Envy

15 Novembre 2003
10 minuti di lettura

di franc’O’brain

Un filo di saliva mi scorre lungo il mento mentre immergo l’ago nella pozionespeciale di mia invenzione. Naturalmente porto i guanti. È un’operazione delicata: una piccola svista e potrei lasciarci le penne. Intanto, la musica dei Grey Owl mi riempie le orecchie: roba sostanzialmente strasentita; note note, per così dire. Sembra materiale antiquato, rococò e dintorni, solo che è … differente. È musica "altra". Musica progress. Tastiere, organi elettrici e sintetizzatori analogici reimpastano melodie familiari e le incanalano in un tunnel foderato di pelouche.

A dire il vero io sono un amante della musica leggera, delle canzoni da hit parade. Non intendo i pezzi tipo tuca tuca e alli alli, i ballabili per bulli e pupe di periferia, ma le "sad songs" tipo Harry Nilson e i primi Bee Gees, canzoncine melodiose di tre-quattro minuti, "oldies" che hanno conquistato il mercato internazionale. Nondimeno, eccomi qui ad ascoltare il bislacco disco degli Owls. Dannazione, quant’è bello! Bello e intelligente. Mi fa venire la goccia all’occhio… Impregnando l’ago nella tisana che ribolle dentro il pentolone, getto un’occhiata torva alla cover, che ho appoggiato sulla spalliera di una sedia: vi si vedono, in mezzo a nani, giocolieri e ballerine, i tre componenti del gruppo, lungocriniti e in costume elisabettiano. Al centro del pandemonio è Jimmy: affascinante quanto mai. Divento strabico per quant’è affascinante… e l’ago mi sfugge dalle dita, cade nella pozione. Fortunatamente sono svelto a ripescarlo prima che vada a fondo. Fuck! Mi sono scottato…

Cos’è questo? Un crescendo punteggiato da gocce di pianoforte, il muggito straziante di un moog, poi uno iato improvviso come una mano che ti strizza il cuore. E infine… il refrain. «Aaargh!» grido. È meraviglioso! Mi tocca ammetterlo, mio malgrado: i Gufi Grigi sono una band davvero in gamba. Lui è in gamba.

Con mani tremanti per la rabbia, ritiro l’ago (accidenti se scotta!) e, con cautela, lo infilo nel meccanismo che ho precedentemente sistemato nel dorso del libro, sotto la rilegatura: una sorta di balestra di dimensioni ridotte. Fa’ piano, mi dico, attento… Ecco! Vediamo se funziona. Il libro è aperto su una pagina a caso. Lo capovolgo e lo punto verso una parete. Poi lo chiudo di scatto (sulla copertina c’è scritto, a caratteri falso­oro: ‘My Diary’) e… zac! L’ago saetta, andando a conficcarsi nella stuccatura.

Una risata diabolica mi raggrinza la faccia. "Aspetta, Jimmy caro, aspetta…"

Giù in strada un gruppo di persone rumoreggia: sono i fans degli Owls. Hanno avvistato la limousine, che in questo momento gira l’angolo e si sta avvicinando. Damn! Devo sbrigarmi… Non senza difficoltà, stacco l’ago dalla parete, poi torno a immergerlo un’ultima volta nel veleno (non si sa mai) e cerco di risistemarlo nella "balestra"… L’idea è questa: Jimmy mi dà l’autografo, richiude automaticamente il volume e, così facendo, si spara l’ago in corpo. Ma le mie dita sembrano annodate, non mi riesce proprio di reinfilarlo… Lancio un’occhiata alla copertina del disco e: «Maledetto! Tutta colpa tua!» sputo. Questo ragazzo mi ha sempre causato un oscuro malessere. Già a scuola era così grazioso, così corretto…

Clic! L’ago carico di veleno è al suo posto, enfin. Mi sporgo dal davanzale e monitorizzo la situazione: la limousine è parcheggiata qui sotto, tra due siepi di fotografi. Sull’altro lato, davanti alla casa di Jimmy, c’è molta agitazione: un piccolo drappello di guardie del corpo cerca di tenere a bada una cinquantina di fans impazziti. Quando Jimmy e i suoi fidi escono dal portone, gli ammiratori esplodono in un boato. A ben guardare, gli ammiratori sono in gran parte… ammiratrici. Fanciulle con la pelle che sembra latex, puttanelle in deliquio… Fanno di tutto per premergli addosso la bocca, le tette, la micia. Uno spettacolo avvilente. Ah sì, essere famosi non è facile.

Inspiro profondamente. È lui, quello? Inequivocabilmente: il divo nostrano con il suo sorriso iperautentico. Fin da quando si dedica anima e corpo alla scienza dei suoni, non è facile contattarlo. Da quando ha avuto il primo scampolo di successo, poi, viene considerato un idolo sacro. Sempre schermato, tenuto al calduccio, imboccato dalle ziette… Ma finalmente è giunta la mia ora. Quanti anni ho dovuto attendere questo momento? Tre… no, cinque. Un’eternità. Anni lunghissimi, trascorsi a macerarmi nell’ira e a covare piani di rivalsa.

Mi spenzolo dalla finestra e urlo gioiosamente, rivolto a tutti e a nessuno: «Arrivo!»

Girandomi, noto improvvisamente, in un angolo della stanza, uno strano uccello che sbatte le ali sul pavimento. Somiglia a un albatro agonizzante, solo che è più piccolo di un albatro; forse una quaglia… Mentre la melodia che fuoriesce dagli altoparlanti forma dei cerchi di struggente bellezza sulla superficie dello Specchio di Narciso (così si intitola il pezzo che ascolto, che dà anche il nome all’album), prendo la rincorsa come per tirare un calcio di rigore e colpisco in pieno, di punta, il nero uccellaccio. Con uno stridio, quello scavalca il davanzale, simile a un pallone semisgonfio. Non precipita, però: a mezz’aria si riprende e svolazza via.

A questo punto un assolo di chitarra semplicemente divino mi strappa un urlo. Nessun dubbio: i Grey Owl hanno scoperto la formula adeguata per trapanarci l’anima. Mi tappo le orecchie con ambedue le mani, volteggio sul mio asse spruzzando bava sui mobili e sull’hi-fi e poi mi getto sulle spalle il mio lungo mantello blu. Il mantello, gli stivali, i bottoni di madreperla… tutto questo fa parte logicamente del piano, della mascherata. Così sono vestiti gli Owls e così vestono i loro fans. Con una t-shirt e con i miei consueti pantaloni di pelle non potrei avvicinarmi a loro… a lui. Mi sono finanche lasciato crescere i basettoni… Speriamo che gli uomini della security ci caschino!

Ma ora via, via! Per colpa della troppa musica non riesco quasi più a concentrarmi. Ormai conosco il disco a menadito, nell’ultimo periodo l’ho ascoltato da mane a sera, da Beethoven al tramonto…

Afferrato il "diario", mi precipito giù, lungo la fuga di gradini, tallonato dal moog degli Owls. La scalinata è in penombra, ci si vede poco. Incespico un paio di volte, rischiando di sfracellarmi la calotta cervicale contro la ringhiera. C’è inoltre uno intenso, stordente fetore di cavolo: tipica scala di un quartiere popolare – Via delle Vacche Carenti. Nell’imboccare l’ultima rampa, vengo salutato dal chiarore che proviene dalla strada. Tengo il libro-arma stretto al petto, mentre i tacchi dei miei stivali battono sugli scalini al ritmo delle percussioni del gruppo progressivo. Il moog e il basso lavorano ottimamente in coppia: una cavalcata irresistibile; ambedue mi inseguono come l’ululato del vento in una galleria .

Eccomi vicino all’uscita. Su uno degli ultimi gradini siedono due ragazzini. Mi sono d’intralcio, perciò ululo: «Uuuuuh!» senza rallentare, anzi avanzando a piena velocità, a rotta di collo, quasi in caduta libera. I mocciosi si scostano all’ultimissimo momento e con un wuuush! io passo in mezzo a loro. I loro visi vengono sfiorati dal mio serico mantello. Beh, non proprio serico: l’orlo inferiore è rafforzato da un filo d’acciaio. Spero di aver lasciato in loro un segno indelebile. Lo stigma di Envy. «Ah, ah, ah! Crepate, maledetti!»

Sono all’aperto. La luce del primo pomeriggio mi colpisce come un pugno, e mi avvicino alla folla schermandomi gli occhi. I famigerati fans degli Owls. Guardateli: sono in solluchero. I divi capelloni giganteggiano al centro di un cerchio di occhi bocche dita veneranti. Questi tre – incredibile ma vero – sono nati e cresciuti nel nostro fottuto quartiere. Chi lo avrebbe detto che un giorno avrebbero sfondato? Hanno addirittura ottenuto il contratto di una major americana… La limousine con tanto di autista è venuta per raccattarli e condurli all’aereoporto. Vedo che due Owls sono già in procinto di montare sull’auto, che sta per mettersi in moto. Presto! Devo sbrigarmi…

«Nooo!» inizio a piagnucolare da una posizione di retroguardia. «Ci portano via i nostri ragaaazzi!»

Udendomi, un tizio scrofoloso si volta e fa: «Mbè? Beati loro che possono svignarsela!»

Jimmy è ancora là che tentenna. Distribuisce autografi, sorrisi e baci alle esaltate pupattole (bastardo! già alle medie socializzava con l’altro sesso… e io che avrei voluto averlo per me almeno un’ora, per sbattermelo per benino e dopo lasciarlo per terra come un mucchio di cenci…). Mi faccio strada a colpi di gomito finché non mi ritrovo al cospetto del celebre leader dei Gufi Grigi. In questo istante lui mi rivolge le spalle. Noto che è lì lì per salire nella limousine. «Jim-my», sillabo, ma non mi sente. Qualcuno mi dà uno spintone e il mio naso a uncino sbatte contro la schiena di Jimmy. Mi aggrappo al suo torace, poi scivolo giù, abbracciato ai suoi fianchi… lui intanto si gira… e mi scopro con la bocca schiacciata contro il suo sesso. Aaaah! Lasciatemi così per sempre! Prono davanti all’idolo, nei secoli secolorum: che potrei chiedere di più alla vita? Poi, al momento opportuno… zac! Staccarglielo con un morso.

«Ehi ehi ehi!» mi reguardisce uno dei bestioni della scorta. Ma Jimmy (è proprio lui, se non è il suo clone) mi aiuta a risollevarmi, fa cenno al gorilla di calmarsi e si informa: «Tutto a posto, Madame?»

Madame?

Rialzo lentamente il capo. Sotto il mantello ottocentesco, il Bello indossa una camicia di lamé; al collo porta una conchiglia king size. Sospirando, gli porgo il libro. «Mi fai l’autografo?» chiedo. Nel frattempo il mio sguardo sfreccia di qua e di là. Su una fiancata della limousine sta scritto: ‘Grey Owl – Narciso Tour’. E, più sotto: ‘Make Love Not War’. I gorilla hanno difficoltà a tenere gli aficionados a debita distanza e io fatico non poco a mantenere la mia posizione così duramente conquistata. Vengo sballottato da una parte e dall’altra dalle adolescenti indiavolate, desiderose di regalare a Jimmy le labbra il culo e il resto. La bile mi sgorga copiosa dalla bocca, già si forma una macchia sullla mia camicia di raso. Maledizione, mi è costata un occhio della testa…! Oggi mi sono vestito uguale agli Owls per mettere a punto il mio piano e anche per cercare di far colpo sulle ragazze e sui ragazzi del quartiere. Merletti, pantaloni aderenti, i summenzionati stivali… insomma, le ho tentate tutte pur di assomigliare a un elemento di una prog band. Qualche ora fa ho fatto una passeggiata per i dintorni… Cilecca. Nessuno mi ha cagato, nessuno mi caga. E pensare che mi sono pure lasciato crescere i capelli… E forse è per questo, forse è per l’insolita capigliatura che Jimmy non mi riconosce.

Abbiamo frequentato insieme l’asilo, le elementari, le medie; e lui non si ricorda! "Madame" mi ha appellato. Sicuramente lo fa apposta. Non è possibile scordarsi in questo modo di una persona. Militavamo nella stessa squadretta di calcio… poi lui si è messo a strimpellare un Bontempi (o era un Farfisa?) e un giorno qualcuno gli ha fatto ascoltare un disco dei Gentle Giant (o degli Yes, o forse dei Genesis) e ne è rimasto fulminato. Ha cominciato ad esercitarsi con pazienza certosina insieme ai suoi due compari frocetti, mentre io sempre lì in strada a tirare calci a uno schifo di pallone che facevo sbattere contro una saracinesca. Urlavo: «Ma cosa fai chiuso in casa, coglione! Scendi giù a giocare!»

Lui, sordo a ogni richiamo, continuava a suonare impassibile; finché non ha deciso che era l’ora di uscire allo scoperto e di rilanciare il prog rock. Ha azzeccato il momento giusto, il beccaccione: è diventato l’iniziatore di un nuovo trend. Ovviamente io non comprendo il perché di questo furore per quella che è solo una rivisitazione di componimenti classici con l’aggiunta di tracce di jazz. Comprendo un’unica cosa: che la fortuna di Jimmy, ancor più che la sua bravura, mi fa tanta, tanta rabbia.

I suoi occhi di cielo si abbassano su di me; il divo ostenta un’espressione divertita e nel contempo interrogativa. Un apollo. Me lo mangerei!… «Un autografo, prego», torno a rinnovargli l’invito.

«Certo Madame!» ribatte lui. Impugna la bic e scrive il proprio nome, con tanto di svolazzi, su una pagina vuota del "diario". "Ecco, adesso!" penso io, che non sto più nella pelle per la contentezza (e, eccitato come sono, mollo inavvertitamente una scoreggia). Il veleno con cui ho impregnato l’ago agirà in modo lento ma sicuro. Mi pare già di vedere i titoli dei giornali: "Misteriosa morte di un cantante rock! Eroina?" Sì, figuriamoci! Jimmy e l’eroina! Ma se non fuma nemmeno! L’unica droga che lui conosce è il caffè… Comunque, l’illazione basterà da sola a trascinare il suo nome nel fango e, quando il referto autoptico sarà finalmente reso pubblico, la verità non farà

15 scalpore perché intanto tutti lo avranno già ripudiato. Morire di droga, difatti, non aiuta più a diventare un mito. La droga è "out".

Il bastardaccio appone dunque la sua firma tenendo la bic tra due dita, poi dice: «Eccola servita!» Prima di restituirmi ‘My Diary’ lo gira verso di me, come a volermi mostrare meglio l’autografo.

«Oh», raglio, «no! Uff!»

Cerco di togliergli dalle mani il volume, ma lui è più lesto: lo richiude di scatto.

«Ngggghh.»

A questo punto vengo avvolto da un nugolo di corpi, barcollo, rischio di rovinare sul selciato. Riesco a storcere il collo appena in tempo per vedere la limousine che si allontana, con dentro gli Owls che dispensano benedizioni come il Papa fattosi Trinità. La folla segue la vettura a passo di corsa e io resto indietro solo con il mio libro in mano, con la mia stupida arma a forma di libro, le ginocchia unite e i piedi scostati come una collegiale porcella e una smorfia di dolore/disgusto sulla faccia da vecchio decrepito. L’ago mi si è conficcato nel plesso solare. Pian piano cerco di staccarlo: nada. Cerco di staccarlo con più forza… invano. Si è infisso proprio in profondità, piantandosi nell’osso vivo. Roba da complimentarmi con me stesso per l’apprezzabile lavoro svolto.

Poco discosti, due ragazzini stanno a guardarmi. Sono gli stessi che prima sedevano sui gradini. Uno è turco, l’altro senegalese. Le loro famiglie abitano nel nostro condominio da pochi mesi, forse da un anno, perciò non possono sapere che cosa succede qui: ignorano che tre boys nati e cresciuti in questa sperduta periferia sono riusciti a raggiungere il successo… "Successo": un vocabolo che è sinonimo di soldi, oltre che di fama.

Un altro po’ di sostanza bavosa mi scivola lungo il mento e va a spiaccicarmisi sugli stivali.

I due scriccioli proseguono a osservarmi con curiosità, ignorando (lo fanno apposta?) quel po’ po’ di sangue che cola dai tagli sulle loro guance. Sopra di loro svolazza lo sgraziato albatro pipistrellino che poco fa era entrato in casa mia. Io, Envy, rimango in mezzo alla strada in posa vagamente spastica. Questa strada che fin da sempre sogno di abbandonare e che insiste a tenermi incatenato. E mando un urlo furioso contro il sole – sfera di fuoco nero -, mentre il veleno sommerge inesorabilmente la mia pompa cardiaca. Scuoto i pugni in direzione del firmamento, mentre dalla finestra spalancata della mia stanza mi spiovono addosso le note celestiali dello Specchio di Narciso, il capolavoro che ha glorificato il mio nemico per la pelle; crome biscrome semicrome che, come minuscole asce, mi si conficcano nel cranio.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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