Varg

4 Dicembre 2007
4
5 minuti di lettura

cover: baggage (2003) di JapiHonoo 

“È così grande la malvagità del mondo che devi consumarti le gambe a forza di correre per evitare che te le freghino
Bertoldt Brecht

 Grazie a chi ancora una volta si sofferma su queste pagine: ci sono momenti per restare ad ascoltare il suono del vento, e momenti in cui è bene avvicinare (o lasciare che si avvicinino) altre creature,  assecondando così quel bisogno di confronto naturalmente insito in ogni essere vivente. Nella speranza di lasciare la mia inquietudine su queste pagine io, “Perduto”, ripongo in esse alcune delle mie esperienze, con la certezza di potere abbandonare un giorno il perpetuo camminare e sedere all’ombra di un’alta betulla, gustando i frutti del bosco in compagnia di uno spirito gioioso.

Qualche giorno fa, dopo aver lasciato la dimensione dei numeri, sono stato attratto da un lamento che proveniva dal bosco. Solitamente indugio un po’ prima di lasciare il mio sentiero, a meno che non mi venga manifestato un esplicito invito, questa volta tuttavia ho preferito assecondare la mia naturale curiosità.

Dopo aver oltrepassato il ciglio del sentiero tre strani volatili hanno cominciato a girare in circolo sulla mia testa, ho preferito non prestare loro attenzione; agli occhi di certi esseri l’intimità è spesso vista come segno di debolezza e, seppure il buio confondesse le loro forme, percepivo una certa malvagità nel loro gracchiare.

Camminare a piedi nudi sul morbido muschio del bosco mi ha fatto desiderare di abbandonare il sentiero per sempre, sapevo tuttavia che sarebbe stato un piacere effimero, che il sentiero è l’unica strada mentre il resto è solo una cornice illusoria posta lì per distrarmi dal faticoso cammino che ho scelto di percorrere.

Forte delle mie buone capacità visive tracciai un’ideale linea retta lungo il mio percorso così da potere seguire a ritroso la via del ritorno se non avessi trovato una nuova congiunzione col sentiero, evitando in tal modo il rischio di venire assorbito dal cerchio dell’immutabilità che conduce dritto alle porte di Helvete[1].

Il mio procedere venne però interrotto dalla vista di qualcosa che all’inizio non riuscii a distinguere bene: uno gnomo dei boschi stava steso in terra con la faccia sprofondata nel muschio: – Amico mio – gli dissi – perché stai così riverso? -. Il corpo della creatura ebbe uno spasmo improvviso, per poi ritornare alla sua immobilità. Quell’inconsulto movimento fu sufficiente per consentirmi di notare qualcosa di assolutamente insolito: accanto al corpo, composta con le bacche rosse che generosamente il bosco fabbrica per la gioia degli occhi, una scritta recitava la parola <<VARG>>. Mi chinai e cercai di scuotere la dolce ed amabile creatura che giaceva ai miei piedi; la invitavo ad alzarsi, a lasciare quella scomoda posizione, ma nessuna risposta mi veniva restituita da quel corpo ormai privo di vita. Decisi allora di concedergli il favore di una degna sepoltura. Chinandomi su di lui non potei trattenere l’urlo che si levò all’improvviso dal mio cuore e dalla mia mente alla penosa vista cui volentieri mi sarei sottratto. La dolce creatura era stata orribilmente privata degli organi visivi mentre uno squarcio sul volto lasciava intravedere l’arcata dentaria sinistra, un buco circolare si apriva all’altezza del cuore, il corpo era stato dilaniato devastando per sempre l’elegante simpatia di quell’essenza di pura giocosità.

Mi chiesi chi potesse avere commesso un crimine così orribile e piansi per un tempo indefinibile. Poi feci ciò che era giusto fare, scavai con le dita il freddo muschio fino a raggiungere il terreno e poi ancora fino a toccare la pietra; le mie mani sanguinavano, ma la rabbia che provavo mi impediva di avvertire il dolore. Presi il corpo senza vita dell’amabile creatura e lo deposi all’interno della fossa che  ricoprii, dapprima di muschio, poi di terra. Su quel tumulo di colore scuro, punteggiato a tratti dal verde del muschio, posai un fiore pregando Dio affinché il mio amico potesse rinascere nella forma a lui più gradita. Poi alzai lo sguardo colmo d’ira: esisteva in questo mondo una crudeltà insensata, inutile, incomprensibile. La sentivo, per quanto non mi appartenesse. Riempiva l’aria di un odore acre, pungente. Accelerai il mio passo, correvo spinto dal mio senso di giustizia, dal desiderio di non lasciare impunita una morte inutile ed orrenda e mentre correvo non mi accorgevo di come quel desiderio di porre fine all’esistenza di un’altra creatura vivente si stesse impossessando di me, pervadendo la mia mente e il mio cuore. Correvo, senza più fare caso al percorso, il rischio di finire nel cerchio dell’immutabilità era una paura che avevo già dimenticato. Corsi per ore, seguendo quell’odore nell’aria, corsi disperatamente fino a quando non lo vidi. – VARG!! – gridai -. La creatura gobba e sgraziata desistette dal suo lento cammino voltandosi verso di me. Staccai un grosso ramo da un albero e lo impugnai deciso a vendicare il torto subito dal bosco. Varg stava lì, ancora chino, continuando a fissarmi con quel suo spregevole occhio da ciclope. Corsi con foga nella sua direzione brandendo il grosso ramo ed agitandolo verso il cielo, ma quando gli fui di fronte non potei colpirlo.

D’improvviso, in qualche modo, i pensieri di quell’essere si erano insinuati nella mia mente e, riecheggiando come mille voci, formavano un coro che non ero in grado di far tacere: – Coraggio piccolo uomo, libera il tuo desiderio di vendetta, riconosci la tua malvagità, drepe, drepe, drepe, drepe![2] -. Anche le creature alate sopra la mia testa, troppo simili a streghe per poter essere scambiate ancora per comuni volatili, ripetevano instancabilmente quello stesso infernale invito. Adesso i loro nomi mi erano chiari e si imprimevano nella mia mente: – Aletto, Megera, Tisifone[3] -. -NO! – urlai con quanto fiato avevo in gola, lasciando cadere in terra la mia ormai inutile arma e cominciando a correre nella direzione opposta. Il peso della gobba non consentiva a Varg di tenere il mio passo e raggiungermi, solo i 3 demoni alati continuarono a starmi dietro, fin quando non ritrovai il sentiero che a loro non era consentito intraprendere. Continuavano a ripetere: – drepe, drepe! – ma alla fine desistettero rivolgendosi a me con un dispregiativo << fiken[4] >>.

Rimasi seduto sul ciglio del sentiero per 2 giorni, pensando al dolce amico defunto, pensando ancora a “Perduta” e sperando che non le capitasse mai di scontrarsi con la malvagità di Varg. A pesare più di ogni altra cosa era, però, la percezione della mia codardia. Guardavo attonito quel braccio che non era riuscito a compiere l’atto che la mente riteneva giusto e non mi perdonavo di avere lasciato quell’essere libero di violare ancora la vita altrui. In un certo qual modo sapevo che mi sarei sentito responsabile di ogni altro delitto compiuto da quella bestia in futuro e non riuscivo a perdonarmi per l’incapacità che avevo dimostrato.
Spesso non riserviamo a noi stessi l’indulgenza che dispensiamo agli altri. Spesso c’è bisogno di una mano più grande della nostra per sentire una carezza che ci riscaldi il cuore; e fu così Dio, nella sua infinita dolcezza, mandò da me una delle sue creature più antiche, una fata, come mia madre. Ella si posò al mio fianco porgendomi uno scrigno colmo di stelle di stoffa e mi disse: – Non affannarti “Perduto”, i buoni non possono uccidere il male, anche se il male uccide. Cuci sul tuo petto queste stelle che ti dono, esse sapranno guidarti e proteggerti, sapranno dare nuova luce ai tuoi occhi e nuova forza alle tue gambe, perché il male procede lentamente mentre la tua anima è in grado di percorrere mille leghe in un solo istante. Fuggi il male quando lo incontri, esso è la notte del cuore e tu non puoi combatterlo, né puoi salvare il mondo dal suo nefasto potere -. Così scomparve, lasciando cadere su me una delicata polvere d’oro.

Ogni notte, da questo momento, pregherò per le anime ed i corpi dei miei cari, perché Varg possa rinunciare per sempre a riempire la sua vile gobba delle loro pene.
E prego anche per voi, che nella dimensione dei numeri conoscete il bene ed il male e troppo spesso vi smarrite di fronte alla scelta.


[1]Inferno

[2] Uccidere

[3] Nella mitologia greca le Erinni (le Furie della mitologia romana) sono le personificazioni femminili della vendetta. Erano tre sorelle demoniache abitatrici degli inferi: Aletto, Megera e Tisifone

[4] Vigliacco

Acquista il libro completo del cd o leggi il seguito -> Verità

(da Linea di confine, una favola d’amore. Di Nicola Randone con il contributo di Emanuela Fragalà)

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

4 Comments

  1. ciao fatina dei boschi, hai qualche altra stella in più per me :) ? Scommetto che le tieni nascoste sotto il materasso e poi dici a tutti che non te ne sono rimaste più :P
    Scherzi a parte, ti ringrazio del tuo commento, dei tuoi complimenti, dei tuoi consigli, mi fa sentire onorato sapere che ogni giorno trovi un attimo per andare a leggere le storie che scrivo ed immagino che faccia piacere anche a Perduto. Bello tenersi compagnia con le parole, bello che ci siano persone che in qualche modo riescono a leggere la tua anima ed altrettanto bello per me poter leggere nell’anima delle altre persone, che in fondo siamo creature meravigliose.
    un abbraccio grande
    Nico

  2. Caro Nico, non passa giorno che io non faccia una capatina qui dalle tue parti, trovo molto piacevole e rilassante leggere quello che è scritto tra queste pagine. Questa storia appena letta porta con se un po di tristezza per la descrizione dello gnomo assassinato… ma porta con se una verità grandissima. Perduto, seppur coscente che uccidere Varg era la cosa giusta, che fermare quel mostro era un atto di coraggio e di giustizia, non l’ha fatto. Se si ha l’animo buono non si farà mai del male, MAI. Se si cela la luce nel cuore, nemmeno il buoio e la cattiveria più profondi potranno mai offuscarla. E poi l’immagine delle stelle di stoffa cucite sul petto, e la presenza buona di quella fata ( fatadeiboschi… fossi io per caso? ) … Nico credo che tu abbia un dono fantastico, sfruttalo nel migliore dei modi, non fermarti al blog… non lasciare queste tue meraviglie solo in queste pagine.. puoi fare molto molto di più…
    Te lo dico con il cuore in mano… sai creare un’atmosfera magica con le tue storie… Continua Nico…

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Articolo precedente

L’infanzia di Perduto

Prossimo articolo

Verità

Le ultime da Favole

L’incontro con Perduta

Ho incontrato per la via un giovane poverissimo che era innamorato. Aveva un vecchio cappello, la giacca logora, l'acqua gli passava attraverso

La mutazione di Perduta

cover: naturabendata (2005) di JapiHonoo […] forse possiamo davvero rifarci la vita e non limitarci a continuarla […] Guillaume Musso Sono 3

Perduto

"Perduto", questo è il mio nome, e barcollo, perché il vento da queste parti corre come un treno. Soffro d'insonnia e quando

Verità

La verità è un lusso che non sempre ci possiamo permettere

La prospettiva di Øye

Diventa ogni giorno più difficile trovare angoli intradimensionali in cui trasferire le mie esperienze attraverso la dimensione dei numeri, il sentiero di
TornaSu