Della negazione di Dio

16 Febbraio 1994
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a Cristina Carnemolla

“Cara amica, rispondo alla tua richiesta di chiarirti il mio pensiero riguardo le questioni metafisiche che ti stanno angosciando in quest’ultimo periodo premettendo che la stesura di un trattatello di questo tipo è forse cosa più difficile delle stesse riflessioni contenute nel medesimo; dovrei scusarmi con te per l’eccessiva sintesi e in altri casi per la totale esclusione di eventuali argomentazioni: il campo sopra il quale lavorare è estremamente vasti, e solo anni di lavoro e di studio porterebbero ad una discreta trattazione dell’argomento. Il mancato approfondimento di certe argomentazioni date per scontate o di altre volutamente o inconsapevolmente escluse, potrebbe causare dei problemi d’interpretazione o ancor peggio di giustificate obiezioni; spero vorrai perdonarmi se in certi punti il discorso può sembrare oscuro, certo tuttavia della tua eccezionale sensibilità ed intelligenza, proseguirò nella mia trattazione senza alcuna remora. Traccerò a grandi linee le mie motivazioni riguardo al problema dio riservandomi di approfondire gli argomenti di maggiore importanza.

LE ORIGINI

Mi pare opportuno risalire all’origine della credenza, dalla cosiddetta idea innata che ogni essere umano ha della divinità.

Qualcuno scrisse a tale proposito che il semplice fatto che si abbia l’idea di dio, ne dimostra l’esistenza; tale affermazione è logicamente assai discutibile, magari mi fossi potuto trovare faccia a faccia con tale buffone mistico: sostenere che qualcosa o qualcuno esisti in funzione di una semplice idea, equivarrebbe a sostenere paradossalmente che persino Freddy Krueger, nato da “un’idea” di Wes Craven, potrebbe venir fuori dai film e turbare i nostri sogni, come qualsiasi altro parto della fantasia umana: dagli antichi personaggi dell’epica Greca, ai recenti protagonisti dei film splatter. A questo punto qualcuno potrebbe ribattere che, a differenza delle altre idee, quella di dio è innata in ogni essere… certo, certo… “sfortunatamente” mamma e papà non si sono limitati a raccontarmi le imprese dell’uomo nero che portava con sé i bimbi monelli, hanno detto qualcosa anche riguardo ad un Gesù, figlio di dio, in comunione con il padre e lo spirito santo con TOT di caratteristiche mistiche, e poi chi dice che l’idea della divinità (poiché il dio cristiano si insegna: l’uomo primitivo adorava la prima manifestazione naturale che gli capitava sotto gli occhi) sia l’unica innata nell’uomo, ognuno di noi possiede il grande dono della fantasia che distribuisce a piene mani idee che possono essere definite innate, si pensi ai bambini e alle loro paure che si nascondono nei posti bui, dietro le porte o sotto i letti. Lasciamo comunque da parte queste disgressioni e discutiamo su ciò che potrebbe dimostrare la genesi di questa famosa idea della divinità. Si potrebbe partire riconoscendo nella natura umana una componente di viltà; incapace di affrontare le difficoltà che la vita gli impone, l’uomo le aliena in dio; parafrasando Feurbach: non fu dio a creare l’uomo, ma l’uomo che, a seconda dei suoi desideri e del suo modo di essere in generale, crea il suo dio. Concludendo: l’uomo, essere limitato in quanto soggetto a morte, frustrato in quanto prigioniero delle categorie ontologiche, ha l’innato bisogno di affidarsi ad un essere superiore libero dalle limitazioni e dunque eterno, immutabile e perfetto, da questa esigenza inconscia diciamo che sarebbe potuta scaturire l’idea della divinità. A sostegno della precedente riflessione le stesse tappe storiche della religione: dalla superstizione dei primitivi che adoravano la natura e le sue manifestazioni, al politeismo delle civiltà antiche e ancora dal cristianesimo alle attuali forme di monoteismo; insomma, se dio avesse pure concesso all’uomo il dono dell’idea di se medesimo, avrebbe potuto fare almeno un lavoro migliore, meno vago… e non mi si venga a dire che così sarebbe stato tutto troppo facile.

IL CRISTIANESIMO COME VIZIO

Ogni credenza antica è crollata dinanzi al cristianesimo, la religione “perfetta”. Per risalire alla falsità di una qualsiasi giustificazione di tipo provvidenzialistico riguardo alla sua genesi, bisogna inquadrare il periodo storico in cui questa forma di culto si sviluppò: in poche parole “troppi poveri, pochi ricchi”. Nietzsche sosteneva, nel suo “Anticristo”, che il cristianesimo non è stato altro che un movimento di riscossa, oltre che politico, spirituale, delle classi inferiori: uomini che si servivano della “filosofia” cristiana per consolarsi della propria miserevole condizione, un vizio insomma che consacrando il dolore, la sofferenza e la povertà come ideali supremi di purificazione, permetteva agli uomini del tempo, non certo colti e superstiziosi, di superare l’angoscia della propria condizione; a detta di Fromm lo stesso discorso della montagna, pronunciato da Gesù Cristo, può essere interpretato come il primo programma di ribellione degli schiavi; non ci si stupisca più di tanto all’affermazione che Gesù sia il prototipo del comunista. A tal punto c’è da chiedersi in che modo tale culto riscosse un così grande “successo” anche tra le classi abbienti: imperatori, nobili, uomini insomma che non avendo alcun interesse a sovvertire l’ordine sociale sposarono la causa del cristianesimo. Facile supporre che le divinità di quei tempi avrebbero avuto i giorni contati, vuoi per il loro terribile carattere, vuoi perchè, a parte i poteri fantascientifici, non si differenziavano in nulla dai mortali: egoisti, truffatori, bugiardi… insomma, imperfetti. Ipotizziamo pure che d’un tratto nobili o sovrani illuminati si fossero potuti stancare delle loro sterili credenze e, trasportati forse dalla voglia di cambiare, si fossero entusiasmati per il sistema “filosofico” cristiano che, esaltando il dolore e promettendo l’eternità in cambio di una buona condotta di vita, soddisfaceva l’istinto autocommiserativmasochistico (e scusate l’ingenuità) e quello di autoconservazione tipico della più profonda essenza umana, beh, non mi pare ci voglia tanto a capire perché d’un tratto il cristianesimo divenne quasi una moda. Gesù altro non fu se non un uomo che, grazie al suo carisma e alla sua intelligenza straordinaria, riuscì a scavare nel fondo del cuore degli uomini scovandone i più nascosti desideri e indicandone la realizzazione in una apparentemente perfetta filosofia della vita.

Se ad un primo esame superficiale la filosofia cristiana potrebbe sembrare convincente e a tratti persino commovente, riporta delle contraddizioni fra le righe molto evidenti a cui i teologi hanno, ovviamente, dato una pseudo spiegazione facendo ricorso all’assurda ed ingiustificata constatazione della limitatezza della mente umana per quel che concerne la profondità del messaggio divino; si torna all’ipse dixit aristotelico, anche se in forma diversa, la constatazione di tali creature brutali ci impone di non pensare, di accettare qualsiasi contraddizione come un mistero… se non erro, durante la messa, ad un certo punto della funzione il prete recita – mistero della fede -.

Mi riservo di ritornare sul significato della parola fede, di fronte alla quale può crollare paradossalmente qualsiasi tipo di ragionamento.

Negare l’esistenza di dio attraverso la sola negazione dei principi religiosi sarebbe tuttavia errato, nulla ci vieterebbe infatti di pensare che un dio esista e che la religione funga da scorciatoia per dare la possibilità di credere a coloro che non possano permettersi dei ragionamenti più “alti” e che abbiano bisogno di affidarsi a dei fatti. Dimentichiamo dunque la religione per concentrarci esclusivamente su dio. Procediamo per tappe: un filosofo greco, spiacente ma in questo momento non ne ricordo il nome, sosteneva che le divinità non si occupavano degli affari umani, la presenza del male nel mondo appariva infatti del tutto ingiustificata se si doveva ricorrere all’idea base della divinità che per definizione deve essere perfetta e dunque infinitamente giusta e buona. Il filosofo tuttavia mancò di spingersi oltre nel suo ragionamento, il disinteresse  implica infatti una carenza di bontà (come si possono voltare le spalle a qualcuno che si ama),  e non è concepibile tale mancanza in un essere infinitamente buono. Lascia che ti porti un esempio pratico: spesso, quando ci si trova a discutere con un credente dell’esistenza o meno di dio, questi ti porta ad esempio dei fenomeni al di là della comprensione umana. Fra i tanti si parla di indemoniati, gente come noi di cui il diavolo prende a prestito il corpo e ne fa ciò che vuole. Se dio è perfetto e onnipotente, gli chiedo, non può essere né uguale né, a maggior ragione, subordinato ad un’altra entità, come può dunque il demonio aver piena libertà di movimento nel nostro mondo; se pure si concedesse ad esso tale libertà, come giustificare l’inattività anche temporanea di dio di fronte a tale ingiusto esproprio: impotenza, disinteresse… ciò va contro la stessa definizione di divinità. Altro argomento prediletto di chi vuole dimostrare l’esistenza di dio è quello dei miracoli: spesso capita di assistere, attraverso i soliti mass-media (strumenti livellacoscienze di massa), a episodi di guarigioni “miracolose” o a fenomeni di lievitazione fra il quinto piano di un palazzo e il piano terra (scusa di nuovo l’ingenuità), mi chiedo allora su quali criteri dio poggia la sua macabra cernita fra chi è destinato a morire e chi invece merita di essere salvato (non credo di sconvolgere nessuno se affermo che sono più le persone che “se la cantano” in questo mondo di quelle che vengono miracolosamente salvate). Come giustificare azioni di tal genere da parte della divinità: incapacità di essere d’aiuto a tutti, nel caso dei salvataggi all’ultima ora (della serie: ormai sei spacciato)? Ciò equivarrebbe a dire che dio non è affatto onnipotente, oppure ognuno di noi sarebbe predestinato a svolgere un determinato ruolo, misero o eccellente che sia… ma anche in questo caso non si può affatto parlare di giustizia. Il credente non si sbilancia e passa all’asso nella manica, i miracoli più’ spiccioli, sangue che si liquefà o santini che si sciolgono in lacrime. A prescindere dal fatto che ci sarebbero cose più importanti da fare del commuovere la folla, rispondo io, supponendo che sia un fenomeno che serva a dio per dimostrarci che c’è e che è pure un bravo mago, non fu proprio Gesù a recitare la frase – Ma un dio che ha bisogno di dimostrare la sua potenza, che dio è – (più’ o meno dovrebbe suonare così).

Lasciamo che i santini piangano e assistiamo impotenti alla disperazione di tutta quella gente che muore di fame, nella peggiore delle ipotesi senza neanche un tetto, magari con una famiglia da mantenere, vittime di un mondo con certificato di garanzia per i potenti e successiva prole.

A tal punto ci sarebbe da chiedersi, volendo ancora credere alla presenza di dio, se, riferendo a dio il concetto di perfezione, non si dovessero modificare quei parametri secondo il quale lo intendiamo noi: in parole povere come se una mela, di fronte ad un essere alieno, non dovesse essere rotonda, rossa e gustosa (lo so, lo so che ci sono anche le mele gialle e quelle marce). Lascio a te giudicare se le limitazioni della nostra mente riguardo ai disegni divini non riguardino proprio la riflessione sopracitata.

Questo basterebbe per negare la presenza del dio-classico (perdona l’ennesima ingenuità). Conoscendoti tuttavia non mi risulta difficile anticiparti su di una logica osservazione che potresti propormi: e se dio non fosse buono, se avesse creato l’universo per poi abbandonarlo a sé stesso?

Certamente questa non è un’ipotesi da scartare… un dio, per passatempo, potrebbe fare qualche miracoluccio e nessuno potrebbe osare rimproverarlo per aver fatto troppo poco, immagino la sua risposta “Chi s’accontenta gode!”. Però nulla ci vieterebbe di porci una legittima domanda: dove sta? Degno di un poeta sarebbe immaginarsi che, andando a zonzo nello spazio infinito, d’un tratto ci si imbattesse in dio. E non si può certamente affermare l’esistenza di fantomatiche dimensioni parallele: su quali basi razionali si può affermare l’esistenza di un luogo diverso da quello in cui ci si trova, per quale motivo dovrebbe esistere, sovrapposto al nostro, un altro universo… ‘ste cose francamente le lascerei ad un scrittore di fantascienza.

  • Domanda banale: chi ha creato l’universo allora?
  • Risposta demolitiva: se neghi il nulla devi necessariamente ricorrere all’eternità della materia stessa.

Diciamo allora che l’universo, seppure in differenti forme, c’è sempre stato (almeno riferita a dio questa condizione è stata sempre ritenuta valida dai credenti).

Ed eccoci arrivati al punto cruciale.

  • Domanda: che ne sarà di me dopo la morte? Sarò divorata dai vermi.
  • Risposta scettica: Vuoi dire se esiste l’anima?! Dammene le prove e potrei anche crederci. Per quanto mi ci fossi impegnato, il giorno in cui è morta mia nonna, non ho visto alcuna forma salire dal suo petto, né ho udito alcuna arpa.

La scienza moderna è arrivata a dimostrare che persino le nostre emozioni, unitamente alla nostra personalità; il nostro essere uomini in quanto insieme di ricordi, derivano da procedimenti chimici nel cervello: la depressione nasce da un cattivo funzionamento di trasmissione fra i neuroni; la rabbia e la paura da ormoni che si scatenano sull’organismo producendo adrenalina con conseguente accelerazione del battito cardiaco; i ricordi sono come file di un computer che si depositano nella memoria Ram se recenti, sul disco fisso se lontani, sull’indice dello stesso se troppo lontani (in ogni caso nella macchina recuperabili col Microsoft Undelete, nell’uomo con una bella seduta ipnotica), come un computer va in corto, perdendo dati preziosi nella memoria o sul disco, così l’uomo nella sua vecchiaia (ecco spiegata la demenza senile), come le schede madri sono a volte difettose o lo diventano causando un cattivo funzionamento del Pc, così l’uomo che, a seguito di un incidente o sin dalla nascita, può manifestare vari “bug” denominati handicap.

Dopo la morte dunque, insieme al cervello, dovrebbe disperdersi nella terra anche il nostro essere, e mi pare piuttosto fantascientifica l’idea che la nostra anima possa essere la proiezione di sensazioni che nascono dal cervello, né che fosse stata già pre­programmata dalla nascita a contenere quei dati che il cervello avrebbe acquisito più tardi (torno a ricordare che l’uomo è tale solo in funzione dei suoi ricordi).

Non esiste dunque l’aldilà poiché non c’è nulla in noi che trascenda la nostra stessa fisicità, che possa sottrarsi al potere corrosivo del tempo.

Materia = essere (siano lodati i filosofi greci), non materia = non essere: il non essere appunto non è, pertanto solo l’essere esiste.

In precedenza avevo accennato al discorso sulla fede. Fede per definizione è credere in qualcosa senza avere alcuna prova tangibile che tale cosa esiste. Lascia che ti proponga un altro esempio pratico: tu stai qui vicino a me e d’un tratto ti giuro che ho come avuto la sensazione che una fottuta squadriglia aliena ha intenzione di invadere la terra. Non ho prove, ti chiedo dunque di avere fede in ciò che ti dico.

Credere in Dio per fede significherebbe dunque cestinare senza neanche leggerlo tutto ciò che qui sopra è stato scritto, tapparsi le orecchie e continuare a ripetere la frase: – io ho fede in dio, io ho fede in dio, tu puoi pure andare al diavolo…io ho fede in dio – e così via fino a quando non ti ritroveresti col culo per terra e un occhio nero.

Credere in dio per fede significherebbe dunque negare i miracoli e qualsiasi fenomeno che in qualche modo possa ricollegarsi a lui. C’è chi afferma che la fede sia la manifestazione più evidente della grazia di dio; a me pare che sia solo l’effetto più evidente dell’impossibilità dell’uomo di liberarsi da un’idea innata in sé. Il ragionamento secondo ragione ci porta dunque a negare l’esistenza di dio, quello secondo fede procede in senso inverso.

A te la scelta, mia cara amica.

Potrei consigliarti di optare per ciò che più ti fa comodo per la serenità interiore, personalmente il mio ateismo non contribuisce a rendermi più sereno, anzi mi fa più insicuro e pavido di fronte alla morte; tuttavia conoscendo la tua incapacità di voltare le spalle alla verità, se tale ragionamento ti ha convinto, saremo presto d’accordo.

Con affetto… Nicola

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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