Insicurezza e genitorialità

21 Agosto 2020
5 minuti di lettura

Oggi mi sono fermato a pensare ad uno degli aspetti che più stanno dandomi filo da torcere nel mio acquisito ruolo di padre, e non parlo tanto delle questioni pratiche sulle quali tutto sommato ho compreso di avere un certo controllo, ma su quelle legate alla formazione della coscienza di mio figlio.

Non mi stupisce più di tanto il fatto che giorno dopo giorno tale preoccupazione si sia trasformata in un vero e proprio malessere: da qualche tempo ho imparato a riconoscere le strategie d’attacco della mia tigre di carta ed è facile che un pensiero ossessivo che non ha risoluzione possa trasformarsi in un sintomo psicosomatico. Provando a cercare le ragioni di questo malessere, anche alla luce dei miei ultimi incontri/scontri con l’ansia, le trovo nell’indefinibile ed irrazionale preoccupazione che preso dalle mille cazzate del quotidiano possa non avere il tempo, la forza o semplicemente l’intelligenza emotiva di accorgermi di una sua tristezza mal celata o semplicemente di un’infelicità cronica, quasi fossi certo che una malattia potrebbe a mia insaputa raggiungerlo e decidere di portarmelo via.

Solo qualche ora fa, mentre dormivo accanto a lui, si è svegliato con un grido e rotolando verso il mio lato del letto mi ha poi avvinghiato in una stretta di una forza sorprendente per un bimbo della sua età: un gesto motivato dall’urgenza di sentirsi confortato da una figura che, evidentemente, possiede ai suoi occhi il potere di dissipare qualsiasi preoccupazione. In quel momento ho pensato cosa avesse potuto vedere o sentire all’interno del suo sogno per temere così tanto la dolce ombra e la piacevole solitudine di un sonno ristoratore ed ho pensato a me, perché anch’io certe notti mi sveglio con dei pensieri cupi e mi rammarico di come abbia perso quella confortante presenza che mi rassicurava su qualsiasi dubbio, quell’entità sovrannaturale con cui litigavo aspramente per il suo modo di gestire le nostre esistenze e che proprio in ragione di quel conflitto la sentissi vicina a me, proprio come un genitore affettuoso nei primi anni di vita di un cucciolo di uomo.

Non nego che sia preoccupato del momento in cui anche mio figlio si allontanerà da me, perché del fatto che accadrà sono sicuro, e le ragioni saranno le stesse che hanno portato anche me a lasciare il rassicurante nido di coloro che mi hanno dato la vita. La nostra crescita mentale è programmata per renderci consapevoli del fatto che i nostri genitori sono in uomini in carne ed ossa come noi e non quelle entità ultraterrene capaci di qualsiasi miracolo che adoravamo da piccoli. Adesso che sono adulto in loro posso scorgere quei terrori che imparavano a nasconderci quando ero un bambino, ne ho smascherato i difetti, i piccoli egoismi, la colpa del non sentirsi pienamente soddisfatti delle proprie scelte e l’ansia crescente per l’inevitabile sorte che senza distinzioni di genere e di classe porterà, anche loro, al tristo mietitore. A quel punto, quando la scoperta della fragilità umana nelle anime dei propri genitori è compiuta iniziamo a cercare altro, perché di questo si tratta: siamo fragili coralli nel mare della vita, splendide e rare creature che l’universo tutto ci invidia, ma abbiamo bisogno di sentirci aiutati nelle difficoltà, di pregare e sapere che dall’altra parte qualcuno ci ascolta. Nella mia esperienza, il momento che mi ha portato a cercare disperatamente il mio secondo padre in quello celeste che mezza umanità venera, è stato segnato da una lunga battaglia, talvolta mi è sembrato di scorgere il suo viso tra le foglie degli alberi e la sua voce nel vento che si sollevava sulla cima del Cebreiro, ma oggi che sono intrappolato in una quotidianità fatta di doveri sociali, con tutta la merda che l’umanità vomita attraverso i social network e la disperazione di quelli che a differenza nostra non sono nati nei cosiddetti paesi ricchi, inizio a credere che siamo davvero soli, che la nostra esistenza è frutto di una straordinaria casualità o magari, come dice qualcuno, di un’entità extraterrestre per nulla interessata ai nostri destini. Come in passato vorrei trovare in questa mia amarezza una ulteriore prova della mia fede che, nonostante i dubbi della ragione, persegue con tenacia la sua ricerca della verità, ma non è più così: a parte questo momento di sfogo, non ho alcun desiderio di parlare con Lui. Qualche tempo fa ho provato ad invocare il suo aiuto, a darmi una prova della sua presenza, l’ho fatto soprattutto quando ho temuto per la mia vita e per il destino di Corrado Santiago che sarebbe dovuto crescere senza di me, ma alla fine, nel mio profondo, sapevo bene che erano solo parole al vento, perché tanti padri perdono le loro vite nelle guerre assurde degli uomini o perché la natura ha deciso così per loro. Ah, la natura matrigna, oggi come allora non riesco a vederla in altro modo, proprio come il poeta che tanto amavo nei miei anni di liceo. Troppe volte ho provato ad impormi un diverso modo di sentire ed in certi periodi della mia vita è andata anche bene grazie all’aiuto di alcune letture illuminate o di esperienze importanti come il Cammino, poi però torna la mia vecchia inquietudine, quella dell’adolescente che in tempi non sospetti scriveva dei vermi che sarebbero venuti a mangiarlo o dei calabroni che gli avrebbero inquinato il cuore.

Certo, oggi le cose sono molto diverse da allora, l’amore per mio figlio ed il desiderio di proteggerlo hanno superato qualsiasi egoismo, ma quello che è stato il timore per il mio destino, si è trasformato adesso in preoccupazione per il suo: cosa accadrà nel suo mondo quando anche lui scoprirà che non sono l’eroe che può salvarlo da qualsiasi paura; e se dovesse ammalarsi di solitudine e tristezza?! Come strapparlo a quel veleno che trasforma le vite degli uomini che la natura ha voluto troppo sensibili per questo mondo. A volte la fragilità di noi esseri umani mi spaventa e mi angoscia la possibilità che un evento apparentemente insignificante possa condizionare l’intera nostra esistenza; ah la musica, quante volte è riuscita laddove il padre celeste non poteva nulla: sentivo uscire da me il dolore e lo vedevo trasformarsi in parole e melodie e così, dolcemente, mutare in malinconia, ma è un rimedio umano e per questo destinato ad esaurirsi, come tutto ciò che facciamo.

Non ho dubbi sul fatto che, a conti fatti, la fede in un padre celeste possa essere l’unica salvezza al mal di vivere, forse perchè tra tutto ciò che esiste, Lui è l’unico che non possiamo “realmente” raggiungere, ed è solo per la speranza di ricongiungerci a Lui che la morte può esserci sorella e la malattia ed il dolore la Via.

Oggi ho voluto scrivere di questa sensazione che mi accompagna da molto tempo, da prima che Corrado Santiago giungesse nel suo affascinante mondo coraggioso. Ne ho voluto scrivere perché mentre mi abbracciava dopo aver gridato, mi sono chiesto perché non riesco a godere a fondo della sua grande considerazione nei miei confronti; la forza che sento nel suo abbraccio quando ha paura, gli occhi con cui mi guarda se gli racconto una storia che lo appassiona, la felicità infinita ed inspiegabile che solo un padre può provare e che è davvero difficile da descrivere d’essere, per lui, tutto il mondo ed allo stesso tempo voler essere, per lui, tutto il mondo, dovrebbe bastare a farti sentire felice e realizzato ed invece a me sembra che sia troppo, che non lo meriti, che possa deluderlo perchè in realtà è solo una sua illusione.

Vorrei solo essere più sicuro di me…

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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