Non avevo nessuna voglia di scrivere a proposito di questa stupida storia che, grazie ai soliti media “livella cervelli” di massa, sta facendo il giro del mondo. Poi ho pensato che avrei dovuto dire la mia, anzitutto perchè dopo averci scritto sopra un libro qualcuno potrebbe darmi più credibilità rispetto a qualche stupido idiota che scrive per Ansa e non si prende la briga di metterci un minimo di opinione.
Qualche giorno fa esce la notizia col titolo “‘Roger Waters glorifica nazismo’, polizia tedesca indaga”. Il modus operandi è sempre quello: un personaggio diventa scomodo, per qualsiasi motivo, ed il potente di turno sfrutta l’ignoranza delle masse per screditarlo. Fino ad ora, queste tattiche da mezze calzette le ho viste perlopiù in politica, solo che in un mondo dove tutti (e dico proprio tutti) sono arraffoni sociopatici, a chi importa se qualche stronzo che fa finta gli interessi il bene di noi cittadini spara merda su qualcuno come lui, che si scavino pure da soli le loro fosse piene dei reciproci escrementi. Riguardo Roger Waters e più in generale il messaggio di cui è permeato uno dei suoi lavori intellettualmente più elevato, The Wall, il discorso è però completamente diverso. Vale quindi la pena difenderlo nell’unico modo che conosco e cioè spiegando a grandi linee il significato artistico e culturale della sua opera.
Nei suoi spettacoli dal vivo, sin da quando The Wall è stato messo in scena, c’è un momento all’inizio del concerto dove il protagonista della storia si presenta al pubblico vestito da dittatore. Costui invita il suo pubblico a scoprire, “testuali parole”, chi si nasconde dietro quel travestimento, poiché evidentemente gli astanti non si aspettavano di trovarsi davanti una persona di siffatto aspetto. Da quel momento, l’autore inizia a raccontarci la sua storia partendo da quand’era solo un bambino costretto a crescere senza un padre, quest’ultimo deceduto sul campo di battaglia proprio in uno scontro coi nazisti, allo scopo di svelarci (e probabilmente chiarire anche a se stesso) le motivazioni che lo avevano portato ad assumere quella disdicevole forma che non era altro che il risultato di un lungo e prolungato isolamento emotivo e relazionale col prossimo, magnificamente rappresentato dalla metafora del muro. La narrazione prosegue lungo un percorso fatto di traumi repressi, ossessioni e fobie che porteranno il protagonista ad una condizione di ansia costante che tenterà di tamponare con le droghe, il sesso senza sentimenti, i beni materiali, distruggendo lentamente ogni relazione autentica, inclusa quella con la moglie: colpevole solo di essere la proiezione di una madre che aveva esercitato sul figlio un controllo eccessivo e che aveva instillato in lui la paura per il mondo; proprio come l’insegnante che tentava di omologarlo a dispetto delle sue qualità artistiche (che metteva in ridicolo davanti alla classe), fino alla desiderata e “comoda” insensibilità di Comfortably Numb, brano che musicalmente tutti conoscono ma di cui sono sicuro pochissimi abbiano indagato il significato.
Smettere di “sentire” comporta diverse conseguenze sulla psiche di una persona, ma quella più evidente è sicuramente l’incapacità di empatia nei confronti del prossimo, ed è proprio questo il momento in cui il dittatore emerge dal suo guscio, ed esattamente come tutti i dittatori egli odia non solo chi la pensa diversamente ma chi gli è dissimile persino nella forma. Il riferimento diretto è naturalmente ad Hitler che, dopo un’adolescenza ed una giovinezza segnata da traumi (leggete pure la sua biografia), decide di vendicarsi dell’umanità convincendo un intero popolo che la Germania potesse ritornare “grande” eliminando “rami secchi” ed ebrei, i primi perchè erano un peso per la società, i secondi perchè se la passavano meglio di tutti e quindi sarebbe stato più facile sterminarli senza suscitare nel popolo un sentimento di orrore (grazie soprattutto alle formidabile menzogne distribuite a piene mani dalla macchina di propaganda di Joseph Goebbels: uno storpio nell’anima come lo definì Thomas Mann).
Roger Waters sta forse glorificando il nazismo quando ci mostra un uomo vestito da ufficiale SS che imbraccia un mitra e fa finta di sparare sul suo pubblico. Certamente NO! Al contrario, l’autore dell’opera ci descrive chiaramente come il dittatore sia la parte folle della personalità di Pink mentre il suo vero io si trova rintanato all’interno del muro, alla ricerca disperata di uno spiraglio da cui uscirne perchè consapevole che non era certo quella la soluzione al dolore che provava. In Hey You, brano in cui viene riassunto in maniera chiara il pentimento del protagonista in merito alla decisione di chiudersi nel muro, egli reciterà alla fine “Together we stand, Divided We fall” ovverosia “Uniti resistiamo, divisi cadiamo” che non a caso ho scelto come titolo del mio libro e che è il messaggio fondamentale dell’intera opera. E’ piuttosto facile comprendere come separare le persone gli uni dagli altri sia lo strumento più utilizzato dal potere per controllare meglio i propri “sudditi” (divide ed impera recita il motto latino) poiché nel momento in cui si allontaniamo dal nostro prossimo, diventiamo più deboli e paurosi e di conseguenza più facili a cedere alle promesse “forti” di “veri” sociopatici che sfruttano le nostre piccole e spesso immotivate paure per acquisire potere e coinvolgerci nelle loro follie.
Ci tengo a ricordare che per quanto a noi italiani possa sembrare lontano il tempo del fascismo, tanto che inspiegabilmente alcuni continuano ad esaltare quel periodo, non dimentichiamo che gli spagnoli si sono liberati di Franco solo dopo la sua morte nel 1975 e, a parte qualche esaltato, i più ricordano bene le scelleratezze di cui si è macchiato ed il modo in cui la sua propaganda camuffava i gravi danni che ha fatto sia all’economia del paese che alle libertà dei suoi poveri cittadini; lo stesso si può dire del dittatore comunista Ceaușescu che “regnò” per più di 20 anni in Romania (fino al 1989) forzando un’industrializzazione che avrebbe impoverito tutto il paese, alla fine deposto e giustiziato da quegli stessi cittadini che credeva lo amassero. E questi sono solo tra i casi più eclatanti e vicini a noi, dalla lista escludo volutamente i dittatori in essere (inclusi quelli camuffati da democratici) e di tutti gli stati “lontani” dal nostro mondo anche per non togliervi il piacere di leggere il mio libro dove, per dovere di cronaca, ho ritenuto utile riportare anche i contenuti dei messaggi politici di Roger Waters. Tutto questo per aiutarvi a comprendere come le strategie dei dittatori siano sempre le stesse e siano in grado di attecchire in qualsiasi società e/o epoca storica.
In definitiva, Roger Waters sta forse sponsorizzando l’ideologia nazista nel vestirsi in quel modo?! Certo che NO! Né sta offendendo la memoria delle vittime dell’olocausto come sostiene parte della comunità ebraica (almeno secondo quanto riporta l’ANSA – vorrei sapere davvero di quale parte parlano). Al contrario, ci sta dicendo che se smettiamo di “sentire” diventiamo dei maledetti pazzi e che è davvero difficile tornare indietro quando abbiamo perso tutti quelli che ci amano. Per fortuna il vero io di Pink riuscirà ad emergere dal muro finendo per accettare un onesto e coraggioso “processo” dove la condanna del giudice sarà quella di abbattere il suo muro ed “esporsi” finalmente agli altri. L’epilogo, meraviglioso, è la consapevolezza acquisita che fuori da quel muro non c’erano più il suo insegnante che lo voleva omologare né il manager a cui fregava solo di vendere i biglietti dei suoi concerti, non c’era gente intenzionata a fargli del male a priori ma solo persone che gli volevano bene, magari a modo loro, come la madre vittima del suo lutto o la moglie che semplicemente non aveva avuto la forza di reagire all’anaffettività del compagno.
Per concludere, ritengo che tutta questa storia del “glorificare il nazismo” sia solo un balordo ed irritante tentativo di screditare il lavoro di un uomo che si è sempre battuto per i diritti dei più deboli, messo in atto con la convinzione che le persone siano troppe pigre per andare a leggere il significato di un’opera così complessa come The Wall che di sicuro non si esaurisce con l’ascolto di una sola canzone. Naturalmente, la complicità dei media che (voglio sperare in buona fede) si sono limitati a riportare la notizia senza aggiungere un minimo di “però guardate che forse è un malinteso”, si è rivelata determinante, proprio come quella di giornali e case cinematografiche che nel ventennio erano asservite alla propaganda del duce e come quello che sistematicamente accade oggi sui social dove votiamo il social presidente più spregiudicato, incantati da una massa di opinionisti manovrati ad arte che giustifica le guerre come mali necessari, condannando questo o quel popolo per assecondare la spietatezza di questo o di quell’altro.
Da parte mia, posso fare ben poco sulle grandi questioni mondiali, spero però di poter essere utile alla verità di questo particolare e spiacevole fatto che ha interessato la figura di Roger Waters e mi fermo qui… grazie per l’attenzione.
Se volete approfondire vi ricordo il link al mio libro.