Sono passati poco più di 7 anni da quando ho concluso la mia prima bellissima esperienza di cammino a piedi sulla Via del Nord e credo di non avere mai sperimentato una così intensa e potente gratificazione interiore per l’impresa che, il giorno del mio quarantesimo compleanno, mi ha portato sulla spiaggia di Finisterre dove mi sono denudato e buttato in acqua urlando come un adolescente che è riuscito a conquistare la ragazza dei suoi sogni.
Di quel Cammino ho scritto qualcosa nel blog: avrei potuto dirne di più ma posso assicurarvi che persino la vecchiaia non riuscirà a portarmi via i ricordi più preziosi della Via del Nord, un’esperienza che mi ha permesso di sperimentare una così variegata moltitudine di approcci umani che sarebbe risultato impossibile vivere nella noiosa ed ordinaria quotidianità dei giorni che passano, persino negli altri Cammini che da lì in avanti ho percorso.
Il primo incontro importante è stato quello con Setxo, una persona con la quale è nata subito un’amicizia spontanea che dura ancora. Lui ha messo intensamente alla prova le mie istintive attitudini da neo camminatore: il passo lento, la pigrizia nel levarmi dal letto, l’abitudine a fare troppe pause con la scusa di perdermi in lunghe riflessioni… e tanto altro. La sua visione (che dovevo condividere) era che il Cammino fosse sacrificio e non una passeggiata con gli amici.
All’inizio mi dava un enorme fastidio dover rispettare le sue tabelle di marcia e quando accorciavo il passo per starmene per conto mio, ritrovarselo poco più avanti ad aspettare impaziente che lo raggiungessi era davvero snervante. Dopo qualche giorno di convivenza mi ha preso una voglia irresistibile di mandare a quel paese quell’impiastro e le sue sanguinanti vesciche per così tornarmene alla normalità, ma l’affetto sincero che mi trasmetteva e la sua naturale simpatia non mi rendeva facile la scelta e così, mentre passavo le giornate a biasimarmi per il fatto di subire il suo atteggiamento fascista solo per non dargli un dispiacere, non facevo altro che stargli dietro con grandi sforzi fisici e mentali. Adesso, considerato che il mio corpo come quello di tutti è fatto per aggiornarsi ed adattarsi qualora sopraggiungano modalità di utilizzo dello stesso non ordinarie, tutto quello sforzarmi di stare al passo nelle faticose salite e le ripide discese, come anche di mettersi quasi a correre quand’ero in pianura, senza che me ne accorgessi mi facevo sempre più svelto, con una falcata delle gambe più ampia e la capacità di resistenza aumentata oltre misura… insomma, Setxo aveva fatto di me un vero camminatore e non ho mai avuto modo (o il coraggio) di dirgli quanto la sua perseveranza e pazienza mi sia stata utile, prima sul Cammino e poi negli anni a seguire. Probabilmente l’affetto che tutt’ora ci lega è dovuto a qualcosa che entrambi, lungo quella strada, ci siamo scambiati e che per pudore non ci siamo mai detti: adesso che ci penso, chissà quale potrebbe essere la qualità che io ho trasmesso a lui.
Ad ogni modo, quando gli ho dato l’ultimo saluto in stazione tornandomene sulla strada con il bastoncino che mi aveva regalato, ho pianto come un fanciullo. Quel giorno ho creduto che dal mio Cammino era venuta a mancare una parte importante ed invece…
…appena fuori dalla stazione, mentre riprendevo la strada, un pellegrino che aveva appena iniziato il suo Cammino mi avvicinava per chiedere informazioni. Io volevo starmene un po’ con la mia tristezza così gli ho detto quello che voleva sapere e me ne sono andato per conto mio. In qualche modo però, non so se per caso o per azione della provvidenza (sul Cammino ho smesso di pormi questa domanda), ci incontravamo continuamente. Credo ci sia voluta tutta la giornata per farmi capire che per un po’ eravamo destinati a fare strada insieme. Quel pellegrino si chiamava Diego ed era di Toledo. Parlava bene l’italiano (con Setxo ch’era di San Sebastian avevamo comunicato tutto il tempo in Inglese) e quindi riuscivamo a scherzare insieme in modo più efficace e soprattutto parlare di tutto: donne, cultura, filosofia. Diego era formidabile, conosceva molte più cose di quanto non desse a vedere e tutte venivano fuori così, in mezzo ad una risata o ad una discussione più seria (che comunque finiva sempre con una risata).
La settimana passata con Diego ha completamente rivoluzionato ciò che era stato il mio Cammino fino a quel momento. Da una versione orientata al sacrificio e alla necessità di superare i limiti, con la preoccupazione di ferire la reciproca sensibilità qualora non fossi stato all’altezza.. beh… sono passato alla totale leggerezza. La prova definitiva di questo radicale cambiamento l’ho avuta due o tre giorni dopo il nostro primo incontro ed in particolare quando abbiamo dovuto affrontare una lunga tappa tra scogliera e spiaggia: con Setxo sarei stato costretto a stare al passo, tra salite e discese, con l’obiettivo di arrivare all’albergue per le 17, con Diego invece abbiamo fatto una tappa preliminare in un bar a bere un orujo ciascuno per poi, ciucchi come due adolescenti, scendere dalla scogliera senza pensare che avremmo potuto mettere un piede in fallo e farci malissimo. Ancora vittima del condizionamento di Setxo, informavo Diego del fatto che l’allegrezza si sarebbe trasformata in stanchezza e che probabilmente saremmo stramazzati in spiaggia per finire divorati dai gabbiani… invece siamo arrivati, a notte fonda certo ma estremamente contenti per come era andata la giornata. Da lì in avanti, nell’allegria travolgente delle nostre avventure abbiamo coinvolto anche altri pellegrini a cui Diego dava sempre dei soprannomi: Hansel e Gretel (gli olandesi con la gangia più buona del cammino), la Ragna (il francese loco), il Cocaine Bar (perchè il proprietario sembrava aver tirato da poco)… insomma Diego riusciva a rendere speciale ogni luogo o persona ed in questo era contagioso.
Quando Diego ha lasciato il Cammino mi sono ritrovato di nuovo solo, ed ancora il mio Cammino è cambiato… ma questa è una storia di cui vi parlerò un’altra volta. Sappiate solo che quando sono tornato a casa, della parentesi con Diego ho voluto scrivere un brano per Ultreia che rispecchiasse la mia esperienza con lui e che quindi fosse completamente diverso da tutti gli altri. Nel farlo mi sono ispirato a quella sua irresistibile allegria demenziale che mi ha fatto capire come qualsiasi impresa difficile possa essere vissuta anche con pause di leggerezza.
Hasta la vista, Diego.