Osvaldo è un uomo come tanti, si alza la mattina alle 8, prepara la colazione, prende il caffè al bar giusto per dare un’occhiata alle notizie del giorno, poi si immerge nelle sue otto ore di lavoro.
Il pranzo in ufficio è l’unico momento di serena convivialità che la vita concede ad Osvaldo, alle sue colleghe dice sempre di si, qualunque sia la pietanza proposta: Osvaldo, oggi insalata… ok, va bene grazie… Osvaldo, Eufemia ha portato le lenticchie oggi, ti vanno… certo, grazie… Osvaldo questa volta ci prendiamo dei panini, crudo e formaggio al solito, va bene?… crudo e formaggio si grazie…
Spesso le sue colleghe si domandano perchè Osvaldo ha gli occhi tristi ma nessuna di loro ha mai osato domandargli nulla in quanto Osvaldo avrebbe risposto: sono cose mie; a questo si aggiunga che se dovessimo occuparci di tutti gli occhi tristi che incrociamo per la strada, tanto varrebbe andare a fare gli assistenti sociali, e seppure Osvaldo fosse sempre gentile e disponibile con tutti, dal lato personale non potevano che considerarlo un estraneo.
Osvaldo è un uomo mite, non gli piace litigare con gli altri nè serbare rancore per alcuno, ma questa sua forma caratteriale non gli va a genio. Quando se ne presenta l’occasione racconta di come non riesca a trattenersi dal reagire quando viene sgridato, e allora cita della volta in cui un suo collega gli diede dello sfaccendato davanti a tutti e lui, alzando il sopracciglio ed assumendo un espressione minacciosa, gli gridò in faccia: guai a te, guai se lo fai la prossima volta… Osvaldo temeva di poter essere considerato un vigliacco e questo perchè, per quieto vivere, lasciava che la cattiveria del prossimo gli scivolasse addosso, ciò che altri occhi avrebbero considerato un pregio per Osvaldo confermava solo la sua incapacità di pretendere da un suo pari il dovuto rispetto, quindi, per tirarsi su, ripensava a quanto potesse diventare aggressivo quando qualcun altro superava un certo limite, fosse anche fisicamente il doppio di lui, e questo lo faceva sentire fiero di sè; bastava poco ad Osvaldo per guadagnarsi un pò di autostima, era sufficiente che qualcuno alzasse la voce con lui più del dovuto.
Ad Osvaldo non piaceva il mondo intorno, lo giudicava balordo, e altrettanto balorde considerava tutte le fedi che oggigiorno vanno di moda: energie positive da evocare con la meditazione, new age, ayurveda e via discorrendo; Osvaldo credeva fortemente che le discipline orientali non avessero alcun senso se sradicate dal luogo e dalla mentalità degli uomini che le praticano per tradizione; che come tutti i prodotti della globalizzazione, le rispettive versioni occidentali delle antiche pratiche avevano il solo scopo di alleggerire il portafoglio del popolo a vantaggio dei sedicenti maestri… e così come Osvaldo disdegnava la medicina allopatica così faceva con quella omeopatica: faceva Yoga a modo suo con l’aiuto di una campana tibetana e un pò di marjuana, e cercava la spiritualità dentro di sè, con le sole fedi ereditate dalla sua propria esperienza, era convinto che solo così avrebbe trovato il senso dell’esistenza.
Ed ecco chi era Osvaldo: un uomo che cercava il senso della vita, e lo faceva nella dura quotidianità di un operaio di questi tempi, con la fatica di chi è costretto a lavorare per tirare avanti, di chi non può concedersi il lusso di potersi rifugiare per 7 anni in un monastero tibetano. Ma il senso della propria vita Osvaldo proprio non riusciva a trovarlo, per molto tempo aveva creduto che la realizzazione nell’amore per una donna potesse placare l’ansia della ricerca, ma ad ogni fallimento assisteva inerte al crollo delle sue illusioni ed inquinava il proprio cuore col veleno della solitudine che rende acidi ed insofferenti nei confronti del mondo e della felicità altrui.
Osvaldo pensava spesso ed in particolare ad una donna, la rivedeva ogni giorno sull’altare di quella chiesa, con l’anello al dito e lo sguardo felice, prima che lui entrasse e le gridasse a gran voce: non sposarlo, io ti amo come quello non potrebbe mai. Rivedeva anche le scene successive, la folla di parenti che gli si gettava addosso urlandogli: lasciala stare, sei un niente, non vedi chi sta sposando, lui si che è uno che vale, lui si che è riuscito a “sfondare nella vita” e tu… tu non riesci neanche a vestirti come si deve. Lei lo guardava quasi a dirgli: non rovinare questo giorno, lasciami andare. E lui se ne andò, con la morte nel cuore, deciso a dimenticarla per sempre.
Da quel giorno Osvaldo prese l’abitudine di mentalizzare ogni sua emozione, da principio sperimentò: allora, stiamo insieme da 1 mese, adesso cominciamo ad uscir fuori dallo stadio simbiotico, lei dovrebbe accorgersi di questo e di quello, mi dirà che non gli vado bene per questo (il quello può anche piacergli), forse deciderà di lasciarmi, forse è ancora innamorata e continuerà a restare con me per bisogno, rischia, rischio anche io, vado avanti. “Non mi hai ancora detto ti amo”, era la sua frase preferita, gliel’hanno detto tutte le donne avute dopo di lei… due, tre mesi dopo se ne andavano… “Amare non significa dire ti amo” rispondeva lui, “sono qui con te, se non stiamo insieme ti chiamo e ti chiedo cosa fai, mi interesso alla tua vita… amare è condividere, una parola può rovinare tutto se detta con superficialità, dimostrami che sei capace di condividere la tua anima con la mia”, “come?” chiedevano, “resta con me, il tempo mi darà la tua risposta”. Osvaldo prendeva appunti nella sua agendina:
14 Novembre 2005
Letizia: ci incontriamo al bar sotto casa. Le offro un caffè, le chiedo se le va di lasciarmi il suo numero. Risponde di si.
2 giorni dopo: facciamo sesso, non mi piace molto
5 giorni dopo: dice che prova qualcosa per me
10 giorni dopo: non gli piacciono le mie letture, parlo troppo
20 giorni dopo: il sesso con lei comincia a piacermi
23 giorni dopo: decido di partire, lei non viene
41 giorni dopo: torno dal viaggio, mi lascia
44 giorni dopo: ritorna, è stata con un altro
49 giorni dopo: mi dice ti amo
55 giorni dopo: mi chiede se le amo, non rispondo
56 giorni dopo: mi lascia
59 giorni dopo: ritorna
61 giorni dopo: le dico che credo di amarla
65 giorni dopo: mi lascia, esce con un altro
71 giorni dopo: la chiamo, mi dice che è finita
85 giorni dopo: la chiamo, dice che sta con un altro
90 giorni dopo: conosco Mara
Mara: la conosco ad una festa tra amici. Si ubriaca, mi bacia, a fine serata ci scambiamo i numeri
7 giorni dopo: mi chiama, mi invita a cena per la sera, accetto
10 giorni dopo: facciamo sesso, mi piace
11 giorni dopo: c’intendiamo sui gusti musicali
15 giorni dopo: mi dice ti amo
19 giorni dopo: parto per la toscana, una settimana, lei non può
26 giorni dopo: mi lascia, dice che non siamo fatti per stare insieme
30 giorni dopo: la chiamo, è tornata col suo ex
56 giorni dopo: conosco Francesca
…. e così via, i nomi di più di 30 donne, uno sotto l’altro, associate ad uno striminzito elenco di azioni sempre uguali. Cos’aveva da dimostrare Osvaldo, null’altro che l’amore vero non esiste, che le persone amano perchè hanno bisogno di farlo, e che comunque sia l’altro conta sempre meno. La delusione vissuta aveva reso Osvaldo arido e sospettoso, non credeva più all’amore a prima vista, temeva si trattasse di infatuazioni che avrebbero lasciato altri vuoti nel suo cuore, non credeva nell’innamoramento, lo considerava una pratica animalesca troppo rischiosa, e così non si innamorava, gli bastava stare in buona compagnia, e questo gli bastava. C’è chi supera una delusione ed è capace ancora di amare, Osvaldo no, Osvaldo aveva chiuso per sempre il suo cuore (o almeno così credeva).
Osvaldo non tollerava le ingiustizie, fuggiva lo sguardo di chi chiedeva l’elemosina per strada, specialmente se si trattava di bambini; inveiva contro qualsiasi tipo di sopruso: dai rimproveri gratuiti dei padroni ai danni dei sottoposti in qualsiasi tipo di attività economica, alle crudeltà verso gli animali… non sopportava vedere gli uomini mettersi al di sopra di altri uomini, o tantopiù di animali, e pretendere di poterli controllare, sfruttare, umiliare… Osvaldo era un disilluso: il mondo non sarebbe cambiato che lui ci avesse provato o meno, la forza del singolo è l’illusione degli idealisti, nulla cambia davvero.
Un bel giorno di primavera la vita di Osvaldo cambiò: c’era un odore strano nell’aria di quella mattina e lui stava cercando nella sua borsa la mascherina che soleva mettere quando lo smog raggiungeva livelli troppo elevati; un colpo di clacson gli fece sollevare il viso, un uomo correva per la strada ed una donna da dietro gli gridava: la mia borsa, delinquente, poi il duro impatto col parafango dell’automobile ed il suo corpo che si piega in due, il parabrezza dell’auto va subito in frantumi, la sua testa si incastra nello squarcio, proprio davanti al viso sconvolto del conducente… nelle orecchie il silenzio, negli occhi una sola immagine, lei, nella mente un pensiero fugace: è finita.
Buio!
Luce, una mollica di pane sul pavimento, ho fame, provo a prenderla… no, è arrivato il gigante, via, devo fuggire, ce l’ho ancora dietro, ecco, mi metto in questo buco, è buio. Aspetto, sento passi che si avvicinano, adesso si allontanano… c’è del buon odore che arriva dall’apertura, lo seguo: cos’è questa polvere bianca, che fortuna, mangio, – la divora fino all’ultimo granello -, adesso posso rifugiarmi ancora nel buio… mi fa male l’addome, mi sento mancare il respiro, aiuto, aiutatemi a ricordare il mio nome: ah ecco, Osvaldo.
Buio!
Luce, il vento vorrebbe farmi lasciare la presa, dolce ramo d’olivo, le mie mani congiunte: sto pregando. Dio portami l’amore, ed eccola, più sopra, mi avvicino, facciamo l’amore… sono felice, ho trovato un senso per la mia vita, la guardo negli occhi, prega anche lei, poi apre le tenaglie e mi porta via la testa, ci sono ancora… non so per quanto, adesso mi divora l’addome, la mia testa chiede: qual’è il mio nome? poi ricordo: Osvaldo.
Buio!
Luce, sporca maleodorante pallina: perchè devo trascinarmela dietro per così tanto tempo… ah già, la mangerò. Ma ecco, sapevo che non sarebbe andata bene, sapevo che come al solito avrei fallito, non riesco più a spingerla, ci provo in tutti i modi, schifosa merda… ah! cos’è questo terribile suono, ah… stai lontano, tieni lontano il tuo becco. Il corvo si allontanò in volo pensando: che ci vuoi fare Osvaldo, è il cerchio della vita.
Buio!
Luce, quel bastone mi fa male, perchè continuo a permettere che mi spezzi la schiena, perchè quest’uomo non riesce a provare un pò di pieta, eppure io lo amo più della mia stessa vita. Osvaldo, ti ho detto mille volte di non uccidere le galline, e ancora giù con quel bastone. Fuggo in un angolo, lui mi insegue, mi dà un altro colpo sulla schiena, poi se ne va. C’è freddo, ho fame… il tempo passa, la luna si alza in cielo, il mio adorato padrone è uscito, di sicuro non torna, mi ha abbandonato, ma c’è qualcosa lì per terra, è carne, che gentile il mio padrone, sapevo che non mi avrebbe abbandonato. Ecco, adesso sto meglio, ecco, adesso sto meglio…
Buio!
Luce, è un maschio signora, è un maschio. Tesoro, portalo qui? Certo amore mio… piccolo Osvaldo, non sai quanto ti amo. E tu non sai quanto io amo te dolce signora dagli occhi che ricordano il cielo.
A pochi metri dall’ospedale Wazir Akbar Khan, un sibilo e poi un’esplosione fecero cessare ogni tratto di gioia nei volti dei miei genitori, e lì compresi: quante volte ancora avrei dovuto pagare la mia mancata riconoscenza verso le vere gioie della vita ?!
ciao art, alla fine ho poi scritto quello che ieri avevo lasciato da parte, ora sono qui, nello “spazio di Osvaldo”, per ringraziare te. grazie per lo spazio che hai creato e ci hai dato, grazie per gli stimoli alla riflessione, grazie per la pazienza delle risposte, mai banali ma soprattutto mai date “tanto per”, e grazie per aver favorito l’incontro ed il confronto con persone interessanti. ci risentiamo presto, un abbraccio forte anche a te!
ciao alex… grazie di cuore per le tue parole… un abbraccio forte!
Ciao Art… non leggevo il blog da un paio di settimane credo, oggi avrei voluto scrivere qualcosa, poi non appena entrato ho letto la storia di Osvaldo. Non ho potuto fare a meno di pensare a quanti Osvaldo incontriamo ogni giorno, a quante volte io stesso mi senta un po Osvaldo, a quanto occhi tristi, disillusi e incazzati incrociamo ogni giorno, e a quante volte quegli occhi che incrociamo sono i miei. E’ una bella triste storia, quella di Osvaldo, alla quale forse dovremmo pensare più spesso. Oggi ci penso, e insieme alla voglia di scrivere per placare qualcosa che si smuove dentro, forse si è allontanato un po il motivo stesso che fa smuovere quel qualcosa. Grazie, Osvaldo.
ciao ilenia… benvenuta da queste parti… riguardo la tua domanda: beh, penso come tutti, da sotto un cavolo :) un abbraccio
ma tu da dove sei venuto fuori???