Benjamin

15 Gennaio 2008
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16 minuti di lettura

“Amatevi, ma non tramutate l’amore in un legame. Lasciate piuttosto che sia un mare in movimento tra le sponde opposte delle vostre anime. Colmate a vicenda le vostre coppe, ma non bevete da una sola coppa. Scambiatevi il pane, ma non mangiate un solo pane. Cantate e danzate insieme e insieme siate felici, ma permettete a ciascuno di voi d’essere solo.”
Khalil Gibran

Maledetta Hilde, da quando sono tornato non fa altro che braccarmi come fossi una bestia da sbranare, ho dovuto percorrere molte leghe per distanziarla, forse la presenza di Grethe avrebbe potuto tenerla lontana, ma dopo il mio ritorno non ho avuto modo di vederla e non ho intenzione di distoglierla dalla ricerca della sua identità, almeno fin quando non sarà lei a volerlo.
Ma lasciamo da parte le vicissitudini di questi giorni, in fondo ho solo corso, dormito e mangiato, nulla di particolarmente interessante; piuttosto proseguo col mio racconto dal punto in cui lo avevo interrotto, la mia uscita dal St. Olavs Hospital.
Non appena fuori dall’edificio ho avvertito un freddo terribile, la gente del posto riusciva a portare calore all’interno delle grandi “caverne” in cui si riparava senza dovere accendere fuochi, ma all’esterno la natura imponeva a tutti le proprie decisioni in merito. Dovevo prodigarmi in fretta nella ricerca di qualcosa che potesse proteggere il mio corpo dal gelo. Trovo strano che nella mia dimensione di sempre, nonostante la neve, non abbia mai sentito l’esigenza di particolari protezioni. Probabilmente la mia mutata percezione della temperatura era solo un effetto del passaggio anche se qualcosa di atavico, sepolto nella memoria, mi suggeriva che non fosse sbagliato coprirsi adeguatamente quando la neve si posava in terra o sugli alberi. Ad ogni modo raggiunsi presto quello che, fra i tanti sentieri, mi appariva come il principale e mi fermai in prossimità di uno scalino in attesa che una di quelle scatolette rumorose mi consentisse di passare. Da lì a breve il destino mi riservò una sorpresa, uno di quegli strani aggeggi mi si fermò davanti e gli uomini al suo interno mi rivolsero la parola: <<Hei amico, ma non senti freddo conciato a quel modo? Sei scappato dal reparto psichiatrico dell’ospedale o sei solo un po’ idiota?>> Non avevo capito del tutto quello che aveva detto l’uomo, ma evitai di chiedere spiegazioni, piuttosto mi limitai a salutare gentilmente e a domandare dove avrei potuto trovare degli abiti più caldi. <<Hai dei soldi dietro?>> replicarono loro e a quella richiesta dovetti ammettere la mia ignoranza <<Soldi? Di che si tratta?>> Tutti si misero a ridere ad eccezione dell’uomo che mi aveva posto la domanda: <<Vuoi dire che non sai cosa sono i soldi? E come hai vissuto finora?>> Visibilmente irritato risposi: <<Beh, ho sempre vissuto nei boschi, adesso sono qui e sarebbe gentile da parte tua spiegarmi come funziona questo mondo.>> Questa volta strappai un sorriso anche a lui. <<Ragazzi, fatelo salire… e tu, vieni con noi, vedrò cosa posso fare per te, hai una faccia simpatica e voglio aiutarti.>> Così aprirono un varco all’interno della scatola mobile e mi fecero sedere su dei morbidi sedili. Fui subito circondato da una piacevole sensazione di calore, era come se un fuoco fosse stato acceso all’interno, ma non osai chiedere nulla al riguardo, avendo già dato abbondantemente prova della mia estraneità al loro mondo. La scatoletta si mise in movimento e la persona con cui avevo parlato, che tra l’altro sembrava determinare i movimenti del mezzo mobile, si presentò: <<Allora amico, io sono Benjamin, questo a fianco a me è Daniel.>> <<Buongiorno Benjamin e anche a te Daniel, io sono “Perduto” e vi ringrazio molto per l’aiuto che mi date.>> Le presentazioni proseguirono: <<“Perduto”, che strano nome, comunque io sono Eirik e lui è Hernan.>> Benjamin continuò: <<Sai “Perduto”, di solito non mi fermo a raccogliere sconosciuti in vestaglia per la strada, ma a questo mondo ogni tanto bisogna comportarsi bene col prossimo, lo diceva sempre la mia ex ragazza Grethe.>> A sentire quel nome sussultai ed istintivamente gli chiesi come facesse a conoscerla visto che era una ninfa dei boschi. Benjamin rise forte <<No, no “Perduto”, non credo proprio che Grethe sia una ninfa dei boschi. Posso dirti che è una ragazza molto bella che ho conosciuto diversi mesi fa, me ne sono innamorato subito ma, da un giorno all’altro, dopo essersi dichiarata pronta a sposarmi, mi ha abbandonato senza darmi alcuna spiegazione, solo un laconico “ti voglio bene” come unica nota di chiusura.>> Compresi che in certe cose quel mondo non era poi così diverso dal mio. <<Però sai,>> continuò Benjamin <<l’amore è così, rischi e devi saper accettare il momento in cui finisce.>> <<Già Benjamin,>> lo interruppe Daniel <<infatti tu lo hai accettato per bene, continui a chiamarla, a preoccuparti per lei…>> <<L’affetto è tutt’altra cosa, Daniel, e poi lei è una persona straordinaria ed il mio desiderio di aiutarla non è contaminato dagli interessi del cuore.>> <<Raccontala ad un altro,>> disse Eirik <<sai bene quanto il cuore sia capace di ingannarti e farti credere di volere solo la sua amicizia, quando invece desideri ben altro! Quello che fai è da manuale, niente di trascendentale.>> <<Pensatela pure come volete!>> Benjamin sembrava avere molto a cuore il destino di Grethe ed in questo lo sentivo molto vicino a me al mio sentimento per “Perduta”, decisi quindi di intromettermi nella discussione: <<Di sicuro, Benjamin, certi sentimenti non muoiono nel cuore solo perché la persona che ami non sta più con te. Tutti noi dobbiamo accettare che le emozioni siano al di fuori del nostro controllo razionale, come se fossero gestite da una mente autonoma. Possiamo decidere di ignorarle ed aspettare che si esauriscano da sole, oppure assecondarle fino alla fine, entrambe le scelte comportano dei rischi e sta al giudizio di ognuno capire se ne valga o meno la pena, se conservare quell’emozione abbia per noi un’importanza vitale oppure no.>> Quando terminai l’ultima frase un religioso silenzio calò nello spazio ristretto di quella scatola mobile. Fu Benjamin a parlare per primo: <<“Perduto”, da come parli sembra che tu sia tutt’altro che un semplice abitante dei boschi, se non hai altri programmi ti chiederei di passare del tempo con noi, stiamo andando a casa di Daniel a bere una birra, ci raggiungeranno altri amici più tardi… Penso che Daniel sia d’accordo,>> e così dicendo si voltò verso l’interessato che si limitò ad annuire <<poi se non sai dove andare, stasera puoi dormire da me e domani cercherò di darti una mano per quello che ti serve, sempre che ti serva qualcosa.>> La gentilezza di tutta quella gente mi fece ben sperare che quel mondo non fosse poi quel concentrato di condizionati di cui mi parlava Grethe prima che partissi, ancora nessun segno di quel male terribile che sarei stato costretto ad affrontare. Benjamin sembrava entusiasta di avermi incontrato, faceva tante domande sui miei boschi e mi chiese anche di Grethe, quella che conoscevo io. Daniel, Eirik ed Hernan d’altro canto interrompevano sempre i nostri discorsi con battute di spirito, ma a me non infastidiva, era da tanto che non ridevo così e non mi dispiaceva affatto abbandonare l’abitudine alla seriosità cui mi aveva costretto il Perpetuo Camminare: quasi sempre da solo o in compagnia di creature comunque diverse da me, eccessivamente gioiose e scanzonate oppure inquietanti e solitarie.
Rispetto al mondo che avevo osservato dalla finestra del St. Olavs Hospital, dentro quell’involucro di ferro ed in compagnia di quegli uomini, circondato da un dolce tepore e con malinconiche note che venivano fuori da piccole griglie nere circolari poste su ogni lato d’apertura, capii di aver espresso un giudizio affrettato. Forse quando guardiamo tutte le cose dall’alto queste possono spaventarci, ma quando ne accogliamo solo una parte e da essa siamo a nostra volta accolti, allora la sensazione è quella di sentirsi al sicuro, come quando durante le tempeste di neve mi rifugiavo dentro la roccia della montagna ed accendevo il mio fuocherello per scaldare un buon piatto di porridge: se avessi visto dall’alto la tormenta avrei avuto pena di tutte le creature dabbasso, ed invece ero lì, al sicuro nelle viscere della terra, senza preoccupazione alcuna. Mentre ero immerso in questi pensieri Daniel disse: <<Di questo passo arriveremo a casa mia domani mattina.>> E, a seguire, Eirik: <<Già, sembra che tutta Trondheim oggi abbia deciso di mettersi in strada, d’accordo che è sabato, ma in questo periodo dell’anno è strano che ci sia questo traffico.>> <<Daniel, è tutta colpa tua che hai preso un appartamento in centro.>> disse Hernan <<Si, ma vuoi mettere la comodità di avere il “Den Gode Nabo” appena sotto casa?>> rispose Daniel ridendo. Io chiesi perchè un “buon vicino” dovesse trovarsi solo vicino casa di Daniel e tutti risero, ma oramai non ci facevo più caso, anzi mi piaceva che le mie osservazioni suscitassero la loro ilarità. Benjamin si preoccupò di colmare quella mia ennesima lacuna: <<Il “Den Gode Nabo” è un locale dove si serve da bere e da mangiare, un posto molto frequentato dai giovani di Trondheim. Magari più tardi ci facciamo un salto.>> Quante cose nuove dovevo imparare! Allora ero incuriosito da tutto ciò che mi circondava, eppure adesso ho ridimensionato parecchio il giudizio entusiasta che avevo formulato su quel mondo: tutte quelle cose sembravano essere state costruite per costringere la gente a restare per tutta la vita in un solo luogo. Io col mio Tee-pee potevo andare ovunque, mentre loro preferivano quelle costruzioni con dentro decine e decine di stanze circondate da un materiale freddo e senza vita. E poi le luci, sembrava che la notte non dovesse esistere: in ognuno dei posti in cui quelle creature si riunivano non c’era mai un momento di silenzio e di oscurità totale. Credo che questo sia destabilizzante. D’accordo sul mettere radici e rifugiarsi in un luogo confortevole, ma la natura ha creato la notte per permettere alle sue creature di riposare e così il giorno con la luce ed il calore per consentire loro di essere operose… Fortunatamente i miei pensieri venivano continuamente interrotti dalle risate dei miei amici, molte volte non capivo la ragione della loro ilarità e per questo mi preme essere dettagliato nella descrizione dei dialoghi, sono sicuro che voi della dimensione numerica siate in grado comprenderli molto meglio di me.
Da lì a poco giungemmo in quello che sembrava il centro cittadino, il numero dei veicoli era decisamente superiore ma, d’un tratto, sembrava che non fosse più consentito l’accesso alle vetture, pertanto Benjamin si introdusse in un sotterraneo e lì ci separammo definitivamente dal mezzo. Avvertivo ancora molto freddo e Benjamin fu molto gentile nel darmi il suo lungo abito imbottito, così ci incamminammo per un sentiero, questa volta non percorso da aggeggi in movimento, e raggiungemmo presto un ponte di legno che si affacciava su un canale. Lungo gli argini del piccolo fiume c’erano delle case colorate sorrette da tronchi d’albero che sprofondavano nell’acqua salmastra: Rorbuer le chiamavano, uno stile che ricordava le case dei contadini, anche se le Rorbuer erano molto più grandi e belle. Mi piacque pensare di trovarmi nel futuro. Il silenzio e la tranquillità che si respirava in quella zona quasi mi incantavano, per questo mi rivolsi a Daniel: <<Sei fortunato a vivere da queste parti, c’è molta pace… >> <<Ecco vedete?>> esclamò Daniel <<Finalmente qualcuno che sa cosa significa vivere. Comunque non ti illudere “Perduto”, aspetta di entrare nel pub “del buon vicino” e vedrai che bolgia infernale!>> Rise e ci invitò a seguirlo oltre il ponte, sulla strada che dava sul canale c’era un cartello con su scritto: Øvre Bakklandet.
Daniel abitava in una casa, o meglio, in una delle finestre di una casa che si vedeva dal ponte. Vista da fuori sembrava molto piccola, ma dentro c’era spazio a sufficienza. Daniel prese in consegna i cappotti (così almeno li chiamavano) e ci fece strada verso una stanza molto grande dove diversi morbidissimi sedili accolsero i nostri corpi. Altro che muschio e rocce, quella gente era riuscita a rendersi la vita davvero facile. Benjamin armeggiò con una strana scatola dalla superficie riflettente molto opaca che si illuminò ad un suo comando e quella fu la mia più grande sorpresa. Inizialmente pensai che avessero imprigionato degli esseri viventi dentro uno specchio con un sortilegio, poi mi fu spiegato che si trattava di un congegno che permetteva di trasmettere a distanza le immagini raccolte dagli occhi di altri individui. Questa cosa mi parve magica e straordinaria, le persone di quel mondo dovevano ritenersi fortunate ad avere un simile strumento, ognuno poteva trasmettere ai suoi simili le proprie emozioni ed eventualmente anche consigli. Immaginavo quante cose avrei potuto dire a “Perduta” durante il mio viaggio, sarebbe bastato avere quelli che i miei amici chiamavano “videocamera” e “satellite” e non avrei sentito la sua mancanza così come la avvertivo in quel momento… e come la sento anche adesso.
Fui distratto dalla meraviglia della scoperta quando Benjamin si rivolse a me con queste parole: <<“Perduto”, lascia stare quella roba, non c’è mai niente di buono!>> <<Ma come? Un simile strumento può essere solo fonte di conoscenza.>> << Se fosse ben sfruttato si, però oramai chi controlla questi mezzi si preoccupa solo di servire la conoscenza sterile e banale di una società che non vuole più pensare, è solo una droga che permette alle persone di illudersi che la vita abbia un senso.>> Benjamin era molto amareggiato, forse Hilde non aveva disdegnato di fare visita al suo cuore. I suoi occhi, azzurri come il cielo, erano profondamente tristi, ma scorgevo ancora in lui una forza vitale superiore a quella di tutti coloro i quali si accompagnava. Gli chiesi di Grethe, della sua Grethe, ed egli si limitò a rispondermi: <<Mi manca tanto, sono stato insieme a lei per poco tempo ma era come se facesse parte della mia vita da sempre.>> Nel frattempo Daniel si affacciò nella stanza con in mano un vassoio con cinque bicchieri di cristallo colmi di una bevanda color oro pallido: <<Birra per tutti!>> disse, e così porse a me il vassoio dal quale presi il bicchiere con la schiumosa bevanda. Hernan si alzò in piedi dicendo: <<Brindiamo alle nuove conquiste che a breve ci raggiungeranno!>> e tutti quanti urtarono i loro bicchieri gridando: <<Alle nuove conquiste!>> Credetti si trattasse di un buon augurio e così assecondai il loro rito insieme a Benjamin, il quale tuttavia sembrava il meno entusiasta di tutti. Quando il primo sorso di birra scivolò attraverso la mia gola provai una sensazione di piacere indescrivibile, aveva parte del buon sapore del frumento appena raccolto e del luppolo, che in verità non amavo tanto, ma che nell’insieme conferiva a quella bevanda un gusto molto speciale. Terminai di berla prima degli altri e Daniel, immediatamente accortosene, riempì ancora una volta il mio bicchiere, facendomi godere di nuovo di quell’ottimo sapore.
In un tempo che non saprei ben definire avvertii un certo torpore, non riuscivo a mettere perfettamente a fuoco le persone e gli oggetti nella stanza, quando pronunciavo una qualche parola le frasi venivano fuori lentamente ed il mio tono di voce non era il solito. Anche gli altri sembravano soffrire della stessa malattia. Probabilmente avevo anch’io gli occhi stretti e lucidi, anche se non avevo modo di verificarlo. <<Come va “Perduto”?>> chiese Benjamin <<hai bevuto tre boccali di birra, io ne ho bevuto solo uno e mi sento su di giri, immagino come stia tu con due litri in corpo!>> e rise. Fortunatamente, prima che mi preoccupassi, Benjamin mi informò che quella sensazione era derivata dall’effetto della bevanda, che era una cosa positiva, un modo per vivere la vita in maniera più distaccata e ridere in compagnia degli amici. Da lì in poi i ricordi si fecero nebulosi, ricordo solo che qualcuno si lamentava del fatto che delle donne avessero “dato buca”, poi alcuni proposero di uscire in strada, Daniel mi porse delle vesti: <<Tieni amico, metti questi, ci sono anche delle scarpe molto calde.>> Ricordo di essere uscito insieme agli altri, alcuni cantavano per la strada, c’era molta allegria nell’aria, Benjamin mi chiedeva sempre: <<“Perduto”, hai nostalgia dei boschi?>> ed io rispondevo ridendo, non riuscivo a smettere di ridere, non riuscivo a parlare, però non stavo male, anzi, non mi ero mai sentito così bene in vita mia. Daniel aveva ragione, il pub “del buon vicino” era proprio sotto casa. Non appena dentro mi scontrai con due uomini che stavano correndo fuori in tutta fretta, uno di loro mi lanciò un’occhiataccia. Poi mi sedetti insieme agli altri, portarono ancora delle bevande ed io continuai a bere, anche se non sentivo il bisogno di dissetarmi. Da quel momento i miei ricordi furono quasi tutti cancellati dall’alcol, ricordo solo Benjamin che mi ripeteva: <<Avanti “Perduto”, cerca di tenerti su, andiamo a casa.>> La testa pesante, il corpo ingestibile, sembrava che avessi sulle spalle dieci uomini e che, per questa ragione, tutti i miei movimenti fossero terribilmente lenti e non armoniosi.
Le luci si allungavano da tutte le parti, la strada nera scorreva davanti ai miei occhi, Benjamin ripeteva sempre: <<L’hai vista, l’hai vista come si baciava con quell’altro? L’hai vista “Perduto”? Non lo sopporto, mi sento morire dentro!>> Non riuscivo a rispondere, ridevo soltanto. Dio, avessi potuto dirgli qualcosa in quel momento.
Mi svegliai su di un morbido letto, ero nudo, forse mi ero spogliato durante la notte per il caldo. Mi sentivo come se mi avessero preso a pugni la testa. Chiamai Benjamin, ma non ebbi alcuna risposta. Mi alzai dal letto e persi immediatamente l’equilibrio, vomitai un liquido giallastro sul freddo pavimento della stanza. Raggiunsi la porta mentre continuavo a chiamare Benjamin, oltrepassai l’uscio e raggiunsi un corridoio con delle pareti trasparenti dalle quali entrava la luce del sole. Era una bella giornata, come non ne vedevo da tempo. Percorsi il corridoio e, voltato l’angolo, vidi Hilde. Era terribile, il volto macchiato di sangue e gli occhi che, come buchi neri, attiravano e distruggevano la luce intorno in una penombra irreale. Hilde, il demone del vuoto, aveva raggiunto quella casa e colpito Benjamin. Sulla parete c’era l’impronta di una mano lasciata col sangue ed altre chiazze tracciate con la disperazione di chi avrebbe voluto tornare indietro sulle proprie decisioni. Poi Benjamin, riverso in terra, in una pozza di sangue rosso scuro, con i polsi martoriati dalle ferite. Solo adesso riesco a parlarne, perché per giorni quell’immagine mi ha tormentato senza tregua.
Il dolore di quel momento mi trasformò presto in un cuore sanguinante, a quella vista Hilde gridò con tutte le anime dannate che aveva in corpo, per poi scomparire nel buio. La luce del sole disperse le ombre illuminando il corpo senza vita di Benjamin e così vidi delle grandi ali posate sulla sua schiena ed il suo viso pallido con un’espressione talmente triste da rendere insopportabile il sentimento di pena che mi schiacciava il cuore. Cuore pulsante ed insanguinato, io, creatura sospesa annientata dall’odio di Hilde, non potevo sopportare altro dolore e così esplosi ed il sole portò la mia anima con sé.
Alto nel cielo volavo insensibile, trascinato da un turbine di particelle, sempre più in alto, oltre le rade nubi, fino a che il sorriso di Grethe non incrociò il mio cuore. <<“Perduto”, mia amata creatura, questo mondo ti è alieno,>> disse Grethe <<ma non temere la sorte del tuo amico, guarda alla tua destra.>> Un altro turbine di particelle si allungava al mio fianco e lì dentro Benjamin ruotava come in estasi, poi si fermò davanti a me e spiegò le grandi ali, mi sorrise e in un attimo si lanciò in alto per scomparire oltre il sole.
Senza che potessi dire altro, né a Grethe, né a Benjamin, mi ritrovai ai piedi della quercia, ancora fra i miei boschi. Nel cuore avevo un grande dolore. Il mio amico Benjamin aveva bisogno di me ed io mi ero lasciato annientare da un calice di amaro veleno. La mia fragilità e quella di tutti gli esseri viventi mi riempiva il cuore di pena, l’incapacità di Dio di concedere a Benjamin uno scudo che si opponesse alla malvagità di Hilde ha inferto un duro colpo alla mia fede. Forse Dio è solo una creatura sospesa come me, magari più potente, ma incapace di determinare il fluire delle cose, incapace di sostenerci davvero. Forse Egli si limita semplicemente a mandarci dei messaggi, ma il resto tocca sempre a noi, a noi così fragili, così incapaci di sostenere il peso della vita e delle nostre scelte, a noi che ci perdiamo continuamente, che a volte sogniamo che tutto possa essere diverso, che una caverna ed un fuoco sotto la tormenta possano essere il nostro facile rifugio dalla disperazione. Ben presto, però, l’ansia di cambiamento, le fasi di passaggio, le continue discese e risalite dai pozzi dell’angoscia, ci costringono al disincanto, portandoci a credere che nulla possa superare la fredda materialità delle cose e che le nostre emozioni siano imprigionate in un mondo incapace di accoglierle in eterna coerenza. La natura metafisica dei sentimenti si trasforma così in meccanica della nostra mente e seppure il sorriso di Grethe mi illumina il cuore, seppur Benjamin mutato in angelo e asceso al cielo ha rasserenato oggi il mio animo, è qui che devo passare la mia vita, è qui che devo sostenermi fin quando la natura non deciderà di portarmi via, perché mai e poi mai una creatura vivente può arrogarsi il diritto di interrompere il proprio rapporto con essa. Le anime mutano in qualcosa di superiore ogni giorno che passa, i mattoni delle nostre esperienze costruiscono le barriere che ci permettono di affrontare la malvagità di Varg e di Hilde ed ogni mattone in più, ogni delusione in più, è una forza che si oppone a ciò che distrugge la vita.
Oggi il vento del disincanto è ancora posato su di me, ma so bene che domani un nuovo vento si farà strada fra le valli e salirà su, fino alle vette più antiche, per soffiare via le foglie dal sentiero che percorro, per preparare una nuova strada che mi porti altrove, o forse in un altroquando.
Abbiate cura della vostra vita, come io ne avrò sempre della mia.

(dedicato ad antonio)

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(da Linea di confine, una favola d’amore. Di Nicola Randone con il contributo di Emanuela Fragalà)

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

3 Comments

  1. Ahimè, Ahi vita!
    Ahimè, ahi vita! domande come queste mi perseguono,
    D’infiniti cortei d’infedeli, città gremite di stolti,
    Io che sempre rimprovero me stesso, (perchè più stolto
    di me, chi di me più infedele?)
    D’occhi che invano anelano la luce, scopi meschini, lotta
    rinnovata ognora,
    Degli infelici risultati di tutto, le sordide folle anfamanti
    che in giro mi vedo,
    Degli anni inutili e vacui degli altri, e io che m’intreccio
    con gli altri,
    La domanda, ahimè, che così triste mi persegue,-che v’è
    di buono in tutto questo, o Vita ahimè?

    RISPOSTA
    Che tu sei qui -che esistono la vita e l’individuo,
    Che il potente spettacolo continua, e che tu puoi contri-
    buirvi con un tuo verso.
    nilimafama
    Walt Whitman – tratto da Foglie d’erba

    A tutti quelli che come me soffrono il “mal di vita” e naturalmente a te Nico, che con i tuoi racconti addolcisci le giornate!

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