Logica della religione

2 Febbraio 2003
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di SABINO GRIECO

Mi sono avvicinato ai sommi problemi della religione, scevro da ogni pregiudizio e cercando di liberarmi da ogni credo precostituito. Ho argomentato sugli eterni interrogativi dell’uomo al lume della sola ragione, indagando tutte le risposte possibili che la logica puo` dare ad essi. Ho valutato tutte le ipotesi emerse, accogliendo come validamente possibili soltanto quelle che si sono rivelate, anche nelle implicazioni, compatibili tra loro. Ne e` venuto fuori un quadro complesso, composto da molteplici prospettive, dalle quali, sfrondando ogni incongruita`, ho estratto due concezioni opposte finali: Da una parte il mondo ateo della materia bruta, dall’altra il mondo di Dio e dell’anima; da una parte il cupo mondo della disperazione, dall’altra il mondo radioso della speranza. Poiche` la ragione si mostra del tutto impotente a sciogliere l’enigma, incapace com’e` di provare la verita` o la falsita` di nessuna delle due tesi, ho scelto la speranza. A questa visione incoraggiante ho dedicato tutta la mia attenzione, riflettendo su ogni suo aspetto e connessione. La logica elaborazione dei vari temi ricorrenti ha dato luogo ad una serie di risposte ragionevoli e coerenti tra loro, si` da dare a tutto l’insieme una qualche sistematicita`. Ovviamente non ho dimostrato nulla di certo, considerato che niente potevasi dimostrare in materia; spero soltanto di offrire al lettore, al di fuori di ogni dogma religioso, una credenza ragionata nelle risposte formulate agli interrogativi di sempre; in particolare, a quelli angosciosi sull’esistenza di Dio, sull’origine dell’universo e dell’uomo, sulla sopravvivenza dell’anima, sulla sorte dell’essere umano, sul libero arbitrio e sul problema del male. In tempi di diffuso agnosticismo come i nostri, in cui le questioni fondamentali sembrano trascurate, ma affiorano talvolta prepotentemente nell’intimo delle menti e delle coscienze, mi auguro che questo mio lavoro, piu` che a fornire una fede, valga a risvegliare l’interesse, la riflessione e la libera discussione su questi argomenti, che sono da sempre appannaggio esclusivo delle religioni ufficiali.

Napoli, febbraio 1993. L’ Autore

1. L’UOMO E LA RELIGIONE

Che cosa e` la religione? In generale, si puo` indicare con questo termine l’insieme delle varie credenze che l’uomo ha sempre professato, attraverso tutti i secoli della sua storia, intorno ad alcuni problemi fondamentali: -come ha avuto origine l’uomo e l’universo che lo circonda; -se esiste un essere supremo, un Dio, creatore dell’uomo stesso e del tutto; -se la vita umana continua oltre la morte fisica del corpo;

-se, quindi, l’uomo e` costituito, oltre che da un corpo materiale, anche da una parte immateriale, spirituale, l’anima, la quale soltanto e` immortale e sopravvive al corpo in un mondo ultraterreno; -se quest’anima sara` giudicata dalla Divinita` per il comportamento tenuto durante la vita terrena e quale sara` il suo destino. Con la religione l’uomo ha dato certe risposte a questi interrogativi fondamentali della sua vita, cercando di assicurarsi la speranza di un aldila` piu` gratificante della sua esistenza terrena. Ma perche` l’umanita`, fin dai primordi della preistoria, ha sempre sentito il bisogno di avere una religione? L’uomo ha visto se stesso come l’essere privilegiato in tutta la natura circostante; l’unico dotato di facolta` razionali tali da consentirgli di mettere al suo servizio il resto del mondo; il solo capace di vincere le forze brute della natura e di utilizzarle a proprio favore; la sola creatura, fra quelle viventi sulla terra, che sia riuscita a conseguire un progressivo miglioramento delle sue condizioni materiali di vita. Quest’uomo, cosciente del suo stato di supremazia e delle doti che egli soltanto possiede tra tutti gli esseri terreni, non poteva accettare l’idea che questa situazione di privilegio sarebbe cessata con la morte; con quella morte che lo avrebbe accomunato nuovamente con il destino di tutte le altre creature a lui inferiori. Ma c’e` di piu`: la morte come fine di tutto, come annullamento totale dell’essere, svuotava di ogni significato la sua vita sulla terra e la riduceva ad un breve sterile passaggio, privo di qualsiasi conseguenza. Cosi`, non potendo sottrarsi all’evidenza di una fine fisica certa, l’uomo si e` allora aggrappato alla speranza che non tutto il suo essere sarebbe finito con la morte, ma che, anzi, sarebbe sopravvissuta la sua componente piu` nobile, lo spirito, l’anima, intesa come l’insieme individuale di quelle doti mnemmoniche, emozionali e razionali che lo contraddistinguevano in vita. E chi poteva riservare un simile trattamento di favore agli esseri umani se non l’Ente supremo che li aveva creati, ponendoli al di sopra di tutte le altre creature? Doveva esserci stato, infatti, un creatore dell’universo e dell’uomo, un Essere divino che aveva dato inizio a tutto e che tutto governava secondo le sue leggi. Tutti i popoli, sin dai tempi piu` antichi, hanno sempre creduto nell’esistenza di uno o piu` Dei, a cui si dovevano attribuire la creazione del mondo e le decisioni sul destino dell’uomo. In epoche remote, essi hanno identificato queste divinita` con le varie forze e fenomeni naturali che, con l’immane violenza o grandiosita` delle loro manifestazioni, sovrastavano la inerme piccolezza ed impotenza degli uomini, soverchiando anche la loro capacita` di comprensione. Le antiche religioni hanno divinizzato il sole, la luna, il fuoco, il mare; hanno attribuito a singole distinte divinita` lo svolgimento delle fasi piu` importanti della vita dell’uomo e della natura, come la maternita`, la morte, la guerra, il raccolto delle messi, la caccia, le foreste. Ma, principalmente,esse hanno soddisfatto quell’intenso desiderio di immortalita` a cui aspirava ogni uomo, promettendogli una vita ultraterrena. Anche l’uomo moderno si pone gli stessi eterni interrogativi e le religioni ufficiali di oggi gli danno, con poche varianti, le stesse risposte fondamentali: esiste un Dio creatore di tutto l’universo; la Sua creatura privilegiata resta l’uomo, la cui anima, dopo la morte del corpo, vivra` in eterno in un mondo sovrannaturale, ove ricevera` la punizione o il premio del suo comportamento terreno.

2. RAGIONE E RELIGIONE

Se su un piano emozionale i credenti si sentono gratificati dalla fede perche` le loro aspirazioni sono soddisfatte dalle promesse della religione, su di un piano puramente razionale quale e` la posizione dell’uomo rispetto alle risposte che il credo religioso da` ai suoi interrogativi di sempre? Cominciamo con l’osservare che quelle risposte raccolgono il consenso di molti soltanto perche` risultano per essi piu` gratificanti di altre risposte possibili e non perche` esse siano vere e le altre false. Il fatto e` che non vi e` alcun modo di provare la veridicita` di nessuna delle risposte, come del pari non e` dimostrabile la falsita` di alcuna di esse; e` solo questione di scelta e di preferenza soggettiva: sul piano della mera possibilita` tutte le alternative offerte dalla ragione risultano egualmente possibili. Per accertare, infatti, la verita`, oppure la falsita` delle affermazioni fondamentali della religione circa l’esistenza di un Dio creatore dell’universo, l’immortalita` dell’anima e la sua sopravvivenza in un mondo ultraterreno, come per la verifica di ogni altro enunciato, la logica richiede che sia possibile constatare che quello che con esse viene dichiarato corrisponda ad un effettivo stato di fatto; constatazione che è data dalla percezione sensoriale di tale concordanza. In altre parole, come per accertare la verita` dell’affermazione "sta piovendo" occorre constatare che effettivamente stia piovendo, cosi` per verificare le assunzioni "Dio esiste" e "l’anima e` immortale" e` necessario constatare la reale esistenza di Dio ed immortalita` dell’anima: la qual cosa sfugge ovviamente ad ogni possibilita` umana. Vi e` anche un altro modo per provare la veridicita` di un’affermazione: dedurla da un sistema di pensiero coerente,ossia non contraddittorio; in altri termini, ricavarla da una concatenazione di deduzioni che, partendo da una o piu` premesse vere, portino, di deduzione in deduzione alla affermazione da verificare. Cosi`, per stabilire se e` vero che "Caio e` stato eletto deputato alle ultime elezioni" non ho bisogno di andare a controllare la sua effettiva elezione, se mi consta che vi sono state ultimamente le elezioni, che il partito dei Verdi vi ha riportato la maggioranza dei voti, che Caio e` il capolista del partito dei Verdi e che egli e` tuttora vivente e non ha ritirato la propria candidatura. In questo caso il ragionamento e` il seguente: dalle premesse che e` vero che vi sono state le elezioni e che ha vinto il partito dei Verdi si deduce che Caio, che figurava come capolista fra i candidati di quel partito e che e` tuttora vivente e non si e` ritirato, e` stato eletto deputato. Ovviamente, la validita` di tutta l’operazione e` assicurata dal rispetto rigoroso di due condizioni: che siano vere le premesse da cui ha inizio la catena di deduzioni; che i vari passaggi deduttivi siano corretti. Se vengono meno tali requisiti, crolla l’intero edificio del ragionamento deduttivo. In questa seconda linea di pensiero hanno tentato di muoversi le cosiddette prove dell’esistenza di Dio che filosofi e teologi hanno costruito attraverso i secoli per dimostrare la veridicità dell’esistenza di un Essere Supremo. Ho sottolineato che si tratta di semplici tentativi perche` essi non sono mai riusciti a darne una dimostrazione certa e definitiva, sia per la scarsa comprensibilita` e per la pretesa apoditticita` delle premesse da cui partivano i loro ragionamenti, sia per l’invalidita` di qualche passo deduttivo, fondamentale per la riuscita delle loro argomentazioni.

2.1. Le cosiddette prove dell’esistenza di Dio. Nell’ambito della religione cristiana, prendiamo, ad esempio, la piu` antica ed una delle piu` note di tali prove, il famoso argomento ontologico che risale a S.Anselmo d’Aosta, Arcivescovo di Canterbury (1033-1109). Tutta la prova consiste nel dedurre dal concetto della massima perfezione di Dio la Sua esistenza reale, poiche`, se non esistesse, Egli non sarebbe piu` perfettissimo, mancando alla Sua perfezione il requisito, appunto, dell’esistenza e sarebbe pensabile un Essere a Lui superiore in perfezione, in quanto anche esistente. A parte il contenuto piuttosto vago ed indefinito della premessa -cosa vuol dire esattamente l’attributo di perfettissimo riferito all’Ente Supremo, di cui non ci e` dato di conoscere assolutamente nulla?-, resta il fatto che l’essenza di una cosa non ne implica necessariamente l’esistenza; per cui risulta logicamente infondato il passaggio deduttivo dalla perfezione all’esistenza di Dio, la transizione dal piano mentale del pensiero a quello della realta`. D’altronde, la prova ontologica di S.Anselmo fu rigettata dallo stesso S.Tommaso d’Aquino, il quale, a sua volta, indico` cinque strade per arrivare a dimostrare con la sola ragione l’esistenza di Dio. Le cosiddette "cinque vie" si possono sintetizzare in altrettanti concetti della Divinita`: 1) Dio come motore immoto di tutto l’universo. L’argomento, di sapore aristotelico, considera un aspetto essenziale ed evidente dell’universo: il suo continuo cambiamento; tale perenne movimento deve essere stato azionato, almeno inizialmente, da un essere che muove e non e` mosso e questo motore immoto e` Dio. 2) Dio come prima causa non causata. La seconda via prende in considerazione il rapporto di causalita` che lega ogni cosa esistente ad una causa. Affinche` la catena degli effetti e delle cause non continui a ritroso all’infinito, si rende necessaria l’esistenza di una causa prima a sua volta non causata e tale causa e` Dio. 3) Dio come ragione necessaria di tutte le cose contingenti esistenti. Tutto l’universo che ci circonda ha il carattere della contingenza, ossia tutte le cose esistenti non sono affatto necessarie ma possono esistere o meno; occorre, quindi, un ente assolutamente necessario, Dio, che giustifichi tutto il contingente. 4) Dio come principio di perfezione assoluta. Vi e` una scala di perfezione in base alla quale le cose sono classificate, dalle meno perfette alle sempre piu` perfette; sul gradino piu` alto di questa scala deve esserci la perfezione assoluta, cioe` Dio. 5) Dio come suprema mente ordinatrice. Tutte le cose dell’universo appaiono finalizzate armoniosamente al raggiungimento di un proprio scopo; questo coordinamento intelligente di funzioni non puo` essere opera del caso, ma soltanto di una suprema mente ordinatrice, Dio. La prima, seconda e quarta via sembrano accomunate da una certa analogia di contenuto; tutte e tre si basano, infatti, sulla considerazione di una serie infinita di termini: la serie delle cause motrici di ogni singolo movimento, la prima; la serie delle cause in genere, la seconda; la serie dei gradi di perfezione, la terza. Di tutte e tre le serie si nega che possano essere infinite e si pone Dio, come primo termine di ogni serie. Ora, e` proprio l’assunzione di impossibilita` di una serie infinita, quella che costituisce il passo logico arbitrario di tutta l’argomentazione. Da una parte, infatti, possiamo affermare che dal punto di vista logico non e` affatto contraddittorio ritenere possibile la infinita` delle predette serie; dall’altra, addirittura ci consta nella realta` matematica l’esistenza di serie prive di primo termine e quindi infinite, come ad esempio la serie dei numeri interi negativi terminante con -1. Anche nella terza via ci si imbatte in un passaggio logico infondato e non condivisibile: che, cioe`, la contingenza trovi la sua ragion d’essere nella necessita`; e` vero che viene definito contingente tutto cio` che e` ne` necessario e ne` impossibile, ma la contrapposizione dei concetti di necessario e di impossibile a quello di contingente e` fatta soltanto per distinguere quest’ultimo, in una sorta di definizione circolare; infatti, i concetti modali base di necessario e possibile, nonchè quelli derivati di impossibile e contingente sono definibili soltanto in via circolare, ossia, ciascun termine in funzione dell’ altro. Così, "è necessario che A" equivale a dire che "non è possibile che non A"; "è possibile che A" è lo stesso che "non è necessario che non A"; "è impossibile che A" risulta la negazione di "è possibile che A"; "è contingente che A", infine, come si è già detto, vale quanto " non è necessario e non è impossibile che A". In ogni caso, dalla definizione di contingente e dall’esistenza reale di contingenti non ne consegue validamente che sia necessaria anche la reale esistenza di un supremo Ente necessario: non e` affatto illogico e contraddittorio ipotizzare la possibilita` che esistano solo i contingenti. Quanto alla quinta prova, quella relativa alla necessita` dell’esistenza di Dio, quale suprema mente ordinatrice di tutto l’universo, essa si basa su di una premessa la cui validita` e` tutta da verificare: che ogni cosa esistente persegua la realizzazione di un fine in armonia con gli scopi che si prefiggono tutte le altre. E una tale visione del mondo, oltre ad essere piuttosto vaga, risulta del tutto impossibile da comprovare. Molti altri, dopo S.Tommaso, hanno continuato a ricercare prove razionali dell’esistenza di Dio, ma le nuove argomentazioni addotte, anche se apportano qualche variante, ricalcano sostanzialmente le precedenti. Cosi`, Leibniz propone quattro prove articolate sui seguenti argomenti: 1) Argomento ontologico. Leibniz richiama la prova ontologica di S. Anselmo, precisando che e` vero che l’essenza non implica l’esistenza, ma non per Dio, la cui l’essenza si identifica con l’esistenza: concetto questo che riesce incomprensibile alla logica umana in quanto equivarrebbe a giustificare l’incongruenza del salto dal piano mentale a quello della realtà proprio con i particolari attributi di un Divino la cui esistenza è appunto ciò che si deve ancora dimostrare. 2) Argomento cosmologico. L’argomento ripete quello della seconda via dell’Aquinate, con l’introduzione del concetto nuovo, ma poco chiaro ed illuminante, della "ragione sufficiente": tutte le cose dell’universo devono avere una ragione sufficiente per la loro esistenza; la ragione sufficiente di tutto l’universo e` Dio. Che cosa si può intendere per "ragion sufficiente" dell’esistenza terrena di un’entità contingente se non tutte le motivazioni che ne avrebbero resa utile, opportuna o addirittura necessaria la sua esistenza? A parte il fatto che in molti casi non è facile comprendere il senso positivo di certe esistenze, come ad es. quella del virus del cancro o dell’AIDS, apportatori solo di morte, o di quella delle mosche, certamente meno nefasta ma tuttavia pur sempre tanto noiosa ed importuna, tutto il ragionamento pare si riduca alla piuttosto banale e certamente non cogente considerazione che se qualcosa esiste deve avere avuto un motivo per esistere e che se il tutto esiste la motivazione della sua esistenza è Dio. In altri termini, viene quindi ripetuta l’argomentazione dell’esistenza di Dio come causa prima. 3) Argomento delle eterne verita`. E` una variante della terza via di S.Tommaso; Dio e` l’eterna verita`, ossia la verita` necessaria e sempre vera, che costituisce la ragione ultima delle verita` contingenti delle cose dell’universo. Ancora una volta si sostiene la tesi che il contingente implica necessariamente il necessario; assunto che già abbiamo giudicato invalido dal punto di vista logico. 4) Argomento dell’armonia prestabilita. L’argomentazione ricalca quasi fedelmente quella della quinta via del Dottor Angelico.

2.2. Logica umana e religione. Abbiamo visto innanzi la storia dei principali tentativi fatti dall’uomo per arrivare a dimostrare con la sola ragione l’esistenza di Dio.

Ci siamo anche resi conto che, nonostante siano trascorsi tanti secoli di elaborazione di pensiero sull’argomento, ci troviamo sempre al punto di partenza, non essendo riusciti ancora a provare razionalmente che esista un Ente Supremo. Puo` affacciarsi, allora, alla nostra mente il dubbio che se, dopo tanto millenario affannarsi della ragione, l’uomo non e` mai riuscito nell’intento, la colpa dei suoi costanti e ripetuti insuccessi possa attribuirsi alla logica umana, al suo modo di ragionare, che non sarebbe lo strumento adatto per portare a termine una si` ardua impresa. Ma, conosciamo noi una logica diversa, un diverso modo di ragionare? O meglio, e` possibile concepire un’altra logica, oltre quella da noi usata? Nonostante ogni suggestiva tentazione di pensare alla possibilita` di una logica soprannaturale, di una logica divina del tutto diversa da quella umana, quest’ultima e` cosi` radicata nell’uomo, e` cosi` connaturata con lui che riesce impossibile accettare razionalmente una simile ipotesi. La logica dell’uomo e` basata su alcuni principi fondamentali ed irremovibili, fra cui campeggiano come pilastri granitici il principio di identita` ed il principio di non contraddizione. E` inconcepibile pensare ad un modo di ragionare che possa fare a meno di questi due principi: se A non e` piu` uguale ad A, ma e` uguale a B, a C, … a N, se perdiamo, cioe`, il principio di identita`, ogni cosa dell’universo perde la sua identita` ed il mondo precipita nel caos piu` assoluto, nella confusione della torre di Babele. Se abbattiamo il pilastro della non contraddizione, se invalidiamo il principio della impossibile contemporaneita` di A e del suo contrario -A, noi perdiamo la certezza di ogni cosa e tutto risultera` nello stesso tempo vero e falso: che io sono un uomo e che non lo sono; che Dio esiste e che Dio non esiste! E` soltanto aberrante il credere che esista una logica basata su principi diversi; essa equivarrebbe alla distruzione dell’uomo e del mondo. La logica dell’uomo e di tutto l’universo non puo` essere che una sola, quella che noi conosciamo ed adoperiamo; quella logica alle cui regole rispondono obbedientemente tutti gli eventi e le cose dello stesso universo. Con la scienza umana, che e` sempre basata sulla nostra logica, noi siamo in grado di penetrare e conoscere i segreti meccanismi del mondo che ci circonda; e se un Essere Divino ha creato il mondo e l’uomo ed ha regolato il tutto con le leggi di questa stessa logica, cio` sta a significare che la logica del creato e` la logica del Creatore e che non puo` esservi una diversa logica divina. Qualcuno ebbe a dire, a mo’ di paradosso, che se c’e` qualcosa che l’onnipotenza di Dio non puo` fare e` cambiare le leggi della logica! Possiamo, dunque, rigettare tranquillamente il sospetto insinuatosi in noi che esista una logica diversa dalla nostra con cui e` possibile affrontare efficacemente i problemi soprannaturali. Dobbiamo, piuttosto, renderci conto che la logica ha sempre necessita` di verifiche per arrivare a stabilire una verita` e che tali verifiche non potra` mai ottenerle in campi che non sono di questo mondo.

2.3. I limiti della ragione. Nel paragrafo precedente siamo infine arrivati alla conclusione che con il ragionamento non riusciremo mai a dimostrare se Dio esista o meno. Ma anche tutte le altre questioni che riguardano un eventuale mondo ultraterreno sfuggono alla presa della logica umana. E` come se avessimo di fronte un altissimo muro che ci impedisca di vedere cosa c’e` al di la` di esso; che immaginassimo che ci sia un certo qualcosa dietro e che poi pretendessimo di verificare, con la semplice forza del ragionamento, che dietro quel muro vi e` veramente quel qualcosa.

Ma la ragione dell’uomo soffre anche di altre limitazioni; vi sono dei concetti che, pur essendo spesso e comunemente adoperati, sfuggono alla sua piena comprensione. A che si riferiscono, infatti, le parole "tutto", "nulla", "infinito", "eterno"? Quale esatto contenuto hanno questi termini? Quali entita` materiali o immateriali essi denotano? Prendiamo "tutto"; se usiamo il termine in senso aggettivale per un insieme limitato di elementi, esso acquista il significato di prendere in considerazione l’intero insieme di elementi. Cosi` se dico: "tutti i libri della mia biblioteca", intendo riferirmi precisamente alla collezione di libri che possiedo. Se lo adopero per designare un insieme indefinito di elementi, come "tutti gli uomini", il riferimento diventa piu` vago e meno preciso. Ma, se uso il termine in senso sostantivale "tutto", "il tutto", il suo riferimento, il suo contenuto mi sfugge completamente. La mente umana, nella sua limitatezza, e` incapace di afferrare l’estensione illimitata del "tutto"; e poi cominciano gli interrogativi inquietanti: se e` proprio "tutto", allora esso deve comprendere anche il nulla, che e` il suo opposto; avremmo allora nel "tutto" la coincidentia oppositorum e non sara` piu` possibile distinguere il nulla dal tutto che lo comprende; se e` proprio "tutto", non vi puo` essere un Essere Creatore del tutto, il quale, operando dal di fuori del tutto, lo ridurrebbe a "non tutto"; allora, il tutto deve includere anche il suo ipotetico Creatore? Veniamo al termine "nulla", considerato a se` stante; nessun altro termine e` com’esso privo di riferimento in senso pieno e letterale: che cosa denota "nulla" se non il nulla? E cos’e` il nulla? Un abisso insondabile ed inafferrabile in cui la mente si confonde e si perde. E cosa dire di "infinito" e del suo omologo nel tempo, l’"eterno"? Come puo` la ragione dell’uomo concepire uno spazio infinito ed un tempo eterno, entita`che sono in netto contrasto con la limitatezza spaziale e temporale dell’essere umano e quindi al di fuori della sua capacita` di comprensione? Come darsi una ragione convincente dei cosiddetti paradossi dell’infinito? Come convincersi che un punto su una retta senza principio e senza fine e quindi infinita, la divide in due semirette altrettanto infinite? Che la serie dei numeri pari e quella dei numeri dispari, che compongono la serie dei numeri naturali, sono ambedue infinite come quest’ultima e che, quindi, ciascuna meta` dell’infinito e` uguale all’intero infinito? Da notare che "il tutto" ed "infinito" sono si` inscindibilmente legati tra loro da essere quasi sinonimi per una stessa realta`: non e` il tutto se non e` infinito e non e` infinito se non e` il tutto. Tutta questa fitta selva di interrogativi puo` sembrare il vaneggiamento di una mente malata. Il fatto e` che "tutto", "nulla", "infinito", "eterno" sono per l’uomo solo parole che designano concetti per lui inafferrabili. C’e` da aggiungere, infine, che questi termini abbondano nei contenuti dottrinali di tutte le religioni, costituendo, quindi, un ulteriore ostacolo per la comprensione umana delle stesse e per i tentativi di dimostrare razionalmente la validita` di una di esse. Noi, comunque, siamo costretti a continuare ad adoperarli, dato il largo uso che se ne fa in ogni linguaggio ed in ogni ragionamento; ma ce ne serviremo nel loro significato intuitivo, ben consapevoli che cio` a cui queste parole si riferiscono, anche se comprensibile sul piano della definizione concettuale, resta pur sempre vago e sfuggente sul piano obbiettivo della realta` concreta. Percio`, "tutto", usato in modo aggettivale, sta ad indicare un insieme di individualita`, siano esse cose o persone, considerate al completo dei membri che appartengono all’insieme stesso, nessuno escluso. Il termine ha un riferimento preciso soltanto se designa un insieme limitato e definito, come "tutti i libri della mia biblioteca", o "tutti gli appartamenti di questo edificio"; il riferimento diventa invece generico e non individualizzabile, nel caso di un insieme illimitato o indefinito, come "tutti i numeri", "tutti gli uomini".

Quando e` adoperato in senso sostantivale, "il tutto", esso indica l’insieme di tutti gli insiemi, siano essi esistenti, possibili ed anche impossibili e comprende, quindi, ogni realta`, sia oggettiva, sia concettuale. Il termine "nulla" e` definibile solo in chiave negativa, escludendo l’esistenza di tutti i membri di qualsiasi insieme reale o pensato; esso non ha alcun riferimento, non indica alcunche`, perche` in effetti e` soltanto un segno che rappresenta un’operazione: l’abolizione di tutto. "Infinito" denota cio` che nello spazio non ha un principio ed una fine, oppure ha solo un principio o solo una fine. A sua volta, "eterno" designa cio` che nel tempo non ha inizio e fine, oppure ha solo un inizio (eternita` finale) o solo una fine (eternita` iniziale). Il riferimento dei due termini sfugge completamente alla capacita` umana di comprensione.

2.4. I miracoli come prova dell’esistenza di Dio. Talvolta le religioni si servono anche dei miracoli per comprovare l’esistenza di Dio ed avvalorare la veridicita` delle proprie dottrine. Il "miracolo" e` qualsiasi fatto prodigioso, ossia, qualunque evento che si verifica in netto contrasto con le leggi naturali e del quale la conoscenza umana non e` in grado di dare alcuna spiegazione. Il ragionamento che regge tale prova appare molto semplice ed incisivo: Se accade un miracolo, esso non puo` essere opera dell’uomo o della natura, perche` il prodigio e` avvenuto proprio al di fuori e contro le leggi della natura. Soltanto Dio, Signore dell’universo, puo` infrangere le leggi che Egli stesso ha dato al mondo. Di conseguenza, il miracolo costituisce la prova indiretta e tangibile dell’esistenza di Dio. In realta`, la logica del miracolo non e` cosi` semplice e solleva molte questioni a cui e` spesso impossibile dare quelle risposte certe, le quali soltanto risultano determinanti per stabilire la validita` dell’argomentazione che dovrà portarci alla prova dell’esistenza di Dio. C’e`, innanzi tutto, la questione della verita` storica; si pone la domanda: il fatto miracoloso e` realmente avvenuto cosi` come riferito? A tal fine, quale e quanta attendibilita` puo` attribuirsi alle testimonianze del miracolo? I testimoni erano uno solo, pochi o molti e le loro versioni del fatto coincidono perfettamente o sono diverse? E se sono diverse, le varie versioni si differenziano nei particolari, oppure sono tali da modificare sostanzialmente l’accadimento del prodigio? Sono sopravvissute e risultano tuttora disponibili eventuali tracce materiali del miracolo? Quale peso puo` essere attribuito a questi elementi obbiettivi per il riscontro del prodigio? Come si vede, e` gia` molto problematico riuscire a rispondere con esattezza a questa massa di interrogativi che condizionano la verita` storica del miracolo. Veniamo, ora, alla seconda questione della effettiva natura miracolosa del fatto. Al riguardo si tratta di stabilire se il prodigio accaduto ha veramente trasgredito le leggi che regolano rigorosamente il campo della natura in cui esso si e` verificato; e non basta che la scienza ufficiale del momento non sia in grado di fornire alcuna spiegazione razionale del miracolo: molti fenomeni ritenuti miracolosi alla stregua delle conoscenze del tempo, sono stati poi spiegati dal progresso della scienza; come il fulmine che anticamente veniva considerato un prodigio inspiegabile ed attribuito all’intervento punitivo di una divinita`. Risulta, quindi, molto difficile stabilire in maniera inequivocabile ed assoluta che il prodigio verificatosi sia veramente tale che non sara` mai possibile in futuro darne una spiegazione razionale e scientifica. Ma, pur dando per superate le due questioni della certezza storica e della natura miracolosa dell’evento, resta ancora da risolvere la questione essenziale: l’attribuzione della paternita` del miracolo. Affermare categoricamente che il miracolo e` opera di Dio, in quanto Egli solo puo` sovvertire le leggi dell’universo, puo` apparire una risposta piuttosto semplicistica che da` per accertato proprio cio` che con il miracolo si intende provare: l’esistenza di Dio. Potrebbe sembrare, infatti, una vera e propria petizione di principio il volere considerare il miracolo come una prova che Dio esista e dare poi per scontato che Egli gia` esista per aver creato la natura e le sue leggi prima ancora di aver operato il miracolo. Tutta l’argomentazione puo` essere sintetizzata nel seguente condizionale:

2.4.1) Se il mondo e le sue leggi sono stati creati da un Dio, allora anche la modifica di queste leggi deve essere opera dello stesso Dio. Ora nella proposizione condizionale e` la verita` dell’antecedente che garantisce la verita` del conseguente; in altri termini e per ritornare al nostro condizionale, solo se si verifica la condizione posta dall’antecedente (esistenza di un Dio che ha creato il mondo e le sue leggi), si avvera anche il conseguente (Dio puo` modificare quelle leggi). Quindi, nel nostro caso, l’esistenza del Dio creatore sarebbe la premessa, il presupposto logico per il Dio autore del miracolo; e, di conseguenza, l’argomentazione innanzi svolta porterebbe a convalidare l’assunto che dal verificarsi dell’evento prodigioso non si può risalire al suo autore, Dio, la cui esistenza deve essere precedente al miracolo. Non è infatti logicamente valido il condizionale inverso:

2.4.1a) Se si verifica la modifica delle leggi naturali con il miracolo, allora esso è opera del Dio che ha creato quelle leggi. ma vale soltanto il condizionale contronominale: 2.4.1b) Se non si verifica la modifica delle leggi naturali (ossia il miracolo non avviene), allora non vi è alcun intervento di chi ha posto le leggi stesse, cioè, Dio. che si limita a ripetere banalmente in altri termini il contenuto della 2.4.1).

I lettori avranno notato che in tutto il passo precedente si è fatto un abbondante uso di verbi al condizionale per evidenziare il fatto che in tutto il ragionamento doveva esserci un qualche vizio che ne invalidava l’efficacia e le conclusioni. Infatti, l’errore consiste nell’aver considerato un condizionale semplice quello che in effetti e` un condizionale forte, altrimenti detto bicondizionale o equivalenza. Mi spiego meglio con un semplice esempio: Il condizionale "se piove, allora la strada e` bagnata" e` un condizionale semplice; mentre "se e solo se piove, allora la strada e` bagnata" e` un condizionale forte. La differenza tra i due e` che nel primo la condizione "se piove" e` sufficiente ma non necessaria, nel senso che basta che piova affinche` la strada sia bagnata; comunque, non e` necessario soltanto che piova, perche` la strada potrebbe risultare bagnata anche in altro modo, dal getto di una innaffiatrice stradale, ad esempio. Nel secondo condizionale, invece, la condizione "se e solo se piove" risulta necessaria e sufficiente, escludendo ogni altro mezzo per bagnare la strada che non sia la pioggia. In questo secondo caso dire "pioggia" equivale a dire "strada bagnata" e "strada bagnata" e` lo stesso che dire "pioggia"; il che giustifica l’altra denominazione di "equivalenza" attribuita al condizionale forte; quest’ultimo e` ancora detto "bicondizionale" perche` vi risultano veri ambedue i condizionali, quello iniziale"se piove, allora la strada e` bagnata" ed anche quello inverso "se la strada e` bagnata, allora piove"; il che non si verifica con il condizionale semplice. Potrebbero citarsi innumerevoli esempi di condizionali forti, come i seguenti:

1) Se un uomo e` scapolo, allora non ha moglie. 2) Se A e` maggiore di B, allora B e` minore di A. 3) Se Mario e` il padre di Aldo, allora Aldo e` il figlio di Mario.

Negli esempi fatti il "se" della condizione va inteso come "se e solo se" ed affermare l’antecedente di ciascun condizionale equivale ad affermare il suo conseguente e viceversa; inoltre, ogni condizionale ammette come vero il suo condizionale inverso:

1a) Se un uomo non ha moglie, allora e` scapolo. 2a) Se B e` minore di A, allora A e` maggiore di B. 3a) Se Aldo e` il figlio di Mario, allora Mario e` il padre di Aldo.

Chiusa ora questa necessaria digressione logica, riprendiamo la precedente 2.4.1); avendo detto che deve considerarsi un condizionale forte, essa va quindi riformulata in: 2.4.2) Se e solo se il mondo e le sue leggi sono stati creati da un Dio, allora anche la modifica di queste leggi deve essere opera dello stesso Dio. Da questa nuova e corretta formulazione del condizionale consegue che possiamo ora affermare l’equivalenza del suo antecedente e del suo conseguente, nel senso che la constatazione di un evento miracoloso, verificatosi in contrasto con le leggi naturali, equivale alla dimostrazione dell’esistenza di un Dio che ha creato il mondo e le sue leggi. Possiamo dunque concludere che il miracolo, se veramente accertato come tale, deve essere considerato una valida prova indiretta dell’esistenza di Dio. Tuttavia, l’accettazione del miracolo come un fatto accertato pone una questione essenziale, che condiziona l’esistenza stessa di quella logica da noi affermata universale ed unica per Dio e per gli uomini.

Il mondo e` regolato da un sistema di leggi fisiche alla cui base vi e` la medesima logica del ragionamento umano; le regole, alle quali obbediscono i fenomeni dell’universo, non sono in contrasto con i principi logici, ma in armonia con essi. Il miracolo avviene, invece, in palese difformita` con tali leggi fisiche e, di conseguenza, in aperta contraddizione con la logica. Cosi`, se ricordiamo il miracolo evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, pochi pani e pochi pesci si trasformarono prodigiosamente nella enorme quantita` di alimenti, necessaria a sfamare una moltitudine. Appare qui chiaramente infranto il principio d’identita` "A = A": se il numero dei pani e dei pesci era cinque o dieci, esso non poteva essere mille o diecimila. Saremmo costretti, quindi, ad ammettere che Dio, operando il miracolo in violazione delle leggi della logica, agisce applicandone una diversa da quella umana, una logica appunto divina? Se cosi` fosse, noi esseri umani ricadremmo nuovamente nell’incertezza piu` completa, potendo disporre di uno strumento raziocinante la cui validita` ha perduto ogni assolutezza, superata come essa e` da una logica trascendente che non riusciremo mai ne` a concepire, ne` a comprendere. Cosi` non puo` essere, l’intelligenza umana e` un frammento infinitesimale dell’Intelligenza Divina ed il loro modo di funzionare deve essere il medesimo. Ma, se la logica di Dio e` la stessa logica dell’uomo ed Egli non si serve, quindi, di una logica diversa e contrastante con essa per operare i miracoli, e` pur vero che nella Sua Onnipotenza Egli puo` sempre sospendere l’azione delle leggi dell’universo e la valenza dei principii logici sottostanti. Il miracolo sarebbe, pertanto, l’effetto di una momentanea sospensione di quelle regole e non la conseguenza dell’uso di una logica trascendente. Una simile sospensione ha certamente anch’essa il sapore di un miracolo, ma di un miracolo molto più prodigioso di quello particolare operato nell’occasione, del Miracolo Massimo strettamente ed intimamente collegato alla Onnipotenza di Dio e perciò stesso inaccessibile ad ogni possibilità di comprensione umana. Tutto diventa possibile nell’ Universo, al di fuori di ogni legge, a Colui il quale è il Creatore dell’uno e delle altre.

E questa e` l’unica soluzione che assicura nel contempo la fattibilita` del miracolo e l’esistenza di un’unica logica umana e divina, pur riconoscendo l’Onnipotenza di Dio, arbitro assoluto dell’Universo da Lui stesso creato. .

3. LE POSSIBILI RISPOSTE DELLA RAGIONE AGLI INTERROGATIVI FONDAMENTALI.

Se la ragione ed il suo strumento, la logica, non sono in grado di assicurarci nessuna certezza in materia di religione, per cui ogni soluzione, ogni punto di vista sull’argomento, ha uguali possibilita` di essere vero e di essere falso, non ci resta che adoperare quella stessa logica, unico modo di ragionare di cui disponiamo, almeno per individuare tutte le soluzioni che sono possibili per ciascuna questione, per ciascuno di quegli interrogativi fondamentali che l’uomo si e` sempre posto. Inizialmente, prenderemo in considerazione come possibili risposte tutte quelle suggerite anche dal semplice calcolo combinatorio e persino quelle che sembrano cozzare con modi di pensare consolidati, con tradizioni inveterate, con il comune senso della morale e della religione. Una volta ottenuto un ventaglio completo delle ipotesi alternative possibili per ciascun problema, occorrera` valutarle per discernere quali di esse siano compatibili tra di loro; e il giudizio di compatibilita` dovra` essere esteso anche alle implicazioni, vale a dire alle conseguenze che ciascuna ipotesi comporta, per evitare che ci si possa trovare di fronte ad un quadro di alternative solo apparentemente compatibili fra di loro, a causa della contradditorieta` delle loro conseguenze. Con questo metodo d’indagine speriamo di ricavare, alla fine, uno scenario generale di risposte, coerenti e compatibili fra di loro, ai famosi interrogativi; risposte che saranno utilizzate come tasselli per comporre piu` mosaici, armoniosi e non contraddittori, di soluzioni globali. In questo modo non giungeremo certamente a provare la veridicita` assoluta di alcuna delle soluzioni proposte, ma avremo almeno un quadro chiaro di quelle non solo possibili alla luce della ragione , ma anche equivalenti sul piano della coerenza. La scelta finale della soluzione a cui prestare il pieno consenso, o accordare per lo meno la preferenza, sara` poi soltanto una questione di valutazione personale dei pro e dei contro presentati da ciascuna di esse. Nei prossimi capitoli, quindi, ci proponiamo di esaminare i singoli interrogativi a cominciare da quello sull’esistenza di Dio.

4. L’ESISTENZA DI DIO.

Al quesito sull’esistenza di Dio si possono dare ovviamente solo due risposte alternative:

4.1) Dio non esiste.

4.2) Dio esiste.

Ma la soluzione 4.2) pone nuovi interrogativi anch’essi suscettibili di piu` risposte possibili. Accettata l’esistenza del Divino, noi possiamo ipotizzare per Esso diverse configurazioni:

4.2.1) Un Dio unico (monoteismo).

4.2.2) Due Divinita` (manicheismo).

4.2.3) Più Divinità (politeismo).

4.2.1a) Un Dio unico che si identifica con l’universo (panteismo).

4.2.1b) Un Dio unico esistente al di fuori dell’universo (sovrannaturalità).

4.2.4) Un Dio indifferente verso l’universo e l’uomo (atteggiamento neutro).

4.2.4a) Un Dio sollecito del bene dell’universo e dell’uomo (atteggiamento positivo).

4.2.4b) Un Dio nemico dell’universo e dell’uomo (atteggiamento negativo).

Il monoteismo (4.2.1) e` alla base delle grandi religioni come il cristianesimo, l’ebraismo, l’islamismo. Il manicheismo (4.2.2) ipotizza l’esistenza di due Esseri Divini che lottano fra di loro, l’uno volto al male dell’uomo e del mondo, l’altro al loro bene. Esso ha costituito per alcune antichissime religioni il modo con cui si cercava di dare una spiegazione al problema del male. Il politeismo (4.2.3) e` stato la religione di molti popoli dell’antichita` (in particolare, egizi, babilonesi, assiri, fenici, greci, romani) e lo e` tuttora per molte tribu` ancora poco progredite dell’Africa e del Sudamerica. Nella visione politeistica, il potere divino e` suddiviso tra piu` Dei, ciascuno operante autonomamente in un proprio settore della vita dell’universo e dell’uomo. Una credenza in qualche senso analoga e` residuata dalla precedente religione pagana nel cristianesimo con il culto dei Santi Patroni, a cui sono affidati da Dio specifici compiti di cura e tutela di comunita`: i Santi Patroni delle nazioni (S.Francesco, Patrono d’Italia), delle citta` (S.Gennaro, Patrono di Napoli), di singole categorie (S.Giuseppe, Patrono dei falegnami); o di aspetti particolari della vita (S.Anna, che protegge le partorienti). Per il panteismo (4.2.1a) la Divinita` si identifica con lo stesso universo, che non ha null’altro al di fuori di se`, in contrapposizione con la visione di un Dio sovrannaturale che si distingue dal mondo materiale esistente (4.2.1b). Per quanto riguarda i rapporti di Dio con l’universo e gli uomini, si pone l’ipotesi di un Dio neutro, lontano, astrale, il quale, confinato nella sua divinita`, non si cura affatto del mondo (4.2.4); si svuota così di ogni significato l’esistenza stessa di un Dio, che, in tal modo, diventa inutile e superfluo per l’uomo e per l’universo. Percio`, la posizione 4.2.4), anche se ammissibile in linea teorica, e` quella meno accettabile sul piano delle conseguenze del tutto negative che essa provocherebbe. L’alternativa di un Dio benefico, sollecito delle migliori condizioni dell’uomo e del mondo (4.2.4a), e` quella piu` largamente accolta dalle religioni, perche` essa risulta in perfetta sintonia con l’ipotesi di Dio Creatore dell’uno e dell’altro e con l’attributo di "infinitamente buono" che Gli si riconosce. L’ipotesi (4.2.4b) di un Dio malvagio e diabolico fa della societa` umana il regno del male ed impone il caos come condizione stabile dell’universo. L’atteggiamento ostile dell’Ente Supremo nei confronti di tutto l’esistente connoterebbe la Sua essenza di attributi tutti negativi; avrebbe il sapore di una continua vendetta contro quella che non puo` essere opera sua e che percio` egli ha condannato alla completa distruzione.

E` una concezione questa che risulta del tutto incomprensibile alla mente umana e che appare inoltre la piu` disperata per l’uomo ed il suo futuro!

5. L’ORIGINE E LA FINE DELL’UNIVERSO.

Il problema dell’origine dell’universo offre molteplici soluzioni alternative, tutte raggruppate, pero`, attorno alle due possibilita` principali che vi sia o non vi sia una causa della sua esistenza. L’ipotesi che il mondo possa non avere avuto un inizio e non essere stato prodotto da alcuna causa esterna ad esso, puo` non essere facilmente accettata. L’idea sembra in netto ed aperto contrasto con quanto ci dimostra costantemente in contrario la nostra esperienza di uomini, dalla quale abbiamo imparato che ogni evento che accade e` sempre dovuto all’azione di una causa. Ma, dal punto di vista logico, si deve osservare che il ragionamento di tipo induttivo porta sempre ad una generalizzazione che non potra` mai essere verificata completamente e non potra` mai, quindi,essere dichiarata una verita` assoluta. In parole piu` semplici, quando, nel nostro caso, io constato che tutte le volte che si verifica un evento, esso e` stato prodotto da una causa, sono portato a trarne induttivamente la conclusione generale che tutti gli eventi hanno una causa. Ma, affinche` io possa affermare come assolutamente certa tale generalizzazione, occorre che verifichi se in tutti i casi passati, presenti e specialmente futuri, un evento sia stato, sia e sarà sempre prodotto da una causa: il che, ovviamente, riesce del tutto impossibile. Le generalizzazioni formulate in via induttiva sembrano avere soltanto un piu` o meno alto grado di probabilita` di essere vere; tuttavia, tale probabilita`, che pur pare vada aumentando in proporzione ai casi positivi osservati, non potra` escludere mai la possibilita` che si verifichi almeno un caso negativo che annulli la validita` della generalizzazione fatta. Per la verità, parlare di probabilità ha senso soltanto in relazione ad un insieme finito o indefinito di elementi ( cioè quando il numero degli elementi è noto -come i libri di una biblioteca- oppure quando, pur essendo ignoto, è sempre un numero limitato -come il numero delle cellule di un organismo). Ma parlare di probabilità rispetto ad un insieme infinito di elementi, in quanto infiniti sono gli eventi che possono ancora verificarsi nell’universo, è quanto meno poco appropriato e comunque improduttivo di risultati positivi. Infatti, come è noto, la probabilità matematica di un evento è data dal rapporto tra il numero dei casi favorevoli all’evento ed il numero dei casi possibili; così nel lancio di una moneta la probabilità che esca una delle due facce risulta pari a 1/2, essendo due i casi possibili ed uno solo quello favorevole. Che succederà allora quando il numero dei casi possibili è infinito? In tale ipotesi, per quanto grande possa diventare il numero dei casi favorevoli, il rapporto fra esso e l’infinito numero dei casi possibili sarà sempre zero (qualunque numero diviso per l’infinito dà per quoziente zero). Perciò le generalizzazioni induttive relative a classi infinite di fenomeni, per quanto numerose e crescenti siano i casi positivi riscontrati, hanno sempre la stessa probabilità nulla di risultare vere. Per quanto detto, quindi, è possibile considerare come logicamente valida e possibile l’ipotesi che l’universo non sia stato originato da alcuna causa esterna ad esso. E questo in aggiunta al fatto, cui abbiamo gia` accennato in precedenza, che gia` troviamo in matematica numerose serie infinite prive del primo termine. Non deve meravigliarci allora che anche la serie infinita della cause, che si verificano nell’universo, possa non avere un primo termine, ossia una causa prima e che, in conclusione, possa esistere un universo non causato. Dopo questa necessaria digressione, ritorniamo ora alle alternative possibili in ordine all’origine dell’universo:

5.1) Universo infinito, eterno, non causato.

La prima ipotesi 5.1) considera la possibilita` di un universo che non ha limiti nello spazio ed esclude altri esistenti al di fuori di se`; che e` sempre esistito e non ha avuto, quindi, alcun principio e nessuna causa generatrice esterna ad esso; che non avra` mai fine.

5.2) Universo finito, eterno, non causato.

L’alternativa 5.2) e` quella di un universo finito, limitato nello spazio, al di fuori del quale e` possibile il vuoto, il nulla, o l’esistenza di altri universi finiti; in questo secondo caso, la molteplicita` degli universi esistenti potrebbe essere infinita, ossia, vi sarebbe un numero infinito di universi limitati, oppure anch’essa finita, ossia, vi sarebbe un certo numero di universi finiti esistenti. Quest’uno o piu` universi finiti possono concepirsi come eterni, cioe`, senza principio e senza fine, e, quindi, non originati da cause esterne ad essi.

5.3) Universo finito, temporaneo, non causato.

L’ipotesi 5.3) aggiunge all’uno o più universi della 5.2) il carattere della loro temporaneita`, della loro durata limitata nel tempo; essi non hanno avuto un principio in quanto non causati, ma avranno una fine che potra` essere provocata da una causa endogena, cioe`, interna ad essi. A ben guardare, anche questi universi, non avendo avuto un inizio, sono eterni; ma la loro puo` essere definita un’eternita`, per cosi` dire, iniziale, a differenza degli altri che, non avendo ne` principio, ne` fine, possiedono un’eternita` iniziale e finale.

5.4) Universo infinito , temporaneo, non causato.

L’ultima ipotesi (5.4) nell’ambito degli universi non causati, e` quella di un universo infinito e temporaneo, cioe`, di un unico universo senza limiti di spazio, ma che avra` una fine. Nell’ambito degli universi possibili che traggono la loro origine da una causa esterna ad essi, ritroviamo poi le stesse quattro precedenti configurazioni.

5.5) Universo infinito, eterno, causato.

5.6) Universo finito, eterno, causato.

Soffermiamoci su queste prime due ipotesi 5.5) e 5.6); ambedue attribuiscono il carattere dell’eternita` ad un universo originato da una causa esterna ad esso; ora, proprio questa eternita` non e` conciliabile con la circostanza che trattasi di un universo causato. Risulterebbe, infatti, contraddittorio che una causa esterna, capace di dare origine all’universo, non sia poi in grado di determinarne la fine; o che volutamente lo abbia creato eterno, quasi per sottrarlo al suo potere di distruzione, ponendo cosi` in essere un qualcosa piu` potente di se stessa. Non sembra quindi che il concetto di oggetto eterno originato da una causa possa essere considerato sufficientemente coerente e, di conseguenza, noi elimineremo dal novero degli universi causati quelli eterni, scartando le configurazioni 5.5) e 5.6).

5.7) Universo infinito, temporaneo, causato.

5.8) Universo finito, temporaneo, causato.

Le altre due configurazioni 5.7) e 5.8), che ipotizzano un universo temporaneo, infinito o finito, richiedono qualche precisazione: se e` un universo infinito (5.7), proprio per la sua caratteristica di essere infinito, esso abbraccia il tutto esistente ed esclude, quindi, la possibilita` di una causa originante esterna ad esso. Tale contraddizione, insita nella concezione di un universo infinito e causato, puo` essere risolta soltanto ponendo la causa su di un piano diverso da quello materiale dell’universo fisico, ipotizzando, cosi`, l’esistenza di enti dotati di una natura immateriale. L’altra configurazione (5.8), di un universo temporaneo finito, non presenta la contraddizione di cui innanzi ed ammette, quindi, la possibilita` che esso sia stato originato da una causa esterna avente la stessa natura materiale dell’universo da essa causato. La 5.8) consente, inoltre, di ipotizzare anche una molteplicita` di universi temporanei finiti , dovuti all’azione della stessa causa esterna ed, in piu`, apre il nuovo problema della possibile ciclicita` degli universi causati, nel senso che la causa esterna, all’atto della scomparsa dell’attuale

o degli attuali universi, ne produca altri, sempre finiti e temporanei.

6. L’ORIGINE E LA FINE DELL’UOMO.

All’interrogativo circa l’origine dell’uomo, inteso come genere umano, sono possibili diverse risposte:

6.1) L’uomo e` coevo all’universo.

6.2) L’uomo e` stato originato dall’universo.

6.3) L’uomo e` stato originato nell’universo da una causa esterna ad esso.

La prima risposta (6.1) avanza l’ipotesi che l’uomo abbia fatto la sua comparsa in contemporanea con l’universo; la sua origine e`, quindi, collegata con il problema dell’origine dell’universo e con le diverse soluzioni alternative a cui quella questione ha dato luogo. In connessione con l’ipotesi 5.1) "universo infinito, eterno, non causato", abbiamo che:

6.1.1) L’uomo e` sempre esistito sulla terra e/o su altri pianeti dell’universo e continuera` ad esistervi per sempre.

In relazione alla 5.2) "universo finito, eterno, non causato", dobbiamo considerare l’ulteriore possibilita` che l’uomo esista anche in altri universi finiti; percio`:

6.1.2) L’uomo e` sempre esistito in questo universo e forse anche in altri universi finiti e vi continuera` ad esistere per sempre.

Per la 5.3) "universo finito, temporaneo, non causato":

6.1.3) L’uomo e` sempre esistito in questo universo e forse anche in altri universi finiti e cessera` di esistere con la fine di questi universi.

In base alla 5.4) "universo infinito, temporaneo, non causato":

6.1.4) L’uomo e` sempre esistito in questo universo e cessera` di esistere alla fine di esso.

Infine, per la 5.7) e la 5.8) "universo infinito o finito, temporaneo, causato":

6.2.2) Lo stesso universo, eterno o temporaneo, che ha generato l’uomo, ne puo` causare in qualunque momento la scomparsa.

La 6.3) considera la possibilita` che l’uomo sia stato creato da una causa esterna all’universo in cui vive. In tal caso, si presentano le seguenti diverse alternative, che comprendono l’ipotesi 6.1.5) gia` indicata e vi aggiungono altre possibilita`:

6.3.1) L’uomo e` stato originato dalla stessa causa esterna che ha originato l’universo e contemporaneamente ad esso e la sua esistenza ha la stessa durata temporanea di questo universo (trattasi della stessa ipotesi 6.1.5).

6.1.5) L’uomo ha avuto origine dalla stessa causa che ha dato origine all’universo, esiste in questo e forse anche negli altri universi eventualmente originati da quella causa e cesserà di esistere con la fine di questi universi.

L’ipotesi 6.2) prende in considerazione la possibilita` che l’uomo sia stato originato dallo e nello stesso universo ad un dato momento della sua storia, ma la sua durata non dipende necessariamente dal tipo di universo in cui vive; vale a dire che l’esistenza dell’uomo non sara` necessariamente eterna se il suo universo e` eterno, ne` cessera` necessariamente nel momento della fine del suo universo se questo e` limitato nel tempo: vi e`, infatti, la terza possibilita` di una sua scomparsa, causata dallo stesso universo che lo ha creato, in un periodo intermedio della vita di questo universo. La 6.2) si sdoppia, pertanto, nelle due alternative:

6.2.1) L’uomo, causato dallo stesso universo, ne segue fedelmente le sorti ed e` eterno, se questo universo e` eterno, oppure la sua esistenza cessera` con la fine dell’universo, se questo e` temporaneo.

6.3.2) Ferma restando la contemporanea origine dell’uomo e dello universo dalla stessa causa esterna, quest’ultima puo` provocare in qualunque momento la fine della esistenza umana.

6.3.3) Ferma restando la contemporanea origine dell’uomo e dell’universo dalla stessa causa esterna, puo` essere un’altra diversa causa a provocare, in un certo momento, la fine dell’uomo.

6.3.4) L’uomo e` stato creato dalla stessa causa che ha dato origine all’universo, ma in epoca successiva ad esso e la durata della sua esistenza e` analoga a quella dell’universo.

6.3.5) La stessa causa che ha creato l’uomo dopo che ha originato l’universo, può in qualunque momento provocare la fine dell’esistenza umana.

6.3.6) La stessa causa ha creato l’uomo dopo avere dato origine all’universo, ma e` una causa diversa a provocare in un dato momento la fine dell’esistenza umana.

6.3.7) L’uomo e` stato originato da una causa esterna diversa da quella che ha

dato origine all’universo e successivamente a questo; ma la sua esistenza ha la stessa

durata temporanea di questo universo.

6.3.8) L’uomo e` stato originato da una causa esterna diversa da quella che ha

dato origine all’universo e successivamente a questo; quella stessa causa che lo ha

generato puo` in un dato momento provocare la fine della sua esistenza.

6.3.9) L’uomo e` stato originato da una causa esterna diversa da quella che ha dato origine all’universo e successivamente a questo; ma e` una terza causa, diversa dalle prime due, che, in un certo momento, puo` provocare la fine della sua esistenza.

Dobbiamo, infine, prendere in considerazione le ipotesi intermedie di un universo non causato e

dell’uomo originato da una causa esterna. Abbiamo ancora, quindi:

6.3.10) L’uomo e` stato originato da una causa esterna in un universo incausato,

infinito o finito, eterno o temporaneo; la fine della sua esistenza e` determinata da

quella stessa o da una seconda causa.

6.3.11) L’uomo e` stato originato da una causa esterna in un universo incausato, temporaneo, infinito o finito e la sua esistenza dura fino alla fine dell’universo.

7. RISPOSTE COMPATIBILI NELLE QUESTIONI DELL’ESISTENZA DI DIO E DELL’ORIGINE E FINE DELL’UNIVERSO E DELL’UOMO.

Abbiamo finora ricercato le diverse soluzioni alternative che la ragione ci indica per le singole questioni dell’esistenza di Dio, dell’origine dell’universo e dell’origine dell’uomo. Vediamo ora di comporre tutti i possibili quadri di risposte ai tre problemi, che risultino compatibili tra di loro. Premesso che noi identifichiamo con Dio la causa esterna che può aver dato origine all’universo (infatti, ogni altra causa materiale allargherebbe soltanto i confini del nostro universo e farebbe un tutt’uno con esso), cominciamo con l’operare una netta distinzione tra i gruppi di alternative compatibili che presuppongono l’esistenza di una causa esterna e quelli che ne fanno a meno. Nell’esposizione dei risultati compatibili diamo fra parentesi i riferimenti alle soluzioni indicate in precedenza. Nell’ipotesi della non esistenza di Dio (4.1), abbiamo le seguenti possibilita`:

7.1) L’universo esistente e` non causato, infinito, finito, eterno o temporaneo (5.1/5.4); l’uomo, anch’egli senza una causa, e` coevo con tale universo (6.1), esiste da sempre e continuera` ad esistere per sempre, se l’universo e` eterno, o cessera` di esistere con la sua fine (6.1.1 / 6.1.4).

7.2) L’universo esistente, non causato, ha dato esso stesso origine all’uomo (6.2), la cui esistenza durera` per sempre, se l’universo e` eterno, oppure cessera` con la sua fine, se tale universo e` temporaneo (6.2.1).

7.3) L’universo esistente non causato, ha dato esso stesso origine all’uomo (6.2) ed esso stesso ne provochera` ad un dato momento la scomparsa (6.2.2).

Nel caso dell’esistenza di un Dio unico (4.2.1), in cui identifichiamo la causa esterna che ha dato origine all’universo ed all’uomo, abbiamo:

7.4) Dio ha dato origine ad un universo temporaneo, infinito o finito (5.7/5.8), e

nello stesso stesso tempo ha dato origine all’uomo (6.3), la cui esistenza cessera` con

la fine di questo universo (6.3.1).

7.5) L’uomo e` stato creato da Dio in epoca successiva alla sua creazione dell’universo, e la durata della sua esistenza puo` essere uguale a quella dell’universo

o stabilita da Dio ad un dato momento della storia di questo universo (6.3.4/6.3.5).

Se prendiamo in considerazione l’ipotesi politeista (4.2.3), allora diventano possibili anche le seguenti configurazioni:

7.6) Un Dio ha dato origine, nello stesso tempo o in successione temporale,

all’universo ed all’uomo; una seconda Divinita` puo` provocare in un dato momento la

fine dell’esistenza umana (6.3.3),(6.3.6).

7.7) Un Dio ha dato origine all’universo; un altro Dio ha creato successivamente

l’uomo, la cui esistenza puo` avere la stessa durata dell’universo, o puo` cessare in un

dato momento per l’intervento dello stesso Dio che lo ha creato (6.3.7),(6.3.8).

7.8) Un Dio ha dato origine all’universo; un altro Dio ha creato successivamente

l’uomo, la cui esistenza puo` cessare in un dato momento per l’intervento di una terza

Divinita` (6.3.8).

Vi sono, infine,le configurazioni intermedie di cui alle 6.3.10) e 6.3.11):

7.9) L’universo e` non causato, infinito o finito, eterno o temporaneo; un Dio ha, invece, dato origine all’uomo e ne determinera` anche la fine.

7.10) L’universo e` incausato, temporaneo, infinito o finito; un Dio ha creato l’uomo e la sua esistenza dura fino alla fine dell’universo.

7.11) L’universo e` non causato, infinito o finito, eterno o temporaneo; un primo Dio ha creato l’uomo ed un secondo Dio ne determinera` la fine.

8. LA COSTITUZIONE DELL’UOMO.

Abbiamo finora considerato le varie risposte possibili al problema dell’origine e della fine dell’uomo nell’universo; dell’uomo inteso, pero`, come genere umano. Per l’uomo, inteso come individuo, siamo ora di fronte agli altri interrogativi di sempre:

Quale e` il futuro, la sorte dell’essere umano? La sua vita cessa completamente con la morte fisica del corpo? O vi e` qualcosa di lui che sopravvive alla morte? E se qualcosa sopravvive, dove, fino a quando, in che modo ed a quale scopo esso sopravvive? Secondo una definizione moderna l’uomo e` un’unita` psicofisica, ossia, un insieme coordinato ed unitario di elementi fisici, che compongono il suo corpo, e di elementi psichici, che comprendono le sue facolta` razionali, come l’autocoscienza, l’intelligenza e la memoria, ed emozionali, come l’amore, l’odio, la paura ed altre, che comunemente vanno sotto il nome di sentimenti. Per la scienza ufficiale i componenti psichici formano un tutt’uno inscindibile con quelli fisici; anzi, la componente psichica dell’uomo non e` altro che un derivato, un prodotto della sua parte materiale. La conseguenza di tale concezione dell’uomo sembra semplice ed ovvia: se finisce il produttore, cessa anche il suo prodotto; se muore il corpo, e` distrutta anche la psiche; in parole povere, la morte comporta la scomparsa totale dell’uomo. In proposito devesi osservare che non e` stato mai spiegato come fenomeni di natura chimico­fisica, che si verificano nella materia, possano dar luogo a manifestazioni di ben altra natura immateriale, quali quelle psichiche. Qualcuno potrebbe pensare a qualcosa di analogo alla trasformazione della materia in energia; ma il concetto di energia e` troppo generico e vago per potervi assimilare tutti i complessi ed eterogenei fenomeni spirituali; e, comunque, anche se cosi` fosse, rimarrebbe ancora impregiudicato il problema della durata di queste energie psichiche, le quali, una volta sprigionate dal corpo materiale, potrebbero anche sopravvivere per un tempo indefinito alla morte del corpo: nulla osta, infatti, dal punto di vista logico, all’ipotesi di una durata indefinita delle energie in cui si e` trasformata la materia; come altrettanto valide restano le possibilita` che tali energie cessino subito la loro esistenza, con la distruzione della materia da cui sono nate, oppure continuino a sussistere, dopo la fine del corpo, per qualche periodo limitato di tempo. Ad un’opposta concezione si ispirano coloro che vedono nella parte psichica dell’uomo un’entita` del tutto a se` stante ed autonoma: l’anima, come viene denominata, che, infusa nel corpo materiale, e` essa che gli da` vita e lo governa. In questa visione dell’uomo, la morte e` soltanto la separazione dal corpo dell’anima, la quale prosegue la sua vita nella dimensione extramateriale che le e` propria. D’altro canto, tale concezione appare radicata anche nelle espressioni del linguaggio comune, quando parla degli esseri viventi come di esseri "animati", cioe` dotati di un’anima. Ma e` tempo che noi esaminiamo la questione alla luce delle possibilita` logiche che si presentano alla nostra ragione. Abbiamo gia` detto che l’anima va intesa come il complesso delle facolta` psichiche dell’uomo. Circa il rapporto intercorrente tra l’anima ed il corpo, a parte gli accenni gia` fatti, si possono avanzare diverse ipotesi alternative:

8.1) L’anima e` un prodotto immateriale del corpo e viene distrutta dalla morte del corpo.

8.2) L’anima e` un prodotto immateriale del corpo, e continua a vivere dopo la sua morte per un certo tempo limitato e indefinito o infinito.

8.3) L’anima e` un’entita` autonoma diversa dal corpo e generata da una causa esterna; essa e` con il corpo alla nascita di questo, è preesistente al corpo in cui si connatura all’atto della nascita e sopravvive alla sua morte per un tempo indefinito, ma limitato.

8.4) L’anima e` un’entita` autonoma diversa dal corpo e viene generata da una causa esterna all’atto della nascita del corpo a cui va a connaturarsi, sopravvivendo alla sua morte per un tempo indefinito, ma limitato.

L’ipotesi 8.1) e` quella di cui gia` abbiamo parlato innanzi, esprimendo una certa perplessita`, sia in relazione al fatto che una causa materiale, quale e` il corpo, possa produrre effetti immateriali di altra natura, quali sono i fenomeni psichici; sia in merito alla possibilita` di assimilare tali fenomeni ad energie non meglio specificate, nelle quali si trasformerebbe la materia del corpo, quasi a conferma della nota equazione "materia = energia". Comunque, anche se ignoriamo in che modo la materia possa generare le manifestazioni della psiche, non esiste alcuna incongruita` logica nell’accettare questa trasformazione, per cui tale punto di vista e` logicamente valido e possibile. La 8.1), fra l’altro, rappresenta la posizione della scienza ufficiale sull’argomento ed in quest’ottica non esiste un’anima a se` stante e l’uomo cessa totalmente di esistere con la morte. L’ipotesi 8.2) conferma la 8.1) per quanto riguarda l’origine dell’anima dal corpo; ma, ricollegandosi alle osservazioni gia` fatte in ordine alla possibilita` che i fenomeni psichici, essendo di natura immateriale, perdurino oltre la morte del corpo, prospetta una sopravvivenza dell’anima per un dato tempo limitato o infinito. L’ipotesi in parola assegna all’anima una vita extraterrena dai contenuti imprecisati, che danno percio` luogo a tre ulteriori possibilita`:

8.2.1 L’anima e` un prodotto immateriale del corpo e sopravvive in eterno alla sua morte, in una esistenza completa ed autonoma, conservando integre tutte le sue facolta`.

8.2.2) L’anima e` un prodotto immateriale del corpo e sopravvive alla sua morte per un tempo limitato ed indefinito, conservando integre le sue facolta` in un’esistenza completa ed autonoma.

8.2.3) L’anima e` un prodotto immateriale del corpo e sopravvive alla sua morte per un tempo limitato ed indefinito; ma la sua ulteriore esistenza e` ridotta ad un qualche residuo di contenuti psichici, relativi alla sua vita in congiunzione con il corpo, che si dissolvono gradualmente, fino a cessare del tutto.

L’ipotesi 8.3) concepisce l’anima come un’entita` autonoma, che e` originata da una causa esterna, e` preesistente al corpo in cui si incarna e sopravvive alla sua morte; tale ipotesi viene considerata comunemente, anche se impropriamente, quella della "immortalita`" dell’anima. Ho detto "impropriamente" perche` la preesistenza e la sopravvivenza dell’anima al corpo non significano necessariamente che l’anima e` immortale e, quindi, eterna; non e` infatti contraddittorio pensare che essa possa cessare di esistere anche in epoca successiva alla morte del corpo. A parte il fatto che, poiche` quest’anima ha una causa originante a cui si riconoscono gli attributi della Divinita`, ci ritroveremmo nuovamente nella contraddizione gia` rilevata per la creazione divina di universi eterni; cioe`, che Iddio, creando un’anima immortale e quindi eterna, porrebbe in essere un’entita` che si sottrarrebbe al Suo potere di causarne anche la fine.

Di conseguenza, la durata dell’anima creata da Dio, deve essere limitata nel tempo, anche se essa sopravvive alla morte del corpo. La vera immortalita` dell’anima si ravviserebbe, quindi, soltanto nella configurazione indicata dalla 8.2.1), che ne prevede una causa materiale originante ed una durata infinita. L’ultima ipotesi 8.4), pur lasciando immutata la concezione di un’anima entita` a se`, prospetta una sua origine da una causa esterna al momento stesso della nascita del corpo in cui va ad incarnarsi ed una sua sopravvivenza indefinita, ma sempre limitata, dopo la sua morte.

9. COMPATIBILITA` TRA LE IPOTESI SULL’ANIMA DELL’UOMO E QUELLE SULL’ESISTENZA DI DIO, SULL’ORIGINE E SULLA FINE DELL’UNIVERSO E DEL GENERE UMANO.

Passiamo ora a valutare quali compatibilita` esistano tra le ipotesi sull’anima (8.1 / 8.4) e quelle gia` avanzate sulle questioni dell’esistenza di Dio e dell’origine e fine dell’universo e dell’uomo

(7.1 / 7.11). In linea di massima, le configurazioni che vedono nell’anima soltanto un prodotto del corpo (8.1/8.2), appaiono compatibili con le concezioni che ipotizzano l’universo e l’uomo non originati da una causa esterna (7.1/7.3). Un universo increato e materiale, infatti, puo` concepirsi come fine a se stesso e l’origine materiale dell’anima con la conseguente sua mortalita`, puo` essere accettata come facente parte di un tutto autoregolato da leggi deterministiche che mirano soltanto alla conservazione di quell’universo. Di contro, la 8.1) si rivela incompatibile con tutte le ipotesi che attribuiscono l’origine dell’ uomo ad una causa divina (7.4/7.11). La concezione di un Dio creatore dell’uomo non si concilia con una natura meccanicistica dell’anima; e questa inconciliabilita` non e` di carattere logico: non e`, infatti, contraddittorio ipotizzare un Dio che crea il solo corpo umano, a sua volta generatore dell’anima; anche perche` e` sempre Lui a dare origine, sia pure indirettamente, all’anima. L’incompatibilita` deriva, invece, dalla concezione stessa del Divino, dagli attributi di perfezione della Sua essenza, che induce a presumere un fine in ogni Sua opera, un fine da conseguire anche sul piano della Sua dimensione atemporale ed immateriale. In altre parole , se vi e` un Dio che ha creato l’uomo, la sua anima non puo` essere un derivato, anch’esso mortale, di un corpo mortale; l’anima, nella vita terrena e/o in un’altra forma di esistenza, dovra` assolvere la funzione e raggiungere lo scopo che Dio le ha assegnato. A meno che non si voglia prendere in considerazione l’ipotesi 4.2.7) di un Dio, nemico dell’universo intero , che abbia creato l’uomo e lo lasci poi vivere un tempo limitato nella speranza di un futuro migliore, per il solo gusto sadico di distruggere totalmente la sua creatura con la morte del suo corpo e della sua anima. Le medesime considerazioni valgono anche per l’ipotesi 8.2.3), che vi aggiunge anche la beffa di una parvenza evanescente di temporanea esistenza dell’anima dopo la morte del corpo. Di contro, le ipotesi 8.3) e 8.4) di un’anima a se` stante creata da un Dio, risultano compatibili con tutte le configurazioni 7.1)/7.11): qualunque sia la causa che ha dato origine all’universo ed all’uomo, quello che conta e` che l’anima sia stata creata da Dio e possa quindi adeguarsi ai Suoi fini in questa e/o in un’altra vita dopo la morte. Le alternative 8.2.1) e 8.2.2), che prevedono un periodo infinito o temporaneo di sopravvivenza piena dell’ anima dopo la morte del corpo, potrebbero considerarsi conciliabili con il perseguimento di un fine determinato; ma esso resta ignoto ed incomprensibile proprio perche` in queste concezioni manca la presenza di un Dio. In relazione alle ipotesi 8.3)/8.4), le situazioni configurate nelle 7.7)/7.11) richiedono alcune considerazioni.

La 7.7) ipotizza un universo temporaneo, infinito o finito, creato da una causa esterna, un primo Dio, ed un uomo creato successivamente da un secondo Dio. Ora sembra ragionevole ritenere che proprio questo secondo Dio, avendo generato l’uomo, ne abbia creato anche l’anima, visto che il primo si e` limitato a dare origine al solo universo. La 7.8) prevede un universo temporaneo, infinito o finito, creato da una causa esterna, un primo Dio; un uomo creato successivamente da una seconda causa esterna, un secondo Dio; la fine dell’esistenza umana determinata da una terza causa, un terzo Dio. Ora, quale di queste tre diverse Divinita` puo` aver dato origine all’anima? Scartata la prima causa per gli stessi motivi precedenti, restano le altre due possibilita`: Anche qui sembra sensato presumere che sia il secondo Dio, il creatore dell’uomo, a crearne pure l’anima; ma non possiamo ignorare la possibilita` che sia il terzo Dio, responsabile della fine dell’uomo, quello che ha provveduto a dotarlo di un’anima, decidendo poi l’epoca della scomparsa dell’umanita` dall’universo proprio in relazione alle vicende delle anime che egli ha creato. Nulla quaestio per le 7.9) e 7.10), che prevedono un universo incausato ed un Dio che crea l’uomo; questo stesso Dio deve quindi necessariamente crearne anche l’anima. Infine, per l’ipotesi 7.11) si ripresenta ancora l’alternativa delle due Divinita`, l’una responsabile della nascita e l’altra della fine del genere umano, ambedue possibili cause della creazione dell’anima. Abbiamo finora esaminato le possibilita` puramente combinatorie che la ragione puo` prendere in considerazione relativamente all’universo, al genere umano, all’anima dell’uomo ed alle rispettive cause di natura divina. I risultati di queste combinazioni possono essere esposti e commentati sinteticamente come segue:

9.1) Universo incausato, uomo incausato, anima causata dal corpo dell’uomo. Questa configurazione risulta coerente ma non offre nessun futuro all’uomo; comunque, il tutto non ha alcun senso, o, quanto meno, ha un senso nascosto ed inaccessibile.

9.2) Universo incausato, uomo causato dall’universo, anima causata dal corpo

dell’uomo. La rappresentazione e` altrettanto coerente e senza alcuna speranza per l’uomo; parimenti sconosciuto ed inconoscibile il senso del tutto.

9.3) Universo incausato, uomo causato da Dio, anima causata dallo stesso Dio.

In questo quadro l’universo incausato si contrappone a Dio come un’entita` altrettanto divina; tale possibilita`, anche se coerente, pone il problema insolubile del rapporto esistente tra i due Enti divini e del limiti dei rispettivi poteri; inoltre, questo dualismo non sembra avere alcun senso. All’uomo e` dato, comunque, sperare in una vita ultraterrena.

9.4) Universo causato da un Dio, uomo ed anima causati da un secondo Dio. Ipotesi questa che da` luogo alle stesse osservazioni fatte per la 9.3) circa i limiti di potere delle due Divinita` e l’inspiegabilita` di tale dualismo divino.

9.5) Universo, uomo ed anima causati da un solo Dio.

Rispetto a tutte le altre possibilita` dianzi elencate, questa e` la concezione che presenta, oltre che coerenza, maggiore semplicita` e chiarezza; offre una soluzione unitaria e coordinata ai tre massimi problemi dell’universo, dell’uomo e della sua anima; attribuisce a tutto l’insieme un senso compiuto che puo` essere facilmente compreso dalla ragione; in piu`, rappresenta la visione piu` gratificante per le speranze dell’uomo. Tralasciamo, infine, di prendere in considerazione le altre possibili configurazioni:

-Universo creato da un Dio, uomo creato da un secondo Dio, anima creata da un terzo Dio;

-Universo creato da un Dio, uomo ed anima creati da un secondo Dio, fine dell’uomo e/o dell’anima determinata da un terzo Dio;

-Universo, uomo ed anima creati da uno stesso Dio, ma futuro e fine dell’anima stabilita da un altro Dio;

ed altre simili.

Possibilita` del genere possiedono una coerenza solo formale ed anche se razionalmente concepibili, mancano di un qualsiasi senso generale che possa renderle comprensibili ed accettabili dalla mente umana; esse susciterebbero, inoltre, intricate, misteriose ed insolubili questioni di ripartizione di competenze e poteri tra le varie divinita` ricorrenti nelle singole configurazioni e creerebbero soltanto confusione e timori nell’animo dell’uomo che, poveretto, non saprebbe piu` -e` proprio il caso di dirlo- a quale Dio votarsi! In conclusione, di tutte le possibilita` esaminate restano veramente valide soltanto le 9.1)/9.2) e la 9.5), le quali, riproponendo il millenario contrasto di due concezioni opposte, propugnano, le prime due, il regno della materia, accompagnato da un abisso di disperazione per l’uomo e la terza il regno di Dio e della speranza. Considerato che nessuna prova razionale e` possibile addurre pro o contro ciascuna delle due tesi, la scelta diventa solo una questione di valutazione personale dei vantaggi e degli svantaggi comportati da ciascuna alternativa. Ma per quali motivi quasi masochistici uno dovrebbe scegliere la peggiore delle due!

10. DIO E L’ANIMA.

Le conclusioni a cui siamo giunti intorno all’anima dell’uomo non escludono che essa possa essere originata anche dal suo corpo materiale, oltre che da una causa divina; nel primo caso l’anima e` peritura come il corpo; nell’altro essa sopravvive dopo la morte del corpo e trae un senso ed un fine di questa sua sopravvivenza proprio dall’esistenza di un Dio. Abbiamo poi dovuto eliminare la possibilita` che quest’anima sia immortale per sempre, sia eterna, poiche` l’eternita` della cosa creata sarebbe in contraddizione con la conclamata onnipotenza del suo Creatore. L’anima deve avere una durata limitata nel tempo; essa ha una vita terrena temporanea quanto il corpo con cui coesiste e, dopo la sua morte, una vita immateriale ultraterrena di durata indefinita. Per la verita`, la vita dell’anima si svolge sempre in una dimensione diversa da quella materiale: la sua esistenza si sostanzia, infatti, di sensazioni, emozioni e sentimenti, di immaginazioni, ricordi, idee e ragionamenti; queste manifestazioni non sono certo materiali, ma sono quasi tutte strettamente legate al mondo materiale, perche` e` da questo che l’anima riceve moltissimi inputs necessari alla sua attivita`.

E` difficile immaginare esattamente quale possa essere la vita dell’anima priva del corpo e priva quindi degli stimoli che le pervengono continuamente per il suo tramite. Da questa assenza di sollecitazioni esterne possiamo certamente dedurre che, durante il periodo di sopravvivenza ultraterrena, i contenuti dell’anima, risultino depurati di tutto cio` che le derivava unicamente dal corpo e dall’ ambiente materiale in cui esso viveva. E possiamo anche supporre che le sue capacita` razionali ed emozionali le resteranno inalterate, anzi forse, potenziate ed affinate da un esercizio tutto interiore, non piu` distratto da attivita` connesse alla vita materiale. Comunque, se noi accettiamo l’ipotesi della sopravvivenza ultraterrena dell’anima, molti altri interrogativi si pongono dinanzi alla nostra mente. Innanzi tutto, dove vivra` l’anima questa nuova esistenza? Dobbiamo presumere necessariamente che esista un mondo immateriale al di fuori dell’universo fisico che noi conosciamo, dove l’anima disincarnata puo` trascorrere la sua nuova vita; ma ci e` assolutamente impossibile conoscere le caratteristiche di questo aldila` ultraterreno. Segue poi la domanda fondamentale: Quale e` lo scopo della sopravvivenza dell’anima? Perche` l’anima dell’uomo deve continuare a vivere per un certo tempo dopo la morte del corpo? Una risposta plausibile e ragionevole a questa domanda possiamo averla soltanto se l’uomo, durante l’intera sua esistenza, quella terrena e quella ultraterrena, ha un compito da svolgere ed un fine da perseguire, chiaramente assegnatigli dall’Ente Divino. Ecco, quindi, che l’esistenza dell’uomo e la sopravvivenza dell’anima trovano la loro ragione di essere nell’esistenza stessa del Divino e nei motivi che lo hanno indotto alla creazione.

11. DIO E LA CREAZIONE.

11.1. Il modo della Creazione.

Quando si accetta l’ipotesi che l’universo e l’uomo siano stati creati da un Dio, si affacciano subito alla mente tre domande:

1) In che modo Dio li ha creati?

2) Perche` li ha creati?

3) A quale scopo li ha creati?

Per cercare di rispondere alla prima domanda si devono anzitutto fare alcune considerazioni. L’esperienza e la scienza umane ci insegnano che la cosiddetta creazione e` sempre la trasformazione di qualcosa preesistente; anche un noto principio scientifico afferma che in natura nulla si crea e nulla si distrugge. Ma questa legge vige in un universo gia` esistente e non puo` essere rispettata all’atto della sua creazione, altrimenti ci troveremmo di fronte ad una trasformazione di una realta` preesistente che, a sua volta, deve essere stata creata; e cosi` via in un ricorso infinito. Ne conseguirebbe, quindi, che la vera creazione dovrebbe essere necessariamente creazione dal nulla, ossia il porre in essere senza attingere ad una realta` precedente; concetto che sfugge alla nostra comprensione, perche` siamo incapaci di concepire come dal nulla, dall’ assenza di tutto, si possa trarre il tutto. Esiste, tuttavia, un’altra possibilita`: che l’Ente Divino, che e` preesistente ad ogni cosa, tragga semplicemente da se stesso il tutto da creare; che il creato sia dunque l’estrinsecazione del Suo stesso Essere; che l’universo e l’uomo siano gia` contenuti nel Dio che li ha poi creati, estraendoli da se` e ponendoli in una nuova dimensione al di fuori di se`. L’ipotesi e` molto suggestiva ed anche persuasiva, sia perche` l’uomo viene cosi` gratificato non solo di un’origine, ma anche di una natura divina, sia perche` viene superato lo scoglio concettuale di quella "creazione dal nulla", tanto ostico per la mente umana.

11.2. Il perche` della Creazione.

L’altra domanda, circa i motivi che hanno indotto l’Ente Supremo alla creazione dell’universo e dell’uomo, tocca l’essenza stessa del Divino. Noi non possiamo concepire Dio che come la somma di tutte le perfezioni e costruiamo questo concetto di Essere Perfettissimo potenziando all’infinito tutte le qualita` dell’uomo che consideriamo positive; fra queste, in particolare, la bonta`, la generosita` e l’altruismo, sono quelle che richiedono la creazione come un atto necessario: tali attributi stabiliscono, infatti, un rapporto di relazione con l’altro da se`; non si puo` essere buoni, generosi, altruisti, se non nei confronti di qualcosa o qualcuno diverso da se stessi; la bonta` di Dio, fino a che resta inespressa e confinata nella Sua Essenza, e` qualcosa di ignoto ed intangibile. La bonta` Divina per esistere concretamente ha avuto bisogno di esprimersi creando l’universo e l’uomo. Di conseguenza, la somma Bonta` di Dio e` la sola causa, l’unico perche` della Sua creazione del mondo; a contrariis, dal tutto creato da Dio noi possiamo risalire alla Sua essenza di bonta` infinita. Da notare che tale conclusione ci porta ad escludere la proponibilita` delle ipotesi 4.2.5) e 4.2.7), che sono state avanzate in precedenza intorno all’atteggiamento dell’Essere Divino verso l’universo e l’uomo che Egli ha creato: atteggiamento che non puo` essere ne` ostile, ne` indifferente, ma soltanto benevolo e colmo d’amore per le sue creature (4.2.6).

11.3. Lo scopo della Creazione.

Veniamo ora alla terza domanda con cui si chiede a quale fine Dio ha creato l’universo e l’uomo e che e` quella che piu` ci tocca da vicino e ci sta a cuore. La creazione Divina di un universo infinito, o di uno o piu` universi finiti, puo` avere per noi un solo scopo: quello di servire da scenario materiale per gli esseri intelligenti, gli uomini e forse altre creature viventi, che lo avrebbero o li avrebbero abitato. L’immensita` dell’universo o degli universi creati da Dio puo` indurci a congetturare l’esistenza di altri mondi abitati da esseri dotati di ragione ed assimilabili all’uomo terrestre; se l’uomo dovesse essere l’unico abitante dell’universo, ci sfuggirebbe il senso di tanta immensita`: essa ci apparirebbe inutile e superflua, direi quasi sprecata! Irrilevante sembra poi la questione se l’uomo sia stato creato contemporaneamente all’universo oppure in epoca successiva; secondo la scienza, egli avrebbe fatto la sua comparsa sulla terra moltissimo tempo dopo la nascita del nostro pianeta e sarebbe il risultato di un lunghissimo periodo di evoluzione delle specie animali; il fatto e` che, anche in questo caso, la creazione dell’uomo deve attribuirsi indirettamente a Dio, che ha creato tutto l’universo e le sue leggi evolutive. Per noi quindi l’universo e` stato originato da Dio in funzione dell’uomo e la domanda iniziale passa ora a richiedere una risposta relativamente al fine per cui e` stato creato l’essere umano.

Il quesito potrebbe avere piu` di una risposta alternativa, ma noi non possiamo non tener conto del presupposto fondamentale che l’uomo e` stato creato dalla bonta` di Dio e con il Suo stesso Essere; la risposta deve essere quindi coerente con quella premessa. A quest’uomo, che partecipa del Divino e nasce da una necessaria esigenza di bonta`, non puo` essere riservato che un futuro di bene; sarebbe assurdo e contraddittorio pensare che egli possa essere stato condannato dal suo Creatore ad un destino tragico e malevolo. Ma quale bene gli si prospetta? L’essere umano, durante la sua esistenza terrena, considera un bene il raggiungimento di diversi obbiettivi: il soddisfare i suoi bisogni fisici; il godere di agi che gli consentano una vita comoda; l’essere dotato di un’acuta intelligenza e di facolta` psichiche ben sviluppate; l’essere amato e stimato dai suoi simili; l’evitare la sofferenza sia fisica che morale; l’essere soddisfatto delle proprie condizioni di vita; obbiettivi che si riassumono tutti nell’aspirazione a vivere in uno stato di felicita` o almeno di serenita`, inteso come totale benessere fisico e psichico. Orbene, dopo la morte del corpo e l’allontanamento dell’anima dal mondo terreno, quale desiderio puo` nutrire ancora l’uomo durante la sua permanenza nell’aldila`, se non quello di conservare integra la propria individualita` e di vivere questa nuova vita in uno stato di completo appagamento spirituale? Ma anche la sopravvivenza dell’anima e` temporanea e la prospettiva che l’essere umano, dopo aver vissuto la doppia esistenza terrena ed extraterrena, sia condannato comunque all’annullamento totale, non e` certo allettante e svuota nuovamente di ogni significato queste sue esistenze e la sua stessa creazione divina. Teniamo presente pero` che Dio ha creato l’uomo dal Suo stesso Essere e che c’e`, pertanto, una semplice soluzione logica , che può evitare questa sua angoscia di dover sparire per sempre dalla scena e può costituire per lui l’epilogo trionfante di tutto il suo arco esistenziale: il ritorno dell’anima umana in seno al Padre Divino che l’ha creata; la fusione dell’essere umano con l’Essere Divino; la ricostituzione dell’Ente Divino primigenio, il Tutto Dio esistente prima della Creazione. Non vi potrebbe essere per l’uomo un futuro piu` felice e gratificante, un futuro che da` alla sua vita un senso pieno, straordinario, divino, un futuro ben al di la` di ogni sua possibile aspettativa: il futuro radioso, pregno della speranza di ricongiungersi a Dio.

12. LE VICENDE DELL’ANIMA.

Abbiamo prospettato la meravigliosa possibilita` che l’anima umana completi la sua esistenza terrena ed ultraterrena ricongiungendosi a Dio. Ma l’uomo non potra` mai ottenere questa agognata divina fusione fino a quando non avra` dimostrato di meritarla, fino a quando egli non avra` raggiunto uno stato di compatibilita` con l’essenza del Divino. Questa per cosi` dire purificazione dell’anima e il suo graduale avvicinamento a Dio, rappresentano una necessita` logica che discende dalla concezione stessa del Divino, tra gli attributi del Quale non puo` mancare quello della Somma Giustizia: e` la somma giustizia di Dio che non puo` riservare lo stesso trattamento agli esseri umani, senza tener conto della vicenda esistenziale di ciascuno di essi; e` il concetto stesso di Dio, inteso come Perfezione Assoluta, che non ammette il ritorno finale a Lui, l’identificazione in Lui, di essenze umane ancora tanto imperfette. L’anima deve quindi essere giudicata da Dio degna del gran Rientro e questa sua degnita` non puo` essere altro che il conseguimento di un grado di perfezione quanto piu` vicina a quella divina.

Tra le perfezioni di Dio vi e` anzitutto quella della Bonta` Infinita e, di conseguenza, l’uomo dovra` prima di tutto perseguire l’ideale della bonta`. Ma affinche` l’uomo possa essere buono, devono verificarsi due condizioni imprescindibili:

12.1) L’uomo deve saper discernere il bene dal male.

12.2) L’uomo deve essere libero di scegliere il bene od il male.

Ecco dunque che si affacciano alla ribalta i due famosi problemi del bene e del male e del libero arbitrio.

13. IL PROBLEMA DEL BENE E DEL MALE.

L’esistenza del male nel mondo e` un problema che tortura l’uomo da sempre e costituisce uno degli argomenti addotti dai non credenti contro la realta` del Divino. Il filo del loro ragionamento appare semplice e lineare:

– Che nel mondo esista il male e` una constatazione evidente ed incontrovertibile; come non puo` non definirsi un male la morte precoce di un bimbo innocente? Una catastrofe tellurica che apporti morte e distruzione? Una guerra feroce con innumerevoli vittime umane? E tanti altri eventi che non sembrano avere una plausibile giustificazione e che comportano il solo effetto di arrecare agli uomini gratuite sofferenze materiali e morali?

-Un Dio, concepito come Bonta` Infinita, non puo` consentire o addirittura volere l’esistenza del Male, che e` l’antitesi totale della Sua bonta`. Ergo, Dio non esiste.

Il ragionamento è costituito dai seguenti passi logici:

1)- Se Dio è bonta infinita, allora Egli non può consentire o volere l’esistenza del male (proposizione condizionale che è vera se sono veri l’antecedente ed il conseguente).

2)- Nella realtà il male esiste (il conseguente del condizionale è falso).

3)- Allora Dio non esiste (anche l’antecedente del condizionale è falso -non potendosi concepire un Dio che non sia bontà infinita, non resta che negare la esistenza di Dio).

Prima di addentrarci nell’esame di questa argomentazione, occorre pero` chiarire i concetti di "bene" e "male". E` molto difficile, se non impossibile, dare una definizione univoca ed universale del "bene" e del "male", trattandosi di termini che esprimono dei giudizi di valore, i quali, come e` noto, sfuggono ad ogni canonizzazione in assoluto e sono relativi al soggetto che li enuncia. Non esiste al riguardo un parametro obbiettivo di valutazione e cio` che e` considerato un bene o un male da uno puo` non esserlo per un altro. Inoltre, c’e` da stabilire se la coppia "bene-male" sia formata da due termini contraddittori oppure contrari. Se cio` che non e` bene fosse ritenuto ipso facto un male e quello che non e` un male dovesse stimarsi automaticamente un bene, ci troveremmo di fronte a due concetti contraddittori e sarebbe sufficiente definirne uno soltanto per potere ottenere l’altro in funzione negatoria del primo.

Ma non sembra che tra i due termini della coppia sussista un rapporto di contraddizione in quanto essi non si escludono vicendevolmente, ma ammettono la possibilita` di un terzo termine intermedio che li escluda entrambi. Se, per esempio, aiutare il prossimo e` considerato un bene e danneggiarlo un male, non ne consegue necessariamente che non aiutarlo sia un male e non danneggiarlo sia un bene, perche` esiste anche la posizione di chi nulla fa per dare aiuto al prossimo, ma nemmeno nulla fa per arrecargli danno. Allo stesso modo, le relazioni "piu` grande di A" e "meno grande di A" non risultano contraddittorie in quanto e` pure ipotizzabile la relazione intermedia "grande quanto A". In altre parole la coppia "bene-male", come l’altra " piu` grande-meno grande" e` costituita da termini non contraddittori, ma contrari ed il rapporto di contrarieta` e` caratterizzato certamente dalla impossibilita` che i due termini siano ambedue veri, ma anche dalla possibilita` che essi siano ambedue falsi. In conseguenza, e` sempre possibile una definizione circolare del "bene" e del "male", nel senso che, una volta definite le caratteristiche di uno dei due, bastera` considerare le caratteristiche "contrarie" per ottenere la definizione dell’altro. Ho virgolettato l’aggettivo contrarie per porre in evidenza che tale aggettivo sta a significare non la negazione di quelle caratteristiche, ma il contrario di esse, che e` cosa ben diversa. Cosi`, se e` un bene "amare" il prossimo, sara` un male "odiare" il prossimo, dove il verbo "odiare" e` il contrario di "amare" e non la sua negazione, che e` data da "non amare". Tuttavia, per quanto detto innanzi, simili definizioni del bene e del male lasciano in sospeso la valutazione delle posizioni intermedie: nell’esempio di poco fa come considerare, infatti, la situazione del "non amare e nemmeno odiare" il prossimo? Questi stati di, per cosi` dire, "neutralita`" o vanno messi da parte ed esclusi, quindi, da ogni giudizio etico, concludendo che essi non sono ne` bene, ne` male; oppure vanno fatti rientrare anch’essi nell’ambito del bene o del male e si dovra` allora decidere di volta in volta se assegnarli all’uno o all’altro. Ma e` possibile che cose, eventi, comportamenti umani si sottraggano ad ogni valutazione etica e restino confinati in una specie di limbo ingiudicato ed ingiudicabile? Occorre a questo punto fare dei distinguo: Le cose e gli eventi sono di per se` al di fuori della morale e possono essere ritenuti un bene o un male soltanto per gli effetti che producono nelle singole situazioni di fatto; un’arma, ad esempio, e` un oggetto che puo` essere considerato un bene o un male soltanto per l’uso che se ne fa e per l’effetto che si intende conseguire con essa: se viene adoperata per difendersi puo` essere stimata un bene; se semplicemente per offendere ed uccidere, un male. Comunque, a ben guardare, non sono le cose ad essere buone o cattive, ma soltanto i comportamenti di chi se ne serve. Veniamo agli eventi e, tra questi, a quelli naturali: essi possono classificarsi in positivi e negativi in base alle conseguenze cui danno luogo; una pioggia puo` essere benefica per la campagna assetata ed e` considerata un bene; un’alluvione puo` risultare disastrosa per uomini e cose ed e` ritenuta un male. Ma anche qui, a ben vedere, il giudizio etico viene rivolto non al fenomeno naturale in se`, ma a chi, Dio o altra entita`, si ritiene alla fin fine responsabile del verificarsi del fenomeno. Quanto agli eventi umani, favorevoli o sfavorevoli che siano, come un trattato di pace od una guerra, un’operazione assistenziale o un incidente aereo mortale, la valutazione dell’evento come un bene o un male e` diretta sempre al comportamento degli uomini che lo hanno causato, anche se, nel caso di eventi disastrosi, si tende a coinvolgere nella paternita` del disastro il consenso dell’Ente Supremo.

Soltanto i comportamenti umani ricadono, quindi, sotto il segno del bene o del male e soltanto per essi si pone il problema degli atteggiamenti neutri. Ma esso e` un falso problema in quanto e` generato soltanto da una determinata formula definitoria del bene e del male; ogni comportamento, se e` frutto della sola volonta` dell’uomo, puo` essere giudicato moralmente; anche gli atteggiamenti cosiddetti neutri vanno percio` ricondotti sotto tale valutazione etica e giudicati come buoni o cattivi. Tenteremo ora di dare alcune definizioni del "bene" e del "male" che, proprio perche` sono concetti di valore, si prestano ad essere considerati da differenti punti di vista.

13.1. Le defininizioni del bene e del male.

13.1.1) E` un bene il piacere, inteso come godimento fisico e/o spirituale; e` buono ogni comportamento dell’uomo inteso a procurargli piacere.

13.1.2) E` un male il dispiacere, inteso come una sofferenza fisica e/o spirituale; e` cattivo ogni comportamento dell’uomo che gli procuri dispiacere, oppure che non gli procuri ne` piacere, ne` dispiacere.

Le due definizioni rispecchiano la concezione edonistica del bene e del male, ridotti a semplici stati di benessere o di malessere individuali; in questa visione egoistica, il comportamento neutro che non comporta ne` un piacere, ne` un dispiacere, e` stato giudicato cattivo, poiche` esso appare, quanto meno, un inutile dispendio di energia, una manifestazione di vita del tutto superflua, sterile com’e` di qualsiasi risultato per il soggetto che la pone in atto.

13.1.3) E` un bene il piacere procurato agli altri; E` buono ogni comportamento umano che intenda procurare piacere agli altri.

13.1.4) E` un male il dispiacere procurato agli altri; E` cattivo il comportamento umano che voglia procurare dispiacere agli altri, oppure che non arrechi loro ne` piacere, ne` dispiacere.

Le 13.1.3) e 13.1.4) definiscono il bene ed il male in funzione altruistica; i comportamenti neutri vengono giudicati anch’essi cattivi per il solo fatto che non sono di alcuno aiuto agli altri.

13.1.5) E` buono ogni comportamento dell’uomo, con un effetto immediato anche spiacevole, ma che costituisca il mezzo per ottenere un piacere duraturo finale per lui e/o gli altri; e` anche buono il comportamento neutro che sia momentaneamente privo di effetti, ma che si riveli essere il mezzo per ottenere un piacere duraturo finale per lui e/o gli altri.

13.1.6) E` cattivo ogni comportamento dell’uomo, con un effetto immediato piacevole, oppure neutro e privo di effetti immediati, ma che sia il mezzo per procurare a lui e/o agli altri uno stato duraturo di dispiacere finale.

Le due definizioni rappresentano delle varianti alle precedenti 13.1.3) e 13.1.4) e considerano il punto di vista per cosi` dire strumentale, applicando alla concezione del bene il principio che il fine giustifica il mezzo ed a quella del male il principio opposto che il mezzo non giustifica il fine.

Inoltre, il comportamento neutro viene considerato buono, se costituisce il mezzo per raggiungere un piacere finale duraturo; e cattivo, se procura alla fine uno stato di dispiacere.

13.1.7) E` buono ogni comportamento umano spiacevole o anche neutro, che possa evitare o ridurre un dispiacere piu` grande.

13.1.8) E` cattivo ogni comportamento umano piacevole o anche neutro, che comporti una diminuzione allo stato di piacere finale.

Anche queste sono ulteriori varianti delle 13.1.3) e 13.1.4); esse considerano l’intensita` dell’ effetto finale per stabilire la bonta` o meno del comportamento umano che lo ha provocato. In definitiva, messe da parte le varianti, possiamo dire che il bene e il male dei comportamenti umani viene concepito fondamentalmente secondo i due punti di vista dell’egoismo e dell’altruismo. Se poi consideriamo l’altruismo non altro che la forma piu` elevata dell’egoismo, ossia il provare piacere che gli altri abbiano piacere, possiamo unificare le due concezioni ed affermare che il comportamento dell’uomo: e` buono quando provoca piacere agli altri e tramite il piacere degli altri provoca piacere a lui stesso; e` cattivo quando arreca dispiacere agli altri e quindi a lui stesso. Riportiamoci ora alla condizione posta con la precedente 12.1), che, per agire bene, l’uomo deve saper discernere il bene ed il male. E` sufficiente l’avere stabilito quale sia la definizione del bene in generale perche` l’uomo, in ogni situazione particolare della sua esistenza, sappia come agire bene, evitando comportamenti cattivi? Non sarebbe sempre facile scegliere la strada giusta se il senso di cio` che e` buono e cattivo non fosse cosi` profondamente radicato nella natura dell’ uomo, tanto da far parte, come il raziocinio, della sua intima essenza. In altre parole, il senso morale e` connaturato nell’uomo come la facolta` di ragionare ed e` questa coscienza innata in noi di cio` che e` bene e di cio` che e` male, che e` sempre in grado di guidarci in tutte le vicissitudini della vita. Il Creatore ha fatto dono alla sua creatura umana di due lumi preziosi: il lume della ragione, frazione infinitesima della Sua somma Intelligenza ed il lume della coscienza morale, microscopica ma sempre vivida scintilla della Sua immensa Bonta`; essi sono doni tratti dalla Sua stessa Essenza; doni che di questa Essenza Divina fanno partecipe anche l’uomo; doni che gli sono indispensabili per vivere la sua esistenza di essere privilegiato dell’universo, destinato a ricongiungersi con il Dio Padre. Queste due facolta` di origine divina, l’intelletto e la coscienza del bene e del male, danno all’uomo la possibilita` di intendere e conoscere quale sia la strada giusta da seguire per ritornare a Dio; purche`, pero`, egli voglia seguirla. Ma della questione del libero arbitrio parleremo in appresso. Ritornando, infine, al problema del male nel mondo, la conclusione di quanto detto finora e` che il male, inteso come uno stato di dispiacere, ossia di sofferenza fisica e spirituale, e` causato, da una parte, da eventi come malattie, epidemie, terremoti, eruzioni vulcaniche, alluvioni, tempeste ed altre calamita` naturali; dall’altra, dai comportamenti cattivi degli uomini. Orbene, abbiamo detto che in una concezione teista dell’universo ricorre da sempre l’angoscioso interrogativo del perche` Dio consenta che la natura e l’uomo arrechino tanto male. Rispondiamo prima alla seconda parte della domanda: il male fatto dall’uomo trova la sua logica nella necessita` che egli sia libero di comportarsi bene o male affinche` Dio possa riconoscergli il

merito oppure il demerito delle sue azioni su quella strada che sempre piu` deve avvicinarlo a Lui, fino alla sua completa fusione finale con il Divino. Consideriamo, inoltre, il bene ed il male dalla parte di chi li riceve: Il beneficiario di una buona azione puo` essere indotto da cio` stesso ad agire a sua volta bene, ricambiando il bene ricevuto; ma il suo merito sara` certamente maggiore se, essendo stato vittima del male arrecatogli da altri, egli, invece di vendicarsi e di restituire il male ricevuto, si rifiuti di applicare l’antica regola di giustizia umana "occhio per occhio, dente per dente", e risponda al male con il bene. Anche da questo punto di vista, dunque, il male puo` servire ad accrescere i meriti di chi lo ricambi con il bene. Quanto ai disastri ed alle sofferenze provocate dalla natura, sembra apparentemente che non abbiano alcuna giustificazione; se Dio non evita all’uomo tante sofferenze, che spesso appaiono gratuite e senza ragione, due possono essere le risposte:

1) Dio non puo` evitare il male perche` esso e` causato da una Potenza malefica, un Dio del male con il quale Egli e` in eterna lotta.

Tale spiegazione rispecchia l’ipotesi manichea del Divino, gia` considerata in precedenza (4.2.2), e porrebbe nuovi e piu` inquietanti interrogativi, circa i rapporti tra le due Divinita` ed i Loro poteri sull’universo e sull’uomo; interrogativi ai quali non sarebbe mai possibile dare una risposta. Inoltre, noi abbiamo gia` espresso la nostra piena adesione all’ipotesi 9.5), che prospetta l’universo, l’uomo e la sua anima creati da un solo Dio, come la visione piu` gratificante per le speranze dell’umanita`; dobbiamo quindi scartare la possibilita` di un secondo Dio, signore del male.

2) Dio stesso vuole quelle sofferenze, che sono comunemente ritenute un male, e

che rientrano in qualche modo nei Suoi disegni divini. Quali possono essere allora i disegni di Dio? A quale scopo l’Ente Supremo, concepito come Bonta` Infinita, semina nel mondo il male e la sofferenza, agendo apparentemente in totale contrasto con la propria essenza? Riportiamoci alle precedenti definizioni del bene enunciate con le 14.5) e 14.7); applicandole questa volta al comportamento di Dio, potremmo avere una prima risposta all’angoscioso interrogativo: Dio semina nel mondo un male momentaneo per raccogliere un bene finale duraturo, oppure consente che si verifichi un male minore per evitare o ridurre un male molto maggiore. Senonche`, le due motivazioni appaiono giuste se sono applicate al comportamento dell’uomo, ma suscitano dubbi e perplessita` se vengono adottate per l’operato della Somma Bonta`: non si concepisce, infatti, come Egli possa utilizzare il male, anche se a fin di bene, mentre potrebbe ottenere lo stesso scopo benefico servendosi dei tanti mezzi a disposizione della Sua Onnipotenza, che evitino del tutto il male. L’altra spiegazione che viene solitamente addotta e` che il male voluto da Dio sia una punizione; una punizione inflitta all’uomo che ha fatto il male, per fargli capire che il male si paga e stimolarlo quindi ad agire bene. Tuttavia, anche se tale pena non deve essere vista nella logica della legge del taglione, cioe`, del rendere male per male, ma nell’ottica dell’emendamento, ossia, del recupero di chi ha deviato dalla strada giusta, questa concezione del male come punizione a fin di bene, sembra prestare il fianco alla medesima osservazione precedente: Dio userebbe il male per ottenere il bene, quando potrebbe evitare di servirsene affatto.

Ma possiamo pensare che il ricorso al male-castigo sia l’estrema ratio di cui Dio si avvale nei confronti di quegli uomini che si sono dimostrati recalcitranti ad agire bene, restando del tutto insensibili ad ogni altra forma di persuasione; per alcuni, infatti, soltanto lo shock traumatico di un’intensa sofferenza puo` costituire la spinta decisiva per cambiar vita e dedicarsi al bene; e tutti, nei disegni del Signore, prima o poi, con le buone o con le cattive, dovranno rimettersi su quella via della degnificazione che li riportera` alla fine a Lui. Quanto a coloro i quali sembra siano periti ingiustamente a causa di eventi calamitosi, dobbiamo osservare che la morte fisica non e` la morte totale dell’uomo, dato che l’anima continua ad esistere dopo la morte; possiamo dunque ritenere che essi siano stati scelti per il sacrificio o perche`, come nel caso dei bambini, sono ancora mondi di ogni colpa e percio` gia` degni di riunirsi al Padre; ed in tal caso la loro morte deve servire alla riabilitazione di altri; oppure perche` la morte fisica dell’interessato e` l’unico mezzo traumatico capace di sospingere la sua anima sulla via del bene durante la vita ultraterrena.

14. IL PROBLEMA DEL LIBERO ARBITRIO.

L’altra condizione posta con la precedente 12.2), affinche` all’uomo possa essere riconosciuto da Dio il merito di avere agito bene durante la sua esistenza, e` quella di poter scegliere liberamente il bene o il male. Se l’uomo fosse gia` predestinato a compiere il bene oppure costretto a fare il male, non vi sarebbe da parte sua nessun merito o nessuna colpa, in quanto il suo sarebbe un comportamento obbligato, a cui non potrebbe sottrarsi anche volendo, e non la conseguenza di un atto di libera volonta`. Ma l’uomo e` veramente libero di fare le sue scelte, e` effettivamente padrone assoluto di tutte le sue azioni? In altri termini, l’uomo e` dotato del libero arbitrio? La vita dell’uomo e` intessuta di continue scelte; il vivere stesso si manifesta in una serie di decisioni, dalle piu` banali alle piu` importanti; per ogni atto da compiere, per ogni comportamento da assumere, per ogni idea da esprimere o notizia da comunicare, in breve, per ogni manifestazione di vita, ci troviamo di fronte a piu` possibilita` alternative, fra le quali decidiamo di realizzare, di volta in volta, quella che ci sembra piu` ragionevole, piu` opportuna, piu` consona a noi. Nell’effettuare queste scelte subiamo mille condizionamenti, che giocano un ruolo determinante sulla decisione da prendere: condizionamenti che ci vengono dalla nostra costituzione organica, dal nostro temperamento, dal nostro carattere, dalla nostra educazione e cultura, dall’ambiente familiare, sociale e materiale in cui viviamo; condizionamenti che si manifestano come potenti spinte a scegliere in un determinato senso, cioe`, nel senso che e` piu` congeniale, piu` affine, piu` in armonia con i fattori di condizionamento in gioco. Un individuo con una complessione pletorica e sanguigna, pesantemente ingiuriato ed offeso, sara` fortemente spinto a reagire subito in modo violento; un soggetto dal carattere calmo e flemmatico, posto nella stessa situazione, sara` portato a rispondere alle offese con le offese o preferira` rivolgersi semplicemente alle vie legali. Un uomo di buona cultura, di ceto impiegatizio, vissuto sempre in una tranquilla famiglia borghese, molto probabilmente rifiutera` l’offerta, anche se assai vantaggiosa, di investire i suoi risparmi in un’ impresa che presenta un modesto margine di rischio; l’occasione sara` invece afferrata a volo da un industriale o un finanziere. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito e stanno tutti a comprovare l’assunto che l’uomo, nell’operare le sue scelte quotidiane, e` sempre fortemente influenzato a decidere in un certo modo da fattori che risultano al di fuori della sua volonta`.

Ovviamente, un condizionamento non equivale ad una costrizione, ma sicuramente sta a significare che e` piu` difficile, che occorre un maggiore sforzo di volonta` nel prendere una decisione difforme da quella che si e` portati quasi naturalmente ad accogliere nella circostanza. Il punto e` delicato e di rilevanza decisiva per l’esistenza del libero arbitrio. Alcuni vorrebbero sostenere, infatti, che il peso dei fattori estranei alla volonta` e` assolutamente determinante, nel senso che l’uomo e` obbligato da essi ad agire in in dato modo e non altrimenti. Tale concezione deterministica annulla il libero arbitrio e rende l’uomo del tutto irresponsabile delle proprie azioni, buone o cattive che siano. Ma il considerare l’uomo come un automa totalmente in preda a forze estranee, un burattino mosso da fili esterni e misteriosi e per fini altrettanto oscuri, ci appare una prospettiva deprimente e disperata, oltre che insensata, in quanto svuota di ogni significato la creazione divina dell’essere umano. Per noi i fattori che condizionano la volonta` non ne determinano la totale soppressione, ma ne rendono talvolta soltanto piu` difficile il libero esercizio ed accrescono, quindi, il merito dell’anima quando, lottando con essi, essa riesce a far prevalere la scelta del bene. D’altra parte, se tutti i condizionamenti che agiscono sulla nostra volonta` fossero sempre indirizzati verso il bene, non si farebbe eccessiva fatica a comportarsi bene ed il merito riconoscibile ad una tale condotta di vita ne risulterebbe certamente diminuito. In conseguenza, noi riteniamo che l’uomo sia dotato di libero arbitrio, e che esso costituisca il mezzo necessario per raggiungere la sua elevazione in questa e nell’altra vita. Vi e`, pero`, una questione connessa all’esistenza del libero arbitrio che ha sempre angustiato l’uomo che crede in un Dio, somma di tutte le perfezioni e quindi anche onnisciente. Il filo del ragionamento e` questo: Se Dio conosce tutto, conosce anche il futuro; sa gia`, percio`, quale sara` il comportamento dell’uomo in ogni circostanza. Ora, la prescienza Divina delle singole scelte umane non equivale alla predeterminazione Divina di queste decisioni? In parole povere, conoscere in anticipo un evento umano che non e` ancora avvenuto, obbliga quell’evento a verificarsi soltanto cosi` come e` stato previsto? Possono aiutarci a vederci chiaro le previsioni umane del futuro, le quali sono basate sulla conoscenza delle leggi che regolano i fenomeni dell’universo. Su tale base l’astronomo prevede con molto anticipo che un corpo celeste sara` visibile ad una certa data; oppure, noi gia` sappiamo, prima che il fenomeno avvenga, che l’acqua di un contenitore posto sul fuoco entrera` in ebollizione dopo qualche tempo. Nessuno ha mai pensato in questi casi che sia stato l’astronomo, il quale ha previsto in anticipo l’avvenimento, ad obbligare il corpo celeste ad apparire nel cielo a quella data; ne` che sia stato l’osservatore a provocare l’ebollizione dell’acqua con la sua previsione. Dal che si desume che la prescienza, la previsione di un fatto futuro non significa necessariamente esserne l’autore o determinarlo in qualche modo. Ma si potra` obbiettare che i due fenomeni obbediscono a leggi fisiche che ne` l’astronomo, ne` l’osservatore avrebbero potuto influenzare e modificare, anche volendolo; mentre, nel caso della prescienza divina delle azioni umane, Iddio con la sua onnipotenza ben puo` interferire nei meccanismi della volonta` dell’uomo, inducendolo ad agire cosi` come Egli aveva previsto. E` vero e fuori di ogni discussione che l’Ente Supremo, volendolo, potrebbe indirizzare l’uomo ad agire secondo la Sua volonta` e la Sua prescienza di quell’azione; ma il punto cruciale e` proprio questo "volendolo" e certamente Dio "non vuole" sostituirsi all’essere umano, vanificandone il libero arbitrio, unico metro di valutazione della sua condotta, così da stravolgere il Suo stesso disegno della creazione dell’uomo. In conclusione, ribadiamo il convincimento, fra l’altro logicamente fondato, che gli uomini possano fare liberamente le loro scelte di vita e che queste libere decisioni siano l’unica e determinante causa del loro comportamento buono o cattivo.

15. LA VIA DEL RITORNO DELL’ANIMA A DIO.

Se e` ragionevole ipotizzare che l’uomo debba meritare il tanto ambito premio finale della sua ricongiunzione con Dio, lottando contro il male ed agendo bene, non e` altrettanto semplice stabilire in quali delle sue esistenze egli debba affrontare e superare l’ardua prova che gli viene richiesta. E` sufficiente essersi comportato bene durante la sola vita terrena? Che accadra` poi a coloro che non hanno dato buona prova durante la loro vita, dimostrando di non essere degni della ricompensa? E` concepibile la condanna alla perdita definitiva di Dio per quegli esseri umani che, in tutte le prove esistenziali alle quali sono stati sottoposti, hanno mostrato di essere totalmente refrattari al bene? A questi interrogativi noi dobbiamo ora cercare di dare una risposta coerente e soddisfacente. Se bastasse all’uomo, per essere degno dell’eterna beatitudine, il buon esito della sua vita terrena, il suo ritorno a Dio dovrebbe avvenire subito dopo la morte del corpo e non avrebbe senso la sopravvivenza temporanea della sua anima in un mondo extraterreno, nell’inutile attesa che l’Ente Supremo consenta di accoglierla in Se`. Dobbiamo pensare, quindi, che nel caso di un’intera vita umana dedicata sempre al bene, l’anima si ricongiunga al suo Creatore al momento della morte fisica, saltando l’intermezzo di una sopravvivenza divenuta superflua per la sua degnificazione. Ma il caso deve essere eccezionale, paragonabile a quello dei Santi della religione cristiana. Sembra ragionevole supporre che, di regola, per il processo di purificazione dell’uomo non sia sufficiente il periodo della sua esistenza terrena e che alla continuazione di tale processo sia finalizzata la sopravvivenza dell’anima; perche` la volonta` dell’uomo e` spesso debole, fortemente influenzata da fattori estranei, e scegliere sempre la via del bene non e` impresa facile. Appare poi inconcepibile, in quanto sarebbe in contraddizione con la Sua essenza di infinita bonta`, che Dio possa condannare una Sua creatura all’eterna perdita del Sommo Bene. Il Creatore non puo` ammettere la dannazione eterna dei Suoi figli; le Sue creature, nate dalla Sua stessa sostanza per un’esigenza di bonta`, devono tutte ritornare necessariamente al Padre per la medesima esigenza di bonta`. Ed allora le prove dovranno continuare fino a quando anche i piu` deboli, i piu` recalcitranti, non saranno recuperati, rendendosi degni del Gran Ritorno. Di conseguenza, all’anima, che durante l’esistenza terrena non sia riuscita a conformarsi totalmente al bene, saranno concesse ripetutamente tante altre possibilita` di redimersi quante ne saranno necessarie per una completa purificazione. Ma questo processo di redenzione dal male puo` continuare durante il periodo di sopravvivenza dell’anima nell’aldila`, oppure esso e` possibile e valido soltanto se portato avanti in comunione con il corpo fisico, durante altre esistenze terrene? Se agire bene significa, come abbiamo gia` detto, volere e realizzare il piacere degli altri, non e` illogico pensare che anche la sola anima disincarnata possa continuare a lottare per il bene spirituale delle altre anime nell’aldila`; e la durata della sua sopravvivenza extraterrena dipendera` soltanto da lei, dalla sua maggiore o minore capacita` di resistere al male e di comportarsi bene, fino al raggiungimento di quello stadio di perfezione totale necessaria per ricongiungersi a Dio. A meno che il bene ed il male non siano indissolubilmente connessi ad azioni materiali dipendenti dalla presenza di un corpo fisico, che deve costituire l’unico banco di prova per l’anima che lo incarna; in tal caso la via della perfezione passa necessariamente attraverso piu` esistenze terrene e l’anima dovra` reincarnarsi nuovamente e vivere le vite che le saranno necessarie per la sua completa redenzione. A noi ancora vivi non e` dato conoscere come stiano esattamente le cose; le due prospettive appaiono parimenti possibili; soltanto che l’ipotesi della reincarnazione o della metempsicosi, come viene anche denominata, solleva qualche nuovo problema: ogni uomo vivente sulla terra puo` essere l’incarnazione di un’anima allora creata da Dio al momemto della nascita del corpo; oppure la reincarnazione di un’anima gia` precedentemente creata, che sta tentando in una nuova esistenza materiale la via della purificazione. Quale sara` allora il criterio in base al quale il Creatore assegna ad un uomo un’anima nuova e vergine, e ad un altro un’anima, per cosi` dire, anziana e reduce di passate esperienze di vita? Possiamo anche supporre che non vi sia creazione continua di anime in concomitanza con le nascite, ma che tale creazione sia stata unica e risalente al tempo in cui Dio ha creato gli uomini; le generazioni umane, che da allora si sono succedute sulla terra, hanno quindi di volta in volta incarnato sempre le stesse anime primigenie, in fase di purificazione attraverso molteplici esistenze terrene. Il fatto poi che la popolazione del mondo sia aumentata enormemente dai primordi dell’umanita` e tuttora continui a crescere in modo vertiginoso, potrebbe avere una sola spiegazione: che gli esseri intelligenti creati da Dio non siano limitati ai soli uomini nati a suo tempo sul nostro pianeta, ma che Egli abbia popolato l’intero universo di innumerevoli creature dotate di un’ anima; anime che possono completare il loro ciclo di redenzione in uno qualsiasi di questi mondi abitati. Tuttavia, anche se l’ipotesi avanzata appare alquanto suggestiva, nonche` valida, tra l’altro, a giustificare la creazione di un universo tanto immenso e denso di astri e pianeti abitabili, c’e` un aspetto molto importante, in questa prospettiva della reincarnazione, che lascia molto perplessi. Mi riferisco alla personalita` dell’uomo, a quella individualita` che concepiamo come un insieme unico di facolta` personali e di esperienze materiali e spirituali, che lo distingue da ogni altro essere umano e che verrebbe irrimediabilmente a perdersi nel cumulo di tante esistenze diverse vissute dall’anima nel corso delle reincarnazioni. L’uomo, quale lo abbiamo sempre considerato nella realta` storica, viene a perdere in questo modo la propria identita` e la vita di Carlo Magno puo` essere una delle vicende terrene dello stesso essere che e` stato poi Mozart e, ancora dopo, Bakunin. Non e` che tale concezione sia illogica, che anzi possiede nella visione generale una sua coerenza; non e` che la figura di quegli uomini, che hanno lasciato un segno indelebile nella storia dell’umanita`, ne risulti modificata o sminuita; ma sta di fatto che questa prospettiva non ci piace; avvertiamo in noi una specie di ripulsa istintiva verso di essa perche` e` come se non avessimo piu` la certezza di nulla. Per noi Carlo Magno e` stato sempre il grande Imperatore del Sacro Romano Impero, e basta; Mozart, il musicista dalla musica dolce, melanconica e celestiale, e non altri; Bakunin, il famoso nichilista antesignano di ogni terrorismo, lui e lui solo. I ruoli di questi personaggi sono stati tanto diversi tra loro, le loro vite tanto dissimili ed ispirate ad ideali e comportamenti tanto agli antipodi tra loro, che ci riesce inaccettabile e quasi impossibile il pensare che questi grandi uomini abbiano impersonato, in effetti, una sola medesima anima; che essi siano stati, pur in tanto abissale diversita`, sempre lo stesso essere. Forse, gli esempi estremi che abbiamo fatto di vite tanto diverse fra loro hanno potuto rendere poco credibile, o per lo meno poco accettabile, il concetto della reincarnazione delle anime in più esistenze terrene. Le cose potrebbero andare ben diversamente; potrebbero essere rispettate, cioè, le caratteristiche individuali di ciascun essere che resterebbero immutate al fondo dell’anima attraverso le successive peregrinazioni sulla terra o, perchè no, su altri pianeti.

D’altro canto, se la reincarnazione deve servire all’emendamento di precedenti vite, è logico presumere che l’anima debba in qualche modo conservare le tracce negative di esse, se proprio da quelle influenze infauste essa debba cercare di redimersi per cercare di purificarsi nelle nuova esistenza. Forse non è dunque errato supporre che la individualità sostanziale di ogni anima resti sempre preservata e che le vicende esistenziali che la coinvolgeranno in vite diverse saranno soltanto le occasioni concessele per agire ancora una volta bene o male sulla strada della redenzione. Se così stanno le cose, noi non possiamo rigettare l’ipotesi della reincarnazione come possibile via di quella degnificazione dell’anima, indispensabile per il ritorno a Dio. Tuttavia, la reincarnazione non appare l’unico mezzo possibile, anche perche` pensiamo che per il miglioramento dell’anima non sia indispensabile la comunione con un corpo fisico. Se agire bene o male e` prima un atto di volonta` e poi un’azione, un comportamento fisico, all’anima disincarnata e` sempre possibile l’esercizio della volonta` del bene o del male. D’altra parte, il bene ed il male ricevuti si concretizzano certamente in un piacere ed in una sofferenza fisica, ma essi sono sempre accompagnati da un godimento e da un dolore spirituali, di ordine morale. L’anima e` quindi in grado di continuare a fare agli altri il bene o il male e di sentire ancora il bene o il male ricevuti dagli altri. E questo e` sufficiente per percorrere la via della redenzione, senza che sia necessario ricorrere alla teoria della reincarnazione.

16. ULTERIORI IMPLICAZIONI DELLE ALTRE CONCEZIONI DELL’UNIVERSO E DELL’UOMO.

Abbiamo esaminato finora tutti gli aspetti e le conseguenze della prospettiva 9.5), nella quale sia l’universo, sia l’uomo e la sua anima sono stati creati da un solo Dio e che e` stata da noi preferita perche` ci e` parsa la piu` chiara, unitaria e gratificante visione del futuro che ci attende. Ci resta ora da completare il quadro prendendo in considerazione tutte le altre concezioni del mondo e dell’uomo alla luce di quanto si e` detto nei capitoli precedenti in relazione al bene ed al male, al libero arbitrio ed alla sorte finale dell’anima. Nell’ipotesi di un universo senza causa, di un uomo anch’egli incausato oppure originato dallo stesso universo e di un’anima che e` generata dal corpo e muore con esso (9.1/9.2), abbiamo gia` affermato che il tutto non mostra alcuna ragione comprensibile e plausibile della sua esistenza. L’anima si riduce a semplice principio vitale del corpo e diventa un’entita` senza futuro e quindi senza senso. Il libero arbitrio perde la sua cogenza, la stessa sua ragion d’essere e l’uomo diventa un automa completamente determinato nelle sue azioni da cause esterne. Il bene ed il male non hanno piu` uno scopo finale ed assumono il contenuto di un piacere o di una sofferenza casuale, fini a se stessi. Il male, in particolare, si rivela come la manifestazione delle forze brute e cieche dell’universo e dell’uomo. In conclusione, al genere umano non puo` essere offerto un panorama piu` squallido e disperato di questo. Se poi passiamo a considerare le configurazioni 8.2.2) e 8.2.3), in cui l’anima sopravvive alla morte per un tempo limitato, nella pienezza delle sue facolta`, oppure ridotta ad un residuo evanescente di esse, resta l’angoscioso quadro dianzi rappresentato e vi si aggiunge la necessita` di un altro mondo immateriale dove quest’anima o larva di anima dovra` permanere durante il periodo della sua sopravvivenza. La stessa esigenza di un aldila` extraterreno sorge per l’ipotesi 8.2.1), che prevede per l’anima una sopravvivenza eterna.

In ambedue i casi resta sempre senza risposta il chiedersi a quale scopo sia finalizzata tale sopravvivenza temporanea o eterna dell’anima. Ogni possibilita` di miglioramento resta condizionata dall’esistenza di una meta finale da raggiungere e non puo` esservi un’ultima spiaggia quando dalla scena manca un Dio. Con la 9.3) si e` prospettata la possibilita` dell’ esistenza di un universo incausato e di un uomo creato da Dio. Ora, a parte i problemi insolubili posti da questo dualismo, potremmo identificare la causa del male nel mondo proprio nella materia da cui sono formati l’universo ed il corpo dell’uomo: le ferree leggi che governano la materia sono al di fuori di ogni morale; in esse non v’e` alcuna cognizione di quel bene e di quel male, che rappresentano giudizi di valore soltanto umani. Gli eventi naturali possono essere, quindi, le cause cieche del bene o del male degli uomini; non c’e` alcuna intenzionalita` nell’accadimento dei fenomeni benefici o disastrosi per l’uomo; essi si verificano, indifferentemente in senso positivo o negativo, soltanto in obbedienza alle leggi dell’universo. Allo stesso modo l’uomo, nel decidere di agire bene o male, dovra` spesso contrastare le forze fisiche del suo corpo, quando lo spingono a comportarsi difformemente dalla sua volonta`. Tuttavia, se questa concezione risolve il problema del male, sottraendone del tutto a Dio la paternita`, solleva anche nuove e piu` spinose questioni, alle quali, come abbiamo gia` rilevato, non e` possibile dare alcuna risposta plausibile. Il problema del male puo` trovare una soluzione analoga anche con l’ipotesi 9.4), dove un Dio ha originato l’universo ed un altro Dio ha creato l’uomo; in questo caso il Dio, creatore dell’universo e della materia, e` egli stesso il Dio del male. Ma ambedue le concezioni 9.3) e 9.4) danno luogo a conseguenze tanto misteriose ed inestricabili che noi ribadiamo ancora una volta di preferire la semplicita` e la chiarezza dell’ipotesi 9.5).

17. LA FEDE.

Il fondamento di ogni religione e` la fede dei credenti. Fede e` la parola magica che avvicina l’uomo al Divino; la fede, la fedele compagna delle speranze umane, e` l’unica porta d’ingresso che puo` condurci nel regno dell’aldila`. Ma che cosa e` la fede? Nella sua accezione piu` comune il termine sta a significare la credenza in qualcosa, un profondo ed intimo convincimento al quale aderisce emotivamente tutto il nostro essere. Chi ha fede in qualcosa "sente" con tutto se stesso che l’oggetto della sua fede non puo` essere una falsa illusione, anche se non e` in grado di spiegare razionalmente la sua convinzione. Ecco il punto: la fede sostituisce la ragione quando questa si rivela impotente a dimostrare la veridicita` di un’asserzione, la validita` e la certezza di un’ipotesi. La fede e la ragione costituiscono le due armi preziose di cui l’uomo dispone per affrontare la realta` della sua vita materiale e spirituale; la` dove non riesce ad arrivare col raziocinio, egli vi giunge con la fede.

17.1. Ragione e fede.

Qual’e` l’esatto rapporto tra ragione e fede? Anzitutto osserviamo che, di norma, la fede non potra` mai accogliere per vero cio` che la ragione si rifiuta di accettare, dimostrandone la falsita`; sarebbe inconcepibile credere per fede che due piu` due fanno cinque, quando la semplice logica dell’aritmetica elementare dimostra inconfutabilmente che quella somma e` uguale a quattro.

Cio` vale a dire che non vi puo` essere contrasto e contraddizione tra ragione e fede; credere per fede in quello che il raziocinio dichiara falso equivale a ritenere implicitamente che esista un diverso tipo di logica, la logica divina, in base alla quale cio` che e` falso per l’uomo puo` essere vero per Dio. Ma noi abbiamo gia` decisamente rigettato la possibilita` che possano esservi piu` logiche, ribadendo la sua unicita`. Un discorso a parte merita la considerazione del miracolo che, come dicemmo a suo tempo, e` operato da Dio, in contrasto con le leggi fisiche ed i principi logici, la cui valenza viene da Lui momentaneamente sospesa. Il miracolo, pur essendo contrario alla ragione, se risulta un evento constatato inoppugnabilmente, non puo` che essere accettato per vero. Tra ragione e fede intercorre ancora una relazione di alternativita`: non nel senso che si possa adoperare indifferentemente o l’una o l’altra per proclamare un proprio convincimento; nel senso invece che la fede subentra quando la ragione ci indica piu` soluzioni possibili ad un dato problema e non e` in grado di dimostrarci se una sola di esse sia la vera; allora la fede si sostituisce alla ragione e sceglie e crede nella risposta piu` congeniale e piu` ricca di speranze per l’uomo. D’altra parte, a ben guardare, tra la ragione e la fede e` sempre esistito un particolare rapporto di complementarieta`, perche` se la fede ha bisogno che la ragione non le sia contraria, ma per lo meno neutra sull’argomento da credere, e` pur vero che i principii primi della logica, come le premesse di ogni scienza umana, non possono essere dimostrati razionalmente e sono stati sempre considerati evidenti ed intuitivi; alla loro indiscussa verita` si e` creduto e basta: in parole povere, essi sono stati accettati come per fede. Di conseguenza, alla fin fine, anche la ragione ha bisogno e si regge su questa forma di fede nei fondamenti del sapere. Da notare che talvolta e` accaduto che questa credenza quasi istintiva nell’assoluta ed universale veridicita` di certi assiomi fondamentali di una scienza sia stata travolta dall’affermarsi di nuovi principi che, sebbene contrastanti con i primi, sono risultati altrettanto possibili e validi per una diversa ipotesi concettuale. Significativa al riguardo la vicenda del famoso postulato di Euclide sulle rette parallele, che ha regnato incontrastato per tanti secoli in geometria, grazie alla sua persuasiva evidenza; eppure tale evidenza non ha impedito il sorgere di una nuova idea rivoluzionaria: quella che in un universo concepito diversamente le rette parallele si incontrino. Ecco dunque nascere la geometria non euclidea di Riemann, valida nell’ipotesi di uno spazio sferico. Se, quindi, in materia di fede religiosa non e` possibile avallare l’ intelligo ut credam, il capire per credere, data l’impotenza della ragione a dimostrare quelle verita`, nel campo della ragione e dello scibile umano e` certo che dobbiamo accogliere il credo ut intelligam, il credere in certi principi primi che sono alla base della nostra conoscenza.

17.2. Fede e religione.

Il termine "fede" ha pure un altro significato, il significato di "fiducia" ed in questo senso e` spesso adoperato comunemente: si suol dire, infatti, "ho fede in lui", oppure, "credo in lui", per intendere che si ripone piena ed assoluta fiducia in lui. In tale accezione della parola, si viene ad instaurare un rapporto di completo affidamento personale tra chi ha fede e colui nel quale si ha fede, con la conseguenza che il primo e` disposto a credere anche in tutti i valori di cui il secondo e` portatore. In altri termini, aver fede in qualcuno significa indirettamente credere anche in tutto quello che egli dice e fa.

In definitiva, la fede, intesa come fiducia in una persona, assume implicitamente lo stesso significato della fede, intesa come credenza in qualcosa; solo che, questa volta, la fede nella persona diventa il fondamento, la causa della fede in quello che egli professa. Siamo quindi di fronte al caso dell’"Ipse dixit", dell’"Auctoritas" che ci sospinge verso una data fede, accettata proprio perche` "Ipse dixit", proprio perche` colui in cui crediamo e` per noi un’ "Auctoritas". Per molte grandi religioni ufficiali la fede dei credenti va intesa proprio in questo secondo significato, nel senso, cioe`, di fiducia riposta in uno o piu` salienti esponenti di quella religione, sia egli Gesu` Cristo, Maometto, Confucio, Brama, Confucio, o Budda. I seguaci di quelle dottrine religiose hanno fede anzitutto nel personaggio storico che a suo tempo le ha predicate e poi solo indirettamente e per amor suo sono disposti a credere nei suoi insegnamenti. L’accettazione del contenuto dottrinale della religione trae quindi fondamento dalla credibilita` della figura storica che la rappresenta; il problema si sposta, allora, proprio alla considerazione di tale credibilita`. La fiducia che puo` ispirare il mitico fondatore di una religione dipende da piu` fattori:

-la sua reale esistenza storica; -la sua capacita` di persuasione; -i suoi insegnamenti ed il grado di speranza che essi riescono ad infondere negli

altri; -le vicende della sua vita e le sue opere; -i fatti prodigiosi di cui e` stato autore; -il numero dei suoi seguaci; -la sua natura divina o la sua qualita` di messaggero di Dio.

Come ogni evento della storia, anche la questione dell’effettiva esistenza di questi grandi personaggi della religione resta affidata alla logica della testimonianza con tutte le sue ombre ed incertezze. La millenaria tradizione che accompagna queste religioni conferma, senza il minimo dubbio, la reale vita terrena di Gesu`, Maometto, Budda, Confucio ed altri. Certamente, il giorno in cui fosse provato in modo assoluto ed incontrovertibile che qualcuno di essi non e` mai esistito, verrebbe inferto un colpo mortale alla fede dei credenti in quella religione; essi vedrebbero venir meno il fondamento della loro fede, il garante della dottrina religiosa professata e questa perderebbe ai loro occhi ogni credibilita`, assumendo l’aspetto di una gratuita e favolosa invenzione. Ma il caso e` del tutto improbabile, se non impossibile, prima perche` nelle vicende storiche, specie di antica data, non si riesce a raggiungere mai certezze assolute; poi, principalmente, per la naturale reazione di tutti i credenti, i quali si rifiuterebbero, ostinatamente e con ogni mezzo, di prestare ascolto alla nuova sconvolgente verita`, che finirebbe col restare lettera morta. Quanto alle altre cause di accettabilita` di un credo religioso, che abbiamo innanzi indicate, esse sono quasi tutte interdipendenti fra loro. Teniamo presente che i grandi uomini di cui parliamo erano tutti dotati di eccezionali poteri carismatici, che la loro predicazione, semplice eppur profonda, era capace di affascinare e convincere le masse degli uditori, offrendo una giustificazione alla loro esistenza di uomini ed assicurando un futuro ultraterreno che soddisfaceva le loro piu` intime speranze. Il loro modo di vivere rappresentava l’esempio del loro insegnamento, da seguire come un modello insuperabile. Ma per alcuni di essi la carta vincente della loro assoluta credibilita` agli occhi dei seguaci e` data

o dalla natura divina del loro essere, da essi stessi dichiarata e dimostrata piu` volte compiendo i miracoli, i fatti prodigiosi al di fuori della portata degli uomini, come nel caso di Cristo; oppure dal ruolo di incaricato da Dio, del quale si proclamano messi e profeti, come Maometto. E` questo loro identificarsi con Dio o questa loro investitura divina che li fa considerare degni della massima venerazione, quali depositari e dispensieri dell’unica verita` di Dio.

17.3. Fede e misticismo.

Se avere fede in Dio significa credere nella Sua esistenza per un atto di volonta` e non per un convincimento di ragione, il misticismo concretizza per il credente uno stato d’animo molto piu` intenso della fede. Il mistico non solo ha fede in Dio, ma stabilisce con Lui un rapporto personale diretto; sente con tutto il suo essere la costante presenza reale dell’Onnipotente; vive la sua vita terrena in perfetta comunione con il Padre. Il mistico realizza gia` in questo mondo la fusione finale con Dio. Il mistico avverte Dio come una realta` vivente e non ha bisogno di prove razionali che lo giustifichino, ne` di autorevoli testimonianze che ne possano avallare l’esistenza. Ma ben pochi sono coloro che riescono ad annullare totalmente se stessi in un amore di Dio che diventa sempre piu` grande e profondo fino a colmare di esso la propria anima; fino a cogliere in se` il soffio del Divino. Anche i credenti piu` ardenti non riescono a vivere una continua partecipazione mistica e soltanto in pochissimi casi sperimentano questa condizione di beatitudine. L’acme dello stato mistico e` l’estasi, il momento piu` intenso in cui l’anima ha raggiunto il suo Creatore e resta in osannante adorazione ed in devota preghiera dinanzi a Lui. Nella esperienza estatica ricorrono talvolta vari fenomeni prodigiosi, come la levitazione dell’orante e, in modo particolare, le visioni: l’essere umano avverte con tutti i suoi sensi il contatto del Divino; Lo vede, Lo puo` toccare con mano, Lo ascolta, dialoga con Lui. La preparazione al misticismo e` l’ascesi che sta a significare letteralmente la via per salire a Dio. Le pratiche ascetiche sono tutte quelle che mortificano la carne, combattono le passioni dell’animo e le velleita` della ragione, annullano il proprio io, esercitando lo spirito nell’umilta` della preghiera a Dio.

18. RELIGIONE E CULTO.

Tutte le religioni hanno sempre sentito la necessita` di un culto, inteso come l’insieme delle pratiche che i fedeli devono osservare nei confronti della Divinita` in cui credono. Nelle religioni piu` antiche l’esigenza nasce principalmente dal timore che incute il mistero del Dio ed il culto assume quasi sempre la forma di offerte sacrificali, tributategli per placarlo, renderlo benigno verso gli uomini ed ottenerne l’aiuto ed i favori. Nelle religioni piu` evolute il culto e` andato incentrandosi in formule di esaltazione ed adorazione dell’Essere Supremo, in riti di ringraziamento e di invocazione; lodi al Signore che vengono pronunciate coralmente in pubbliche cerimonie o singolarmente in privato; ringraziamenti per gli eventi favorevoli che si sono insperatamente verificati merce` il presunto intervento del Dio; suppliche affinche` voglia prestare il Suo ausilio in difficili vicende umane. Spesso le pratiche di culto sono officiate direttamente dai sacerdoti, coloro che hanno dedicato la loro vita esclusivamente al servizio del Dio, sono considerati i depositari ufficiali di quella dottrina religiosa e svolgono il ruolo di intermediari tra la Divinita` ed i fedeli. I credenti di molte religioni hanno sentito il bisogno di avere un’immagine concreta degli Esseri Divini in cui credono e li hanno rappresentati in forme antropomorfiche o animali, facendo oggetto di particolare culto tali effigi. Altri, seguaci di dottrine monoteiste, hanno invece volutamente evitato e vietato di dare una qualsiasi sembianza al loro Dio, anzitutto nel presupposto della inconoscibilita` del Divino e della conseguente gratuita` di ogni Sua raffigurazione; poi anche per allontanare dai fedeli ogni rischio di idolatria, nel timore, cioe`, che la venerazione del simulacro a se` stante finisca per prendere il posto del culto che si deve al Dio, di cui esso vuole essere l’immagine. Molto comune e` anche la raffigurazione del fondatore di ogni religione, di quel personaggio storico o mitico a cui si fa risalire la prima predicazione di un credo religioso e che viene venerato dai credenti o perche` e` partecipe della stessa natura divina, o perche` e` considerato il messaggero di Dio, o semplicemente per la riconosciuta bonta` dei suoi insegnamenti e della sua vita. Il culto, di cui sono oggetto tali figure umane, trova fondamento, oltre che nei motivi summenzionati, anche nella gratitudine che sentono di dovergli i suoi seguaci. In materia di culto c’e` da chiedersi se esso sia un’esigenza divina o un fatto soltanto umano; in altre parole, e` la Divinita` che ritiene necessario il culto verso se stessa o sono gli uomini a considerarlo un comportamento obbligato, da essi dovuto all’Essere Supremo? In verita`, riesce difficile accettare l’idea che Dio, Somma Perfezione, Bonta` Infinita, voglia e debba essere invocato e supplicato dalle Sue creature per fare il bene e da esse ringraziato per averlo fatto. L’idea sembra quasi sminuire il concetto stesso della Sua Perfezione e della Sua Bonta`: perche`, se quello che il credente gli chiede e` realmente un bene, Egli nella Sua Onniscienza ne e` gia` a conoscenza prima che gli sia espressamente chiesto e, nella Sua Bonta`, avrebbe dovuto gia` farlo a prescindere da ogni richiesta; se, invece, e` un male, Egli non potrebbe e non dovrebbe comunque esaudire la sua supplica. Cosi` pure le lodi, gli atti di adorazione, i ringraziamenti, se voluti ed imposti da Dio, parrebbero ridurre la figura Divina alla dimensione dell’uomo e come questi abbisognevole di parole di stima, di elogio e di ringraziamento per i suoi comportamenti meritevoli. L’operato di Dio dovrebbe essere, dunque, al di sopra ed al di fuori di ogni pratica di culto e non esserne condizionato. Ma noi siamo giunti nelle pagine precedenti alla conclusione che l’anima, per poter meritare di ricongiungersi a Dio, deve dimostrare di esserne degna, adeguando costantemente al bene ogni suo comportamento. Come giudicare, allora, se non positivamente sulla via del bene, l’invocazione d’aiuto rivolta dall’uomo al Signore, o il riconoscimento elogiativo della Sua Grandezza, o il renderGli grazie di tutto quello che Egli ci concede? Di contro, non sarebbe un fatto negativo la mancanza di ogni culto che denota un comportamento umano di completa indifferenza ed ingratitudine verso il Creatore? Il culto, quindi, non e` un’esigenza divina, ma e` una necessita` per l’uomo, rientrando anche la sua osservanza o meno negli elementi positivi o negativi di giudizio della sua condotta esistenziale.

18.1. Culto e preghiera.

La piu` comune e significativa pratica di culto e` la preghiera. La preghiera puo` essere definita sostanzialmente come un’invocazione di aiuto rivolta dal fedele a Dio. La preghiera, anche quando si limita semplicemente a richiedere l’intervento divino, racchiude in se` implicitamente la fede del credente in alcuni punti fondamentali della sua religione: l’accettazione dell’esistenza di un Essere Supremo, nonche` il riconoscimento della Sua onnipotenza, della Sua immensa bonta` e della Sua costante e benevola disponibilita` a prestare ausilio agli uomini nei momenti piu` difficili della loro vita. Nell’orante vi e` infine la consapevolezza della umilta` e dell’impotenza della creatura umana, sempre bisognosa dell’aiuto del Padre.

La preghiera e` il momento piu` alto della fede ed e` tanto piu` significativa quando non viene esaudita ed il credente persiste ancora in essa fiducioso, dando prova della intensita` ed incrollabilita` della sua fede. Dio non ha bisogno di essere pregato dagli uomini, ma la preghiera e` forse per Lui uno dei piu` efficaci metri di valutazione di cui si serve per giudicare i suoi figli. Vi sono diversi modi di pregare: testi predisposti o formule rituali da pronunciare collettivamente

o individualmente in certe occasioni e per determinate esigenze; invocazioni rivolte a Dio in maniera personale, verbalmente o tacitamente; la forma della preghiera puo` variare ma e` irrilevante; quello che conta e` il suo contenuto che e` sempre lo stesso: un’accorata richiesta di aiuto.

19. CONCLUSIONI.

Siamo arrivati ormai al termine del viaggio, durante il quale il destriero della ragione ci ha condotti a visitare lande gelide e lontane, terre deserte ed inospitali e paesi ameni, ricchi di sole e di lussureggiante vegetazione. E` stato un viaggio di esplorazione lungo, difficile e faticoso; ma ora che e` giunto alla fine, abbiamo una conoscenza completa dei luoghi terreni disponibili al nostro soggiorno; e` questione soltanto di fare un esame comparativo di tutti i posti dove siamo stati e scegliere tra essi la meta definitiva della nostra permanenza: un sito soleggiato ed al riparo dalle tempeste, dal quale si possa godere di un bel panorama e dove sia possibile trascorrere sereni e fiduciosi quei giorni che ci restano ancora da vivere. Uscendo fuor di metafora, il metodo d’indagine razionale intorno ai massimi problemi dell’uomo, che ci siamo proposti di seguire all’inizio di questo scritto, ha dato i suoi frutti. Siamo andati componendo un quadro di tutte le risposte possibili offerte dalla ragione agli eterni interrogativi sull’origine dell’universo e dell’uomo e sullo scopo della loro esistenza; abbiamo accuratamente vagliato la compatibilita` delle soluzioni emerse e delle loro conseguenze; abbiamo di volta in volta scartato quelle ipotesi che, seppure valide sul piano teorico delle possibilita`, si sono rivelate in contrasto con altri punti di vista di maggiore semplicita`, chiarezza e forza persuasiva. Non e` che una prospettiva sia riuscita ad influenzarci piu` efficacemente di un’altra per la sua dimostrabile veridicita`, dato che sugli argomenti in questione nulla puo` essere dimostrato razionalmente; e` stato soltanto il cumulo di speranze umane, che si accompagna o meno ad esse, ad indurci a preferire, a parita` di condizione di possibilita`, l’ipotesi per noi piu` incoraggiante e gratificante. Questo in aggiunta al fatto che le soluzioni accantonate si sono presentate irte di misteriose, intricate ed incomprensibili relazioni interne e si sono mostrate, nella visione generale, del tutto prive di un senso accessibile; mentre altrove e` stato possibile concepire un mosaico di risposte lineari e ragionevoli a tutti gli interrogativi; il che ha conferito alla prospettiva in questione il carattere di un vero e proprio sistema organico e coerente di pensiero. Per riassumere i risultati raggiunti, vediamo quali concezioni finali hanno resistito all’esame critico di tutte le possibilita` teoriche prese in considerazione dalla ragione. Sono restate sulla ribalta due ipotesi contrapposte, l’una atea e l’altra che prevede l’esistenza di un Dio.

Per la concezione atea che fa a meno di un Dio

l’universo non ha una causa originante e puo` essere: -eterno, ossia non avere nè un principio e nè una fine;

temporaneo, nel senso che esso avrà una fine pur conservando l’eternita` iniziale;

infinito, cioe`, senza alcun limite nello spazio;

finito.

Il genere umano, a sua volta, e` anch’esso incausato come l’universo a cui appartiene, oppure ha avuto origine dallo stesso universo; la durata dell’umanita` o segue le sorti dell’universo di cui fa parte ed e` eterna o temporanea come quest’ultimo; oppure e` piu` limitata poiche` la sua fine sara` causata dallo stesso universo in una data epoca futura. L’anima dell’uomo risulta un prodotto del suo corpo materiale ed alla morte del corpo cessa totalmente di esistere. Ripeteremo qui ancora una volta che questa prospettiva puo` definirsi soltanto tetra, insensata e disperata.

Per la concezione teista che prevede un Dio

è stato possibile elaborare una sistematica visione del tutto:

-Esiste un Dio, concepito come un Ente Onnipotente, dotato di una somma intelligenza e di una infinita bontà, nonchè di ogni altra perfezione.

-Questo Dio, al fine di estrinsecare la Sua Bonta`, ha creato dalla Sua stessa Sostanza un universo temporaneo, infinito o finito che sia, ed anche l’uomo e la sua anima, fornendogli un frammento della Sua Intelligenza, il raziocinio, e della Sua Bonta`, la coscienza del bene e del male.

L’anima dell’uomo, creata da Dio all’atto della nascita del corpo, sopravvive per un tempo indefinito alla morte fisica, nella pienezza delle sue facolta`.

-Lo scopo dell’esistenza terrena dell’uomo e della sopravvivenza temporanea della sua anima e` quello di rendersi degni della meravigliosa ricompensa finale, il ritorno al Creatore, la ricongiunzione a Dio.

– Questo necessario processo di degnificazione si compie con la lotta al male ed attraverso il comportamento dell’uomo e della sua anima, ispirato al bene e durera`, in questa e nell’altra vita, tutto il tempo necessario ad una sua completa purificazione.

-Il bene da perseguire va inteso altruisticamente come benessere materiale e spirituale degli altri.

-All’uomo puo` essere riconosciuto il merito o il demerito della sua condotta buona o cattiva solo perche` egli dispone del libero arbitrio, ossia della liberta` di scegliere fra il bene ed il male, e della coscienza di essi, ossia della capacita` di riconoscere il bene ed il male.

-Il male nel mondo e` voluto da Dio perche` esso e` necessario a redimere l’uomo e renderlo degno del Gran Ritorno.

-Per la Somma Bonta` Divina, tutti gli uomini sono destinati a ricongiungersi con Lui, rendendosene meritevoli attraverso un piu` o meno lungo processo di degnificazione.

Così, di riflessione in riflessione siamo arrivati ad una ragionata e comprensibile concezione di Dio, dell’uomo e del Creato. Noi vogliamo credere, avere fede in questa concezione razionale della religione, anche se in vita non riusciremo mai a capire cosa possa significare per noi esseri umani ritornare al Creatore ed identificarci ed annullarci nel Divino da cui provieniamo.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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