Il cantico della creazione

25 Ottobre 2004
4 minuti di lettura

Dove la diversità necessita dell’uguaglianza per riconoscersi ed amarsi
di Giovanni Salonia

L’intrigo delle diversità

Un discorso sulle "differenze" nei rapporti umani intriga profondamente, perché apre le prospettive più contrapposte, come ci ricordano tanti detti della saggezza popolare nei quali, di volta in volta, le differenze vengono viste come un "bene" o un "male" per il vivere insieme: "cerchiamo ciò che unisce e non ciò che divide", "non ti piglio se non ti somiglio", "le diversità si attraggono", "è bello completarsi a vicenda", "non posso vivere insieme a lui perché è troppo diverso da me".

Certamente la diversità è un dato primordiale della nostra esistenza. Già nella Genesi emerge che la condizione umana è fatta di differenze – maschio e femmina – e che questa diversità è riflesso di Dio, un Dio che è Mistero di diversità (tre persone) e di unità (una natura). Le differenze radicali e costitutive sono inscritte nella nostra unicità (può essere clonato il mio DNA ma non la storia dei miei vissuti, delle mie scelte), che si colloca all’interno delle due coordinate primordiali: la corporeità e la temporalità. A queste differenze di fondo vanno ricondotte tutte le diversità che, di volta in volta, incontriamo nella nostra vita relazionale.

Siamo diversi, ma l’intrigo delle diversità non riguarda la loro provenienza o le modalità in cui si esprimono, bensì il nostro modo di viverle. Di fronte alla diversità possiamo provare paura, fastidio, attrazione, curiosità, voglia di avvicinarci o di allontanarci. Sull’accettazione o sul rifiuto delle diversità ogni persona costruisce la propria trama relazionale e ogni città si dà criteri "umani" o "disumani" di convivenza.

Partiamo dalla consapevolezza che le differenze possono suscitare in noi sentimenti di paura. Paura di sentirci "diversi" dagli altri e paura di avvertire l’"altro" diverso da noi. La diversità rimanda in modo drammatico alla "unicità", che è un dato di fatto, ma che necessita di un percorso di crescita per essere accettata.Vivere la propria unicità, e quindi le correlate diversità, in modo sereno – non colpevole e non arrogante – significa aver accettato che siamo "separati", non per cattiveria nostra o altrui, ma perché questa è la prima grande vocazione di ogni umano: essere se stesso. Non esprimere se stessi per paura che le proprie diversità non vengano accettate e si venga rifiutati o squalificati significa tradire se stessi. Avere fiducia nelle proprie diversità è un passo necessario di crescita. Solo chi vive con serenità la propria unicità può comporre il cantico della propria creatività, può diventare "artista" della propria esistenza. La ricerca ossessiva del consenso conduce, a lungo andare, all’annullamento della nostra specificità impoverendo noi stessi e il mondo nel quale siamo inseriti.

L’esodo da noi stessi

Un’altra paura – o forse un’altra faccia della stessa paura – riguarda il fatto che l’altro sia diverso. Si tratta di una paura che assume, di volta in volta, forme differenti. La diversità dell’altro – possiamo affermare parafrasando Lévinas – è una richiesta continua di uscire da noi stessi, è appello ad un esodo che definisce la nostra esistenza attraverso il superamento mai definitivo dei tanti modi in cui si manifesta o si cela la tentazione di omologare o annullare la diversità dell’altro.

La diversità dell’altro mi ripresenta l’altro come "altro" da me, per cui non potrò mai definitivamente "cosificarlo" rendendolo mia copia oppure oggetto dei miei desideri. Quante volte, anche in un valido rapporto di coppia, alcune crisi, dovute a cause apparentemente banali, rispondono invece al bisogno profondo di marcare i confini delle identità, uscendo dalla sensazione di essere fusi o confusi con l’altro. È vero che solo chi ha sperimentato ed accettato la solitudine come unicità, e non come isolamento o abbandono, può permettere all’altro di essere se stesso e di esprimersi nella propria unicità. È proprio nell’accettazione della diversità che passa la differenza tra autorità che fa crescere e paternalismo. Quest’ultimo atteggiamento accetta l’altro ma non la sua originalità: "Ti do tutto quello che vuoi, sono generoso con te, purché o finché non esprimi un punto di vista, un’esigenza diversa da quelle che io condivido". È cammino lungo e travagliato come un parto quello che conduce all’ascolto e al rispetto.

Familiari in povertà

Una ragione di tale difficoltà è legata al fatto che la diversità rimanda alla mia povertà, ai miei limiti: non ho tutte le qualità e i doni che la vita offre, ci sono esperienze e spazi che non mi appartengono e non possono essere controllati da me. Per non avvertire questa ferita, ricorriamo a molte strade: neghiamo all’altro il diritto alla propria unicità, dichiariamo la nostra unicità migliore di quella degli altri (diventando esperti nel giudizio e nel confronto), non vediamo la diversità dell’altro (escludendola dal nostro campo percettivo). Arroganza e narcisismo sono volti diversi della stessa paura di confrontarsi con la diversità dell’altro.

Forse la sfida che vive ogni persona – e ogni città – è quella di vedere l’"estraneo" in ogni familiare e il "familiare" in ogni estraneo. Quando non vediamo "diversità" nelle persone che ci vivono accanto o quando vediamo "solo" le diversità, dobbiamo riprendere il cammino della scoperta dell’altro che è sempre, in modi diversi, diverso e familiare. Se accogliamo l’estraneo imponendo le somiglianze o se lo rifiutiamo esasperando le differenze, costruiamo città disumane destinate all’autodistruzione. Perché la vita, dentro e fuori di noi, si nutre del continuo confronto con la diversità e del continuo sostegno del familiare. Un amore per i vicini che li mantenga "diversi" e un’accoglienza ai "lontani" che ne scopra la vicinanza: questa è la trasformazione della Babele in Pentecoste.

A questo punto si svela il segreto della differenza: ha bisogno dell’uguaglianza per poter esistere. Sentirsi pari all’altro nonostante la nostra diversità, e sentire l’altro pari a noi stessi nonostante la sua diversità: questa è la meta di ogni percorso relazionale. Solo l’uguaglianza ci permette di uscire dall’intrigo delle differenze e di viverle come ricchezza.

Se è vero che alcune differenze vanno chiarite e purificate, lo impareremo solo camminando assieme nel territorio di tutti, in cui nessuno domina o è dominato, il territorio della compagnia e della fraternità.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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