serviamo ora il numero….

7 Maggio 2012
8 minuti di lettura

“Me ne fai un’altra?”

Il barista gli rispose con un cenno del capo delicato e lieve e gli preparò un boccale di ottima birra.

M.P. fissava il pavimento di marmo chiaro come a cercare una traccia, un ricordo che perennemente gli sfuggiva.

Alle sue spalle un vociare di persone e davanti a lui soltanto il bancone e il viso quieto dell’oste.

Bevve un sorso di birra e si voltò ad osservare il locale in cui i trovava: una stanza dalle dimensioni modeste ma carica di oggetti di vario genere, così ovunque si posasse il suo sguardo trovava libri,  fotografie, abiti, lettere, quadri, gioielli, disegni… tutte cose che davano però l’impressione di avere poco o  nulla a che fare l’una con l’altra, un’accozzaglia di forme e colori  fragile e curiosa  come l’insieme di parole e frasi che si diffondeva nella sala.

Si avvicinò ad un dipinto  e lo guardò con grande attenzione: raffigurava un bellissimo paesaggio campestre con una piccola casa bianca su di un lato e a M.P. sembrò quasi di riuscire a respirare il profumo dell’erba appena tagliata che il quadro ritraeva.

Dal fondo del locale si avvicinò a lui una donna. “Ti piace la mia casa?”,  gli domandò gentile  e sorridente. M.P. fissava  la tela ancora inebriato dalle sensazioni che da essa scaturivano, poi rispose: “Certo è un posto splendido; è dove abiti?”.  La signora rise come a volerlo bonariamente rimproverare, “dove abitavo vuoi dire…” e si allontanò.

L’uomo rimase ancora ad osservare il quadro, solo qualche istante, e di nuovo si rivolse al barista: “Da quanto sono qui?”,  gli chiese; il ragazzo al di là del banco stette in silenzio per alcuni istanti scuotendo la testa, poi si avvicinò protendendosi verso di lui e sottovoce gli rispose: ”Questo non è importante, smetti di farmi questa domanda e chiediti piuttosto come e quando potrai andartene”.

M.P. indietreggiò di alcuni passi; stava riflettendo su ciò che gli era appena stato detto quando si accorse che la donna con cui aveva poco prima parlato aveva preso tra le mani il dipinto che raffigurava la piccola casa bianca; lo guardava, lo osservava, e mentre faceva ciò il quadro si dissolse. Immediatamente dopo la musica che veniva diffusa nel locale si fermò e tutti rimasero zitti.

Improvvisamente si sentì un annuncio provenire dalle casse dello stereo: “ Serviamo ora il numero 534376265859590494657284561479024” e la signora del quadro si avvicinò alla porta per poi salutare con un cenno del capo ed uscire.

“Ma che è successo?”,  si domandò M.P.  incuriosito; lui non capiva, anzi in realtà non sapeva bene nemmeno dove si trovasse. Si diresse verso l’uscita e spalancò la porta dalla quale la donna  se n’era appena andata per chiederle spiegazioni, ma con sua grande sorpresa vide qualcosa che lo fermò: fuori era solo il nulla,  non una superficie, non un cielo, non un suono, solo e soltanto il nulla.

Rimase attonito: come può una mente umana concepire l’esistenza del niente? Eppure questo fu ciò che lui vide, il niente assoluto.

Così M.P. ritornò all’interno della sala e cominciò ad osservare con più attenzione i disegni, i quadri, i libri; ognuna di queste cose  apparteneva ad una persona che si trovava nella stanza, ma che cos’erano? Ex voto? merce in vendita? Che cosa? Non capiva, nonostante si sforzasse non capiva.

Si avvicinò nuovamente al bancone del bar e si rivolse al ragazzo che serviva da bere. “Senti scusa, ma che cosa sono tutti questi oggetti che la gente porta qui?”.

“Perché?”,  gli rispose il barista,  “ma non hai capito ancora? tu non hai portato niente? Prova a guardare nelle tasche”.

M.P. frugò velocemente all’interno del cappotto scuro e dei pantaloni ma non trovò nulla. “No, non ho portato niente, ho solo i soldi e i documenti”, “ma quelli”, disse il ragazzo del bar, “non ti servono, vedrai che qualcosa di più importante avrai  portato con te e forse non dovresti guardare solo nelle tasche; vedi, mio caro, molte persone portano oggetti che ricordano loro qualcosa, perché la maggior parte di essi ha bisogno di qualcosa da guardare per capire, ma non è detto che per tutti sia così. Forse tu hai portato altro, una cosa che non si vede ma che serve per uscire da qui; ad ogni modo ognuno deve pagare il conto per andarsene, ma non è il denaro ciò che servirà”.

Nel frattempo di nuovo la musica si fermava e un nuovo annuncio si diffuse: “Serviamo ora il numero 534376265859590494657284561479025”.

Un signore anziano rise e se ne andò dal bar uscendo verso quello che a M.P. era prima sembrato il nulla. E intanto, nel locale, era mancata una splendida candela arancione.

“Ma se non trovo ciò che ho portato con me che succede?”,  chiese l’uomo all’oste. “Beh”, gli rispose lui, “vorrà dire che rimarrai qui a farmi compagnia, se non puoi pagare non puoi andartene, ma stai sicuro che se sei qui con me qualcosa hai”.

L’uomo era sempre più confuso: rifletteva, pensava, cercava una soluzione all’enigma, ma come le domande arrivavano, altre si proponevano alla sua mente.

Stava di nuovo per parlare con il barista quando l’ingresso della stanza si aprì; entrò una nuova persona.

Era una donna e piangeva.

M.P. la guardò, gli sembrò di ricordare qualcosa ma la memoria gli sfuggiva, come sempre, come anche poco prima, quando fissava il pavimento senza capire  e senza riuscire  a fare chiarezza nei propri pensieri.

La ragazza chiuse la porta dietro a sé e si diresse affrettata verso di lui.

“Finalmente ti ho trovato”,  gli disse, “è passato così tanto”.

Il barista sorrise nel vederla e le chiese cosa volesse da bere.

“Però me lo devi offrire, lo sai che quello che ho portato mi serve per altro e non posso pagarti il conto”, gli rispose lei. “Ma certo, tutto quello che vuoi”, disse il ragazzo del bar.

“Allora un buon bicchiere di Franciacorta rosato, bello freddo, mi raccomando”.

La confusione di M.P. ormai era totale. Dov’era? Perché era in quella stanza sospesa nel niente? Perché la gente arrivava ma non poteva andarsene se non facendo scomparire un oggetto? Perché non ricordava nulla? Perché? Perché? Perché?

“Io credo di averti già vista”, disse alla donna, “ ho l’impressione di conoscerti”.

Lei rise finalmente, nonostante il pianto di poco prima e lo accarezzò dolcemente sulla guancia, “Ma, angelo mio, tu non devi preoccuparti; che cos’hai portato con te?”. “ No, aspetta”, rispose lui, “ io non ho capito a cosa servono questi oggetti che la gente ha portato qui, e poi, soprattutto, io vorrei sapere chi sei e come mi conosci, e, anche, perché ho una memoria di te che non mi spiego”.

La donna di nuovo lo accarezzò, questa volta sui capelli. “Ma, angelo, cosa ti importa  di capire chi sono?”.  “Va bene ”, rispose lui contrariato, “ma almeno mi spieghi cosa ci faccio in questo posto, perché non ricordo niente e cosa devo fare?”.

“Ma certo, a meno che non te lo voglia spiegare Lui”, disse la ragazza  guardando il barista e sorridendogli.

Il ragazzo del bar a sua volta sorrise, il suo volto era sereno e sincero, “ Dai, non dire Lui in questo modo, che poi la gente se ne accorge”. “ E di cosa?”,  rispose lei, “ Lui, Colui che è.. ma come ti devo chiamare  allora? Hai così tanti aspetti che davvero non posso definirti, e poi se la gente se ne accorgesse forse sarebbe meglio, ti tratterebbero con più rispetto”. “No”,  precisò Lui, “non voglio il rispetto solo per questo, voglio che gli esseri umani mi trattino come farebbero con un altro essere umano, io voglio essere a loro pari perché così loro possano capire meglio”.

“Va bene.. sì, hai ragione tu, come sempre del resto” e la donna ancora rise bevendo il suo buon Franciacorta.

M.P.  non sapeva più che pensare, “Allora, me  lo spieghi  cosa succede qui dentro?”, chiese alla donna fissandola nei grandi occhi scuri.

“Semplice”, rispose lei, “ora ti spiego tutto, o meglio, come dico io, ti svelo l’arcano..ahhahahah”; rideva e rideva solleticando la propria anima con quel  vago ricordo di frasi addomesticate dal profumo di una vita passata nelle chiacchiere in famiglia.

“Questo è il purgatorio caro mio, la gente arriva qui per disintossicarsi dalla vita, o meglio, dal non perdono; gli oggetti che vedi sono cose portate dalle persone perché ad esse legano il ricordo di qualcosa che li ha fatti stare male e che non riescono, appunto,  a perdonare; quando loro perdonano invece, possono andarsene, perché questa è l’unica via per la salvezza. E tu hai portato qualcosa con te, io lo so.”

”Ma come? Io non ho nulla con me a parte i documenti e i soldi”

Il barista sorrideva ancora nell’osservare quella conversazione, anch’essa sospesa nel nulla.

“Ma no”, fece lei, “tu hai con te una cosa importante e qualcuno deve pagare con il perdono di questa  perché tu possa andartene…ma che scemo che sei angelo mio, tu sei diverso dagli altri”. E mentre la ragazza diceva questo un altro annuncio arrivava: “ Serviamo ora il numero 534376265859590494657284561479026” ; un’altra persona uscì e un altro oggetto scomparve: un bellissimo gioiello di oro e perle.

“Ecco vedi?”, disse la donna, “lui ha perdonato e se ne è andato”.

“Ma allora io come faccio ad andare via? Non c’è niente fuori, ho guardato prima, non c’è nulla, e poi non ho oggetti con me”,  fece lui.

La ragazza sorrise, ma di nuovo le lacrime, nonostante  tutto,  uscivano dai suoi occhi;

“Mi fai il conto Cri?, pago anche quello del mio amico”. “Ah.. adesso mi chiami con il nome giusto, già… io sono anche uno di voi, solo che lo capite in così  pochi.  Allora sei sicura di volere tutto il conto?”. “Ma sì, Cri, certo che ti chiamo così, è una piccola licenza che mi prendo, perdonami, e poi è solo un abbreviazione del tuo nome, ora però fammi pagare per favore”.

Lui, dietro al banco di nuovo le chiese se ne fosse sicura, e lei, ancora, rispose di sì.

“Fammelo dai.. so cosa sto facendo”.

“Sicura? Non puoi tornare indietro poi, lo sai bene e rimarrai ancora qui con  me,  mi vuoi fare compagnia?”.  “Certo Cri, vorrà dire che ti aiuterò a spillare le birre, ma io pago con  il cuore; lui ha portato una cosa importante, ha portato se stesso e la sua vita, ma non lo sa, e non capisce che deve perdonare. Io voglio pagare il suo conto”.

“Va bene”, fece il barista, “se ne sei convinta…” e parlando a M.P:  “Tu quando lo desideri puoi andare, ma ti offro qualcosa da bere se vuoi”. “Grazie”, rispose il ragazzo, “lo prendo volentieri”.

“Serviamo ora il numero 534376265859590494657284561479027”.

“E’ il tuo numero credo”, esclamò lei  rivolgendosi a M.P.

“Fammi capire cosa è successo, ti prego e chi sei tu”,  chiese l’uomo alla donna..

“Nulla di grave angelo, ho soltanto barattato il mio cuore con il tuo per pagare il tuo conto; non sono nella tua memoria ma sono comunque in te, da qualche parte; tu sei libero adesso e io vorrà dire che farò un po’ di compagnia a questo povero Cristo”.

Il barista sorrise.

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