Le passioni al tempo di Internet

15 Novembre 2003
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di Remo Bodei

 

1) Cominciamo con l’affrontare l’argomento di oggi, le passioni nella società attuale, con la domanda di Miriam Ballerini la quale le chiede: “Mi sembra che la duplicazione platonica tra realtà e apparenza abbia dato luogo alla secolare distinzione tra mente e corpo, che è poi diventata il tratto distintivo del pensiero occidentale. Sta qui l’origine dell’impoverimento passionale del nostro pensiero? E se si tratta di un elemento fondante, potremo mai noi occidentali articolare un pensiero capace di non rimuovere la sua componente passionale?”

“Platone non è responsabile solitario di questa separazione tra anima e corpo. È vero che lui ha detto che il corpo è prigione dell’anima, ma poi c’è anche una tradizione cristiana in cui però bisogna fare delle distinzioni. Quando per esempio san Paolo parla di peccati della carne non intende quella che sta attorno alle ossa, perché la carne nella traduzione del termine ebraico significa ribellione, tant’è vero che Satana, che è puro spirito, rappresenta colui che tenta la carne e in questo senso la carne si ribella. Per quanto riguarda la scoperta del momento delle passioni del corpo non è una cosa di oggi, anche se oggi ci siamo abituati a sapere che noi non abbiamo soltanto un corpo, ma siamo un corpo. C’è una vecchia tradizione che risale allo stoicismo greco e romano secondo cui tutto è corporeità, però la materia è animata e vivente. Quindi non si può fare la separazione tra corpo e anima. Anzi, se mi permette una battuta, è un po’ come quegli impermeabili, cappotti double-face, da una parte c’è il corpo e dall’altra c’è l’anima. Oppure, per fare un altro esempio, è sbagliato dire che il sorriso è soltanto una contrazione di muscoli: è una contrazione di muscoli se gli togliamo però quell’elemento di carattere culturale e umano che fa del sorriso qualcosa di più di una contrazione di muscoli, allora non capiamo niente. D’altra parte non possiamo nemmeno dire come Alice nel paese delle meraviglie che c’è il sorriso del gatto senza il gatto, per cui noi dobbiamo considerare anima e corpo come un insieme ed è quello che appunto in età recente si sta riscoprendo perché il nostro sangue circola, gli ormoni vengono secreti dalle ghiandole, i nostri globuli bianchi si immolano a milioni per guarirci da qualche infezione e tutto questo senza che noi ce ne rendiamo conto. Tant’è vero che un filosofo come Nietzsche ha potuto dire che il corpo è la grande ragione e quella che noi chiamiamo ragione è la piccola ragione. Si è un po’ esagerato in questo perché si è ridotto tutto a funzioni fisiologiche. Ecco dobbiamo imparare a comprendere il corpo con le sue passioni, nel senso del patire e nel senso della passione nostra dell’agire come qualcosa di unico che dobbiamo saper controllare, dimenticando in parte la tradizione platonica e cristiana ma ricordandola per quello che riguarda un antidoto cioè di non considerare il corpo un semplice organismo biologico”.

2) La domanda di Vanda Bassi tenta invece di focalizzare questo argomento sul linguaggio. Vanda Bassi le chiede: “Che ruolo occupa il linguaggio tra la pulsione, il desiderio e l’espressione delle passioni? Che cosa si vuole dire quando si afferma che nella nostra società sta venendo meno la capacità di esprimere passioni ed emozioni? Perché questa afasia sarebbe all’origine di alcuni guasti e disturbi profondi?”

“Intanto l’afasia nella nostra società è relativa. Io parlerei piuttosto di un impoverimento espressivo. Non abbiamo quella civiltà, quella educazione sentimentale che potevano avere le élite dei secoli scorsi, senza arrivare a un Proust. E quindi tendenzialmente non è che non ne parliamo, ne parliamo in modo smozzicato, banale, non siamo capaci di articolare il significato e il senso delle nostre passioni. Quindi dobbiamo riapprendere ad esprimere le passioni, dobbiamo certamente utilizzare la nostra capacità linguistica per dar voce a qualche cosa che quando è così potente da rompere tutti gli ambiti del significato non si esprime. Per esempio le passioni quando sono violente, le passioni esplosive come l’ira, già gli antichi lo sapevano, provocano aborti di concetti, diceva Seneca, provocano un linguaggio che resta in gola. Quindi bisogna prendere una certa distanza dalle passioni, nel senso anche che questo distacco permette a chi è passionale, a chi ha passioni per esempio come l’ira o l’amore trasformate in sdegno o in poesia, di dare il massimo di espressività. Quindi, non bisogna avere una eutanasia delle passioni per star bene o per esprimersi bene. le passioni devono restare ma guardate a distanza. D’altra parte ci sono delle passioni di quelle rischiose tipo l’invidia, il desiderio di vendetta, o l’odio freddo che molte volte riescono ad articolar bene quello che vogliono dire, quello che vogliono esprimere, però non lo fanno con questa congiunzione perfetta che è quella di un distacco dalle passioni in cui le passioni e la razionalità riescono a dialogare insieme”.

3) Rai Educational: “Da queste prime due risposte che ha dato sembra che in qualche modo il linguaggio deve frequentare più il corpo, il corpo nell’accezione che lei ha dato, espresso, nella prima risposta. È vero o no?”

“È vero anche in senso più lato del linguaggio verbale, penso al linguaggio gestuale. In fondo una delle cose che separa la cultura occidentale da quella orientale, indiana o cinese, è che noi abbiamo una grande espressività nella superficie del volto mentre loro tendono ad essere impassibili, soprattutto i cinesi. Ma non abbiamo invece una espressività al livello delle altre parti del corpo, a meno che uno non faccia il ballerino o qualche arte marziale. Cioè noi siamo sostanzialmente tutto viso e tutto testa. In senso invece più ristretto, per quanto riguarda il linguaggio verbale, la corporeità è espressione nel campo del teatro o del cinema: l’attore con un famoso paradosso è quello che è capace di esprimere quello che non sente. Quindi il nostro corpo deve essere considerato come uno strumento quasi musicale. Non dico che bisogna diventare virtuosi, sarebbe bello, ma per esempio certi gesti che noi chiamiamo volgari o di impazienza o di astio, riguardo alla compostezza che uno riesce ad avere o che potrebbe avere, sono qualche cosa da scartare. Cioè noi dobbiamo purificare sostanzialmente nel senso di rendere elegante le nostre espressioni corporee. Noi siamo vittime di un ingorgo di passioni che ristagnano in noi per la maggior parte proprio perché non abbiamo gli strumenti più raffinati per esprimerle. Quindi, c’è una forma di approssimazione o di banalità. La possibilità di esprimere le passioni, passioni corporee o passioni della mente, è dovuta anche al fatto che bisogna riapprendere a sillabarle, dobbiamo risillabare le passioni come si fa nella scuola elementare, partire magari dalle aste più che dalle sillabe”.

4) La domanda di Fiorenzo Baratelli si incentra invece proprio sulla società attuale chiedendole: “Con il titolo ‘Le passioni perdute’ sembra si voglia intendere che stiamo vivendo in un tempo quasi senza passioni. Ma quali sono le fabbriche delle passioni di oggi? Chi sta egemonizzando l’immaginario collettivo?”

“Perdita delle passioni non lo prenderei alla lettera. Le passioni sono camaleontiche, restano più o meno le stesse nel tempo e cambiano. È un po’ come nel romanzo di Tomasi di Lampedusa, che tutto cambia perché tutto resti uguale. Quindi non è che noi abbiamo perduto l’amore, l’ira, il desiderio di vendetta, l’invidia, la gelosia. Restano ma modulate in maniera diversa. Prima le fabbriche delle passioni tradizionali erano la famiglia, il tipo di ambiente sociale in cui si viveva, la chiesa, il partito politico, la squadra di calcio o di ciclismo, questo è ancora così. Oggi le grandi fabbriche sono le fabbriche delle comunicazioni di massa. Sostanzialmente televisione, cinema, meno teatro, che danno dei modelli che fomentano per ragioni economiche soprattutto la passione acquisitiva: i desideri, I desideri, attenzione, sono passioni. Sono passioni declinate al futuro, attese di beni futuri. Quindi senza demonizzare il consumismo, perché se non si consuma non si produce, se non si produce il nostro sistema va a catafascio, allora non bisogna scambiare gli effetti con le cause perché se si vuole togliere il consumismo bisogna cambiare tutto il sistema sociale. E quindi le fabbriche delle passioni oggi sono quelle che mi spingono a desiderare. E anche in forma simbolica, una donna al posto di una birra, una bionda nel sacco, o al posto di un automobile o di un whisky. Quindi c’è questa fabbrica delle passioni che è molto potente perché l’uomo si è scoperto, non da ora ma oggi è diventato più chiaro, che non è solo un animale razionale, è anche un animale desiderante e quindi fomentando i desideri si produce un certo tipo antropologico di persona. Questo vale però per l’Occidente per i ceti più o meno abbienti ma le fabbriche di passioni altrove, pensiamo in Paesi come l’Iran o l’Iraq, tornano a essere quelle delle religioni. E quindi noi non dobbiamo dimenticare che grandi parti del mondo non condividono le nostre passioni e che passioni che sembrano scomparse qua, altrove – per esempio se pensiamo all’odio che separa israeliani e palestinesi – abbiamo un altro esempio di sentimento, che noi cerchiamo di nascondere perché non è di buon gusto mostrare odio nelle nostre società, anche se poi è ritornato di moda anche da noi. Quindi, bisogna fare una mappatura delle passioni. Banalmente la gelosia di un siciliano non è quella di uno svedese, però certamente esiste anche nello svedese. E dovremmo forse allargare il discorso agli extraumani. C’è un bel libro di Darwin sull’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali in cui si mostra che naturalmente non bisogna confondere la contentezza, la gioia di un cane con quella di un uomo, ma noi capiamo quando un cane scodinzola, lo interpretiamo nel senso che è contento. Quando digrigna i denti, o ruglia come si dice in Toscana, sappiamo che invece c’è qualcosa che non va e che assomiglia all’ira o alla collera del cane. Quindi forse c’è un’evoluzione delle passioni che si vede anche dalle forme del viso che sono state studiate in cui c’è una certa lontana parentela. Quindi le passioni hanno una base chiamiamola così animale, anche noi siamo animali sebbene razionali e desideranti, una base culturale che cambia continuamente secondo i popoli e le età”.

5) Rai Educational: “Ha fatto ora riferimento al linguaggio televisivo e della pubblicità, dove sembra che accada quello che lei appunto ha detto, questa declinazione al futuro, l’attesa di acquisire un bene. Ecco, ma è tipico o è frequente delle passioni o dei desideri, lo slittamento dell’oggetto in questione, il poter spingere a desiderare qualcosa in realtà desiderando qualcos’altro”.

“Qua bisognerebbe fare una distinzione proprio fra passioni e desideri. Le passioni sono più anelastiche, cioè meno capaci di trasformarsi. Quindi se io amo Tizia amo Tizia. Invece i desideri sono più riformulabili. Non solo nel senso della volpe e l’uva, che quando qualcosa non ce l’ho dico in fondo l’uva è acerba non me ne importava niente. C’è uno slittamento continuo del desiderio perché il desiderio è per sua natura, in quanto legato al futuro, legato a un’incertezza. E è legato anche a degli smacchi, l’impossibilità di realizzarsi. Quindi questo mondo fatto di desideri è un mondo più plastico che sa arrangiarsi e che continuamente riformula l’ “oggetto oscuro del desiderio”, che però certe volte diventa semitrasparente. Il problema è di acquisire, personalmente dico, un’abilità nel gestire i propri desideri senza da un lato inibirsi i desideri: rinunciare in anticipo per paura di non raggiungere ciò che si cerca e dall’altro non avere una certa sregolatezza dei desideri, per cui io cambio continuamente, riformulo il mio quadro di aspettative e di desideri di modo che son sempre scontento perché non raggiungo mai quello che voglio. D’altra parte programmare i desideri è difficile. Per questo la felicità è improgrammabile, è un comandamento di quelli ineseguibili: come “sii spontaneo”. Non posso dire “sii felice”. E quindi la felicità in fondo, che è una passione, è qualche cosa che si ottiene creando una disposizione d’animo, senza cercarlo. Come lo zen e il tiro dell’arco: uno quando ha una certa pratica riesce a fare il centro con la freccia quanto meno è contratto, come si dice in Toscana aggronchito, cioè tutto rigido nella muscolatura, e tira en surplace e poi va a finire che così è più facile cogliere il centro”.

6) Restiamo nello scenario odierno con la domanda di Paola Pelago la quale le chiede: “Nella società attuale si assiste a un’enfasi mediatica che equipara la passione al sesso. Nell’immaginario collettivo alcune pratiche, alcuni consumi sessuali per lo più estremi sembrano occupare la sfera della passione. Che cosa le suggerisce questo fatto? Ha a che fare con un fraintendimento o è indice di qualcos’altro?”

“Il sesso è legato alle passioni e agli istinti più basilari degli uomini e degli animali. Oltretutto è una esperienza d’estasi, soprattutto nella fase finale, a cui difficilmente una volta provato, secondo gli psicologi, si rinuncia. Quindi il fatto che ci sia questa presenza del sesso non deve meravigliare. È l’aura, l’elemento onnipresente, ubiquo che ha il sesso che invece è sintomo di qualche cosa di oggi. Ed è sintomo soprattutto di una disgiunzione che si è avuta di recente con i contraccettivi chimici, sia la pillola che la pillola del giorno dopo, che non sono più i vecchi contraccettivi meccanici più antipatici e meno sicuri. Quindi per la prima volta è possibile, alla donna in particolare, disgiungere, separare la sessualità quindi il piacere dalla procreazione e questo è un elemento secondo me positivo di liberazione. L’elemento negativo è il fatto che il sesso – quando diventa oggetto di consumo, attività meccanica, alla Don Giovanni che in Spagna ne ho milletre o alla vita di una prostituta che alla fine non prova piacere e non prova sostanzialmente niente quando compie l’atto sessuale – se il sesso, dicevo, diventa qualcosa che è promosso anche qua da modelli di tipo consumistico e diventa una pura frizione di membrane, certo la sessualità è come il sorriso ridotto a contrazione di muscoli che perde ogni suo valore. Per cui l’ideale sarebbe un tipo di sessualità che da un lato è emancipata, dall’altro non diventa un obbligo quotidiano, come quello dei boy scout per accompagnare le vecchiette dall’altra parte del marciapiede. E diventa una forma di vita in cui si esprime una pienezza di gioia anche fisica, che però per essere completa, intera, non andrebbe disgiunta dal sentimento. E questo non vuol dire che uno firma un contratto matrimoniale ogni volta che fa l’amore. Vuol dire che dal punto di vista del rapporto – come si diceva prima anima corpo – se il corpo non vuole essere prigione dell’anima, ma anche viceversa se l’anima non vuole essere prigione del corpo, cioè se i nostri sentimenti non devono essere ridotti al puro atto sessuale in senso meccanico, occorre che ciascuno di noi viva intanto personalmente la sua sessualità e dall’altro lato tenga conto che un rapporto sessuale non è come diceva qualcuno ai tempi di Lenin bere un bicchier d’acqua. E’ qualcosa che implica emotivamente dei legami che poi sono non solo difficili da sciogliere, ma che sono anche complessi e portatori al limite anche di dolori e di tragedie. Anche se la procreazione è staccata dalla sessualità”.

7) Torniamo un po’ alla riflessione più filosofica con la domanda di Franco Milaggio, la quale domanda riecheggia il tema trattato prima, ma focalizzandosi su un aspetto più specifico. Franco Milaggio le chiede: “Lei pensa che la cultura razionalista, che ha trovato in Cartesio la sua espressione più alta, abbia modellato un certo modo di pensare che ha penalizzato la componente passionale?”.

“Io partirei con una difesa di Cartesio il quale poverino ha scritto come ultima opera della sua vita “Le passioni dell’anima” e ha sostenuto che noi non sbagliamo a desiderare troppo ma a desiderare troppo poco e che tutte le passioni dell’anima possono essere positive se ben organizzate. Cartesio ha il modello del dressage, cioè dell’allevamento dei cavalli nel senso che bisogna educare l’anima come si educano anche gli animali, la parte animale dell’uomo. Quindi non è contro le passioni. Il razionalismo semmai, quello che si identifica col rigorismo di Kant il quale definisce le passioni un cancro della ragione, che francamente spiega bene quello che si intende. Per cui la filosofia moderna, di matrice kantiana o di altre matrici, probabilmente sbaglia nel considerare le passioni come negazione secca della ragione. Tra passioni e ragioni c’è una specie di accordo concorrenziale. In sostanza le passioni non negano la ragione, ma quando c’è una congiunzione perfetta tra passione e ragione – non sempre c’è . noi abbiamo qualcosa di eccezionale come la musica. La musica secondo me è il più bel sistema di armonia tra passioni e ragione perché c’è il massimo nella musica di ragione, cioè di modelli matematici . anche la musica tonale, moderna, è basata su modelli ricorsivi matematici – e nello stesso tempo il massimo di pathos. Ecco, quindi se si riuscisse a unire passione e ragione si otterrebbe il massimo. D’altra parte non è vero che esistono forme di irrazionalità in filosofia che hanno escluso le passioni. Di nuovo lo stoicismo: per gli stoici tra passione e ragione non c’è opposizione, la passione è soltanto una forma di razionalità deviata. Quando per esempio Medea nella tragedia greca uccide i figli, non lo fa perché ha perso il lume dell’intelletto. Lo fa perché intenzionalmente vuole punire il marito che si è sposato con un’altra donna, la figlia del re di Corinto e per questo, ben sapendo quello che fa, ammazza i suoi figli, entra in contraddizione con sé stessa. Poi tutta la tradizione cristiana, anche questa non è soltanto relativa a considerare la passione come peccato. È vero, questa è la linea maggioritaria. Per esempio in Sant’Agostino c’è l’idea che le passioni sono buone, è l’oggetto della passione che può essere più o meno buono. Se uno fosse intelligente sceglierebbe il meglio. Dice lui: “Ti preoccupi di come vesti, dei tuoi calzari e della tua lampada e non ti preoccupi di te stesso, di fare di te stesso un’opera d’arte scegliendo le passioni migliori, ma se vuoi la felicità non contentarti di scarpe e di vestito, Dio te ne darà una più grande. E però tutto è buono, il topo e l’angelo sono allo stesso livello, sono tutte creature di Dio, è la mia volontà che sceglie verso il basso e quello è il peccato e rinuncio a un bene maggiore scegliendo quello che mi darebbe più soddisfazione”.

8) Rai Educational: “Lei ha fatto ora questo riferimento alla musica e mi è venuta in mente una frase di Nietzsche che mi è sempre piaciuta moltissimo, non ricordo da quale testo sia presa. Nietzsche dice: “In virtù della musica le passioni godono di sé stesse”. Il che fa pensare anche a un meccanismo autoreferenziale, a un non bisogno di oggetto forse della passionepura. È così?”.

“È un discorso molto bello e molto complicato. Io direi che la musica non parla di oggetti, quindi non si riferisce a niente di preciso. Per cui quando si dice che la sesta di Beethoven rappresenta una specie di scampagnata, oppure le “Quattro stagioni” di Vivaldi, l’inverno, la caccia, si dice in maniera tutta approssimativa. C’è uno studioso di musica del secolo scorso, si chiamava Hans Lich, che ha detto che la musica parla soltanto con aggettivi, quindi con tonalità emotive, e non con sostantivi, designando qualche cosa. Per cui è vero, la musica è autoreferenziale in questo senso. Un altro grande studioso e filosofo, da cui peraltro Nietzsche dipende in questo caso: Schopenhauer, ha parlato della musica come l’ultimo livello, cioè il concetto è universale rispetto ai singoli oggetti. Cioè rispetto a questo orologio la categoria di orologio comprende tutti gli orologi. Però al di sopra dei concetti universali ci sono i concetti della musica che sono ancora più universali, cioè i suoni della musica. Perché tanto è vero che la capiscono tutti, indipendentemente dalle lingue nazionali. Quindi la musica è un superuniversale, detto in parole povere, è ciò che ci tocca tutti gli uomini perché appunto, dice Schopenhauer, è il luogo in cui le passioni senza turbamento, prodotto dalle passioni reali – cioè l’ira senza la rabbia, l’amore senza i suoi patimenti – possono essere vissuti danoi con un linguaggio superiore a quello dei concetti. È interessante Schopenhauer perché noi pensiamo che la musica in quanto sentimento sia qualcosa di inferiore alla razionalità. Per lui è molto più razionale perché molto più universale cioè parla più a tutti di quanto parlino i concetti di una determinata lingua o del linguaggio umano verbale in genere”.

9) La domanda di Bianca Benedetti si rivolge invece proprio al soggetto delle passioni e le chiede: “Un pensiero appassionato è proprio di un soggetto forte o di un soggetto debole, disposto cioè a farsi attraversare da eventi e fenomeni destrutturanti quali sono probabilmente le passioni?”

“È senz’altro di un soggetto forte. Cioè chi è capace di farsi attraversare, perforare diciamo così, dalle passioni senza rimanerne vittima, cosa che capita ai soggetti deboli, è uno che arricchisce sé stesso. Il problema è quello di farsi attraversare da queste passioni, di provarle, di non tastarsi continuamente il polso per sapere ahimè se mi innamoro cosa mi succede, se divento geloso, che è una cosa brutta ma può capitare. Il problema è quello di saper articolare le proprie passioni e saperle gestire. Quindi le passioni sono un pericolo. Possono distruggere ma possono anche far crescere. Il problema è di saperle governare. Faccio un esempio nautico. Navigare di boline, come dicono gli inglesi, o di bolina, come dicono gli italiani, significa andando in barca a vela andare contro vento, a zig zag, sono ventotto gradi di inclinazione, e quindi noi possiamo governare il vento delle passioni, le tempeste delle passioni. Cicerone parlava di passioni, passio in latino voleva dire allora soltanto sofferenza, parlava di perturbationes animi, perturbazioni dell’animo, tempeste, è una metafora nautica. Quindi i venti delle passioni noi dobbiamo saperli gestire, anche quando sono passioni contrarie, brutte, e quindi navigando di bolina. Le nostre passioni noi possiamo attraversarle, senza diventare vittime. La cosa più brutta nel campo delle passioni – proprio come quando esisteva la navigazione a vela e basta – è la bonaccia. Uno muore, sta la nell’oceano per giorni, fa a tempo a morir di fame o di scorbuto”.

10) La domanda di Pietro Zabaglia forse invece sponsorizza proprio quest’idea della bonaccia. Vediamo un po’ che cosa le chiede: “Le passioni non sono convenienti, sono impegnative e poco remunerative, fanno perdere un sacco di tempo e di denaro e tolgono spazio ai veri, seppure effimeri, piaceri della vita, le famose tre ‘s’: successo, soldi e sesso. Non solo, le passioni hanno spesso condotto a vere e proprie esplosioni di violenza. Perché allora preoccuparsi di non vivere in un secolo appassionato?”

“Intanto le passioni non ce le diamo noi, cioè non è che programmiamo le passioni. E passioni sono qualche cosa che già etimologicamente è un patire. Se noi riceviamo per esempio un’offesa da qualcuno se non siamo dei pezzi di legno un sentimento di collera lo possiamo avere. Oppure se abbiamo dei rapporti sociali, l’amicizia, l’amore, sono qualche cosa che viene, che noi subiamo, in questo senso patiamo. Poi c’è il momento dell’elaborazione. Per cui l’idea che noi possiamo sterilizzarci nei confronti delle passioni è già irrealistica di per sé stessa. E poi è vero che le passioni possono essere dirompenti, l’odio, pensiamo a “1984” di Orwell in cui il grande fratello, quello vero non quello televisivo, organizza le giornate dell’odio e quindi organizza questa forma di passioni artificiali. Del resto tutti i movimenti politici del secolo passato, tutti i totalitarismi hanno giocato nell’istituzionalizzare certe passioni. Per esempio il fascismo ha puntato sul coraggio, sul sacrificio, l’abnegazione. Il comunismo, in modo più o meno beninteso, sulla generosità, sul morire per la rivoluzione. Quindi le passioni in parte esistono, in parte vengono organizzate, in parte le possiamo organizzare noi. Comunque non le possiamo dribblare, non le possiamo aggirare. Anche le passioni che possono essere più futili in apparenza – quelle passioni sportive esasperate per cui si buttano i motorini dalle scalinate dello stadio o si ammazza la gente a colpi di catene che si portano di nascosto – rappresentano passionalità malintese, ma che esistono. Il problema delle passioni è di nuovo un problema di orientamento quasi magnetico. Cioè noi dobbiamo essere capaci di orientare le nostre passioni. Parlo di orientamento magnetico perché si magnetizza un pezzo di metallo, l’ho appreso visitando una fabbrica dove li fanno. Se un pezzo di ferro normale, non magnetizzato, ha dei vettori che vanno da tutte le parti, invece passandoci, strusciandoci sopra un pezzo di ferro magnetizzato, mettendolo vicino alla macchina, tutte le molecole del ferro si orientano in una sola direzione. Lo sforzo che noi dovremmo fare con le passioni, senza ammazzarle, senza distruggerne completamente la spontaneità, è quello di indirizzarle almeno in parte e almeno momentaneamente”.

11) A proposito di passioni in qualche modo minori una domanda arrivata questa notte in redazione dopo la vittoria della Roma del campionato sembra proprio cadere a fagiolo. Giacomo Valentino le chiede: “Sono tifoso della Roma e sono troppo felice per lo scudetto appena conquistato. Per me la Roma è la più grande della passioni, arriverei a fare quasiasi cosa per lei. Perché dev’essere considerato una passione di serie B? Allora c’è un metro per stabilire una graduatoria tra le passioni? E in base a che cosa?”.

“Non ci sono graduatorie per stabilire l’intensità delle passioni. le passioni sono legate al soggetto che le prova per cui si può essere tifosi della Roma, cosa che dà grande gioia fino al punto di essere disposti a fare tutto per questo può sembrare esagerato. Ma ci sono delle cose ancora più curiose e forse perverse. C’è chi fa collezione di tappi di bottiglia e gode tantissimo, un re di Francia che invece di divertirsi a fare il re si divertiva a fare le serrature come fabbro. Quindi le passioni vanno organizzate in maniera tale da non avere però delle passioni così dominanti da fare terra bruciata sull’altro. Semplicemente per motivi di felicità perché se uno distrugge tutte le altre passioni possibili è un po’ come la monocoltura, si fa soltanto canna da zucchero o caffè come succede in certi paesi coloniali e poi bisogna importare tutte le altre merci dall’altro, importare le altre passioni dall’altro. Quindi a me non fa paura uno che è tifoso della Roma fino al punto da far tutto per la Roma, ma sarei preoccupato se fossi sua moglie che trascurasse altri piaceri”.

12) A proposito della bonaccia, dell’assenza di passioni cui lei ha fatto riferimento prima, vediamo la domanda di Cinzia Russo la quale le chiede: “L’arte contemporanea, penso alla musica e alla pittura, per molti troppo cerebrale, rispecchia questa nostra epoca algida?”

“Io non parlerei di epoca algida, parlerei del fatto che le forme espressive si sono tutte consumate, sia in musica che in pittura. Uno non può più riprodurre la musica cosiddetta classica, basata sul clavicembalo ben temperato di Bach, tecnicamente sul fatto che la nota superiore, il do diesis, viene equiparato al re bemolle, la mezza nota di su con la mezza nota di giù, che poi non è così e fino a Bach non era così. Quindi quelle forme classiche sono forme storiche. Noi non dobbiamo prendere la musica, come la sentiamo diciamo da Bach agli inizi del secolo scorso, come “la musica” e poi tutto il resto come perversione. C’è stato uno svolgimento stilistico che ha reso più difficile la fruizione della musica. E’ sostanzialmente come nella pittura di Picasso, anche se è passato un secolo, la maggior parte delle persone non colte artisticamente trovano difficoltà ad apprezzare questo. Ma dopo la fotografia era difficile continuare a riprodurre gli oggetti in maniera presuntamente veristica. Si sono dovute cercare altre forme espressive. Quindi non si tratta di algidità ma si tratta di imparare delle grammatiche o delle sintassi espressive nuove a cui molti non sono abituati. Allora troveranno per esempio anche nella musica di Stockhausen o di Webern o nei quadri astratti o persino in certe forme che fanno francamente rabbia per me, come Cristos che avvolge i monumenti con la plastica, troverà che c’è qualche volta un significato. Ecco, io distinguerei la forma algida dallo sperimentalismo. In un’epoca in cui grandi autori in pittura, in musica sembra che non ce ne siano – e gli artisti sono diventati milioni e si fanno concorrenza tra loro nel mercato e non ci sono più i grandi committenti come i papi o i principi che avevano gusto – questa inflazione del prodotto artistico genera una serie di forme presuntamente sperimentali che naturalmente sono disprezzabili. Io ricordo un concerto in cui c’era un pianoforte a coda aperto, un pianista giapponese che andava a pizzicare le corde del pianoforte alzandosi in piedi, faceva un inchino e se ne andava. Io gli avrei tirato pomodori e cavoli. Quindi l’elemento algido delle passioni è dovuto semplicemente al fatto che non si studia più, che c’è una distanza tra il sentire comune che è rimasto arretrato a Puccini o a Verdi in campo musicale e le forme espressive nuove che sembrano troppo difficili. Anche perché ad esempio in musica le dissonanze, quella di settima diminuita si dice tecnicamente che Mozart aveva introdotto, ai suoi tempi faceva raccapricciare, davano fastidio alle orecchie. Oggi non ce ne accorgiamo più che sono dissonanze. Mentre le dissonanze nuove, quelle ancora più ardite, noi le continuiamo ad avvertire come un pugno in un orecchio. Quindi è tutta questione secondo me di abitudine. Frequentiamo un po’ di più l’arte moderna, cerchiamo di capirla e vedremo che è piena di passionalità. Faccio un esempio: Sciarrino che è un musicista italiano abbastanza noto ha fatto la Divina Commedia: cento canti, un minuto per canto, in cui uno potrà discutere sulla qualità della musica, ma certamente tutte le passioni dell’inferno ci sono tutte, tutte le forme di purificazione delle passioni del paradiso perché appunto all’inferno c’è l’amore, l’invidia, eccetera, ci sono tutte. Quindi c’è una forma di espressione delle passioni che va bene”.

13) Veniamo ora a una passione forte direi. È quella che propone Anna Mattei la quale le chiede: “Se anche la fede può considerarsi una passione”.

“Tecnicamente la fede non è una passione, perché la fede è credere in qualcosa. Però la fede si alimenta di passioni. Se non ci fosse questa spinta, per esempio in campo religioso, verso una felicità ultraterrena, o se non ci fosse per converso un’altra grande passione che è la paura, la paura dell’inferno, la paura delle punizioni, la fede non potrebbe resistere. Dobbiamo evitare di concepire la fede come un puro atto intellettuale. Io credo in questo, credo in un televisore perché l’ho visto, credo in Dio anche se non l’ho visto, perché c’è un’autorità che me lo dice. Questo secondo tipo di fede: credere in qualche cosa di invisibile, di intangibile, è alimentato sostanzialmente da passioni. Senza passioni si spegnerebbe, perché la fede è difficile. Con la percezione dico: “questo libro è giallo”, amen, è finita perché la cosa è incontrovertibile per chi non è daltonico. Invece nella fede la necessità di trovare sempre nuovi argomenti è di carattere intellettuale, in un certo modo conoscitivo. Però il carburante glielo danno le passioni”.

14) Rai Educational: “Ecco, parlando di fede giustamente è stato introdotto il concetto, un’idea di trascendenza. Mi ha molto colpito un articolo letto recentemente a firma di Anita Desai, la scrittrice indiana, su Ghandi. La Desai traccia un profilo di Ghandi e aggiunge forse diversi elementi di conoscenza nuovi su questa immensa figura del secolo appena passato. E in particolare la Desai si concentra sul valore dell’idea di corpo in Ghandi affermando che in lui, come del resto nella tradizione induista, è nel corpo che si realizza l’idea stessa della trascendenza. Siamo di fronte a una trascendenza immanente in qualche modo, se possiamo così dire. Cosa le suggerisce questa immagine? Possiamo commentarla insieme?

“Si, anche perché ho letto il testo della Desai. È interessante la differenza tra la nostra percezione del corpo e quella della tradizione indiana che lei rappresenta. Perché mentre da noi in Occidente ad esempio lo yoga viene inteso come una specie di ginnastica e quindi è ridotto a corpo, ma a corpo diciamo povero, yoga – che in indiano vuol dire (è la stessa radice indoeuropea di gioco) vuol dire disciplina – è una disciplina in cui il corpo e l’anima non vengono separati. È tutto legato all’idea di una purificazione del corpo attraverso esercizi spirituali e corporei. Sono forme di purificazione e di preghiera che passano attraverso il corpo. Ad esempio i monaci del monte Athos o delle Meteore immaginano, secondo tradizioni che hanno quasi millecinquecento anni di trovare nel cuore, in senso fisico, il rapporto con Dio, una preghiera con Dio. Perché gli Atti degli Apostoli dicono tu non devi mai dimenticare il Signore, ma come si fa perché uno ha cento preoccupazioni. Allora i monaci hanno elaborato una tecnica per cui, pensando che il respiro entra e poi finisce nel cuore, là nel cuore si crea una zona di preghiera perpetua per cui anche di notte si svegliano eD è come se fosse una preghiera. In Ghandi questo elemento di purificazione, come dice giustamente la Desai, assume quelle forme che per noi sono strane. Noi intendiamo il digiuno suo, quello che è stato fatto per protesta anche in altri Paesi, come un atto politico diretto. Invece è un atto politico, ma indiretto perché il digiuno non è altro che una forma di purificazione del corpo, punto e basta. E la purificazione da cosa? Questa è la cosa strana per noi. Nel tempo in cui Ghandi combatteva l’impero inglese era il contagio impuro della dominazione ingiusta degli inglesi. Quindi il corpo come strumento politico è una novità, una novità che si diffonde anche nella nostra cultura moderna. Se noi pensiamo a quella che viene chiamata la biopolitica: il governo dei corpi, che comincia col controllo della popolazione dalla fine del Settecento in poi, con i campi di concentramento in forma terribile, con il nazismo, con i gulag; oppure il controllo della sessualità, anche oggi attraverso suggestioni, la negazione per esempio, il divieto della sessualità – questa sessualità che dice sempre sì, come diceva Foucault – sono tutti controlli politici del corpo che naturalmente hanno delle scansioni diverse in Occidente o in altre culture come l’Oriente. Sarebbe interessante vedere come le arti marziali giapponesi o cinesi – in cui il controllo del corpo è tutto e altre arti marziali che vengono fatte dai monaci in senso non offensivo – consistono nel far perdere l’equilibrio per esempio agli altri. E quindi è tutto un gioco di controllo della corporeità che noi appunto, tranne gli spadaccini o altri, ci sogniamo”.

15) Rai Educational: “Come ultima domanda le vorrei sottoporre il fatto che non ci è arrivata nessuna domanda che abbia per oggetto la politica. Come interpreta questo fatto?”.

“Mala tempora currunt, dicevano i latini. C’è secondo me, per quanto riguarda la situazione italiana, ma un po’ più la situazione occidentale, si assiste a un progressivo distacco tra i cittadini appunto delle generazioni più giovani e la politica, nel senso della politica militante, attiva, non della politica che si riceve via televisione standosene comodamente seduti a casa, che è un aspetto importantedella nostra politica. È che da quando il mondo, per fortuna, non è più diviso in due, in cui da una parte si pensava che stesse il mondo libero e dall’altro la giustizia sociale, non ci stava probabilmente né l’una né l’altro, le grandi passioni mobilitanti, per la libertà, per la giustizia, si sono un po’ affievolite. Mentre prima il futuro era un futuro condiviso e collettivo, ne andava di tutti, oggi ciascuno si ritaglia da sé una fettina di cielo. C’è una specie di privatizzazione del futuro, in termini scherzosi è come se fosse stata lanciata un’opa sul futuro, cioè ciascuno si prende il suo pezzettino e va avanti. E questo indebolisce le passioni politiche perché la vita privata diventa – non soltanto del singolo ma dei suoi familiari, degli amici – diventa meno importante. Questo però, ripeto, vale per certi casi. Non vale dappertutto, nemmeno in Italia per fortuna, nel senso che le passioni politiche ci sono ancora. Sono passioni politiche più evanescenti, più grigie, meno legate a colori forti, il rosso e il nero, non ci sono più. Ora al massimo c’è il rosa non shocking e un grigio perla o come dice la pubblicità diversamente. Ci sono passioni un po’ più scarnite. Ma pensiamo ad altri luoghi del mondo, citavo prima i palestinesi e gli israeliani, oppure si possono citare i brasiliani, che sono gente malgrado la povertà spesso allegra, le passioni per fortuna non muoiono. Per disgrazia molte volte diventano oppressive o fastidiose. Tutto sta nel saperle gestire e nel non smettere di continuare la nostra educazione sentimentale”.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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