Oggi, passeggiando per il mercato in fondo alla Via Pacini ho incrociato un uomo che parlava ad alta voce con sè stesso. Tra bancherelle di verdure e frutta, mischiato al chiaccherio concitato della gente, le sue parole: che pace, qui l’uomo ha raggiunto la sua origine, e chi sono io!?
Incuriosito decisi di seguirlo, con i sacchi carichi di verdure e pomodori si faceva strada tra la gente a testa alta, un punk vestito di borchie e cani gli si mette davanti e gli chiede: mangi verdure oggi? Bravo, anch’io sono vegetariano!
Lui non lo degna di uno sguardo, gli si avvicina e con voce bassa dice: perchè non costruisci un tempio per la tua vita!?
Poi si allontana lasciando 2 monete sul piatto. Lo seguo, ed ancora lo ascolto parlare: che razza di uomo sono a giudicare così un mio simile. Dovrei fare penitenza… ecco, non mangerò la carne.
Così l’uomo tornò indietro al banco della carne, la posò sul bancone senza dire una parola, e riprese la sua strada. Io continuavo a stargli dietro, come se in quel momento i nostri corpi fossero legati da un filo invisibile. Non ho voluto chiedermi il perchè della mia ostinazione nel seguirlo, sapevo che ogni ricognizione razionale in quel fatto avrebbe comportato la rottura del legame, ognuno avrebbe continuato per la sua strada ed io avrei dovuto tornare a confrontarmi con la quotidianità dei miei dolori. Così gli stetti ancora dietro, attento a non perdere una sola parola dei suoi discorsi: c’era un tempo in cui le persone si incontravano per stare in compagnia. Oggi no, oggi le persone si incontrano per un fine diverso, per capire cosa possono succhiare all’altro: se l’altro ha qualcosa di grande da dare, allora eccoli come piccoli e squallidi avvoltoi pronti a saltare sulla preda e a contendersela tra loro. Ma io sono qui, da solo, e non mi faccio avvicinare, io resterò solo e saprò farmi buona compagnia per tutta la vita, mi serve solo qualche mese, nel giro di qualche mese ne sarò capace, e questa tristezza scivolerà via come il grasso in una stecca da biliardino.
– I miei occhi… dio, avessi visto i miei occhi quando piangevo. Dio, perchè non scendi sulla terra e li guardi adesso, guarda come non riesco a sorridere cogli occhi… sorrido con ogni parte del mio viso, ma non riesco cogli occhi, e le persone mi dicono: perchè hai gli occhi tristi. Ed io gli dico: è un momento, passerà, è solo un momento, è morto il mio cane, aveva 17 anni. Con lui è morto anche il mio cuore, aveva 50 anni, ho bisogno di un cuore nuovo, ho anche bisogno di un’altra creatura d’amare… ma solo adesso, tra qualche mese no, tra qualche mese mi basterò da solo, e starò seduto sulle pietre nere di San Giovanni li Cuti a prendermi il sole, e nulla più. –
Dopo aver sentito le ultime sue parole ho sorriso, il pensiero è subito andato a Montella, a quei dolcissimi 20 giorni trascorsi in pace ed armonia con i frati. Lì ho compreso che il senso del vivere sta appunto nel vivere e basta, godere del profumo della natura e dei colori del mondo, godere del solo suono del proprio respiro e lasciare che la tristezza possa attraversarci di tanto in tanto, la tristezza che commuove, la tristezza che fa scrivere canzoni, poesie, o che ci fa amare di più il prossimo, non l’angoscia fulminante che ti isola dal mondo e ti costringe a letto, che non ti fa mangiare, che non ti fa dormire, che ti lascia addosso l’odore pesante del sudore.
Quell’uomo aspettava la serenità del solo vivere…
Appena fuori dalla Via Pacini l’uomo imboccò la via Etnea e scese fino a Porta Uzeda. Poi prese a camminare verso la villetta, lì sedette su una panchina e con lo sguardo immobile rivolto alla fontana si acquetò. Io mi avvicinai, mi sedetti vicino a lui e lo stetti a guardare: 1 ora, 1 giorno, forse 1 anno. Invecchiai, sorrisi, piansi… dopo un tempo indefinito mi sono trovato solo, con le mani sulla testa e gli occhi rossi, nello stesso posto di 50 anni fa, ai piedi di una panchina, con una giovane donna che piangendo mi abbandonava al mondo.