dolore. La lontananza di “Perduta”, la morte di Benjamin, il silenzio di Grethe, tutto si trasformò in nuvola. <<Ci penserò una volta la settimana, quando il sole è alto nel cielo e la natura canta le sue ore migliori, quando gusterò un buon piatto di porridge con Nisse o quando avrò voglia di dolci ricordi.>>
Al sentirmi pronunciare quelle parole la bocca di Nomi smise di sorridere, i primi raggi di sole bucarono la gelatina ed i colori del cielo cominciarono ad offrirsi ai miei occhi. Quella visione nefasta scomparve nel nulla e mi ritrovai incantato davanti alle montagne coperte di neve ed al profumo delle foglie di biancospino portate dal vento. Una battaglia vinta in fretta, un’altra freccia all’arco della consapevolezza per cui, come dice Nisse, ogni essere vivente ha in sé le risorse necessarie per affrontare qualsiasi problema.
A volte, per combattere l’ineluttabilità di una certa realtà, bisogna confinarla a quell’area della mente capace di gestirla con altri sistemi, affinché non possano esserci conseguenze, in modo da poter affrontare il futuro senza lasciarsi travolgere da quegli eventi che non c’è dato poter cambiare. Ci sono tempi e modi per vivere a pieno i disastri che ci attendono o che ci trasciniamo ancora dietro, tempi in cui saremo abbastanza forti per affrontarli. Inutile disperdere energie, piuttosto è cosa saggia conservarle per quando saremo pronti, per quando ci troveremo davanti un nuovo od un vecchio nemico, da amare ed abbracciare o da annientare senza pietà.
Abbiate cura delle vostre risorse interiori, oggi ne ho scoperte di nuove e non smetterò mai di meravigliarmi di fronte a questa mente umana, che pare così fragile mentre invece è così forte.
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(da Linea di confine, una favola d’amore. Di Nicola Randone con il contributo di Emanuela Fragalà)