Vecchia marmellata acida
potrei divorarti senza vomitare
e poi ficcarmi in gola
mezzo tubo di latte+
(quello degli sportivi
e non dei drughi)
per competere in inzuccheratissime leziosaggini
con te che ne sei maestro…
ma pretendo altro
sento caldo, qui, sopra le dune
dove abbiamo rotolato insieme
trascinandoci siringhe sporche di sangue
e cimici della sabbia in evidente stato di eccitamento
ho parlato alla luna, abbracciato a te
ma in un attimo mi hai guardato con paura
ed è stato un sogno baciato dalle spose del corallo
viscide creature dall’aria seria ed il portamento di un verme
hip hip, io non ho mai provato urrà
perchè è roba vecchia
buona a mantenere lo status quo
delle perfette trame del ragno
e tu, donna delle arti
conservami un pezzo del tuo cuore
lascivo circondo le mie notti
con la bava di una lumaca innamorata
per liberarmi infine
del tanto odiato stetoscopio
futile strumento di resurrezione
come la speranza
che si accende in uno scoglio zimbello del mare
sulla linea blu dell’inevitabile orizzonte
dove talmente forte batte il mio petto
da costringermi a scrivere: ti prego, posso
sentirti, vederti, abbracciarti, sognarti
e nell’incanto della fantasia tornare indietro
per sbattere sugli errori ed accorgermi
che tre denti sono saltati via
e respirando, la notte, capirò la ragione di quel soffio
è accaduto, ciò che doveva accadere
aspetto solo di svegliarmi e capire
che anch’io sto andando avanti
sopra ciottoli di fuoco e aghi di ferro
per una strada incerta con pensieri d’asfalto
chiodi e catene
ecco ciò che resta
quando la rabbia scompare
possiamo farlo insieme adesso
fissare quadri di vita alle pareti
ed imbrigliare i concetti per liberare l’amore
vecchia talpa che mi guardi di sottecchi
strappa con i tuoi artigli
la carne dal mio stomaco
perchè possa dire
di aver dato alla luce
un nuovo uomo cieco
amica mia, mi manchi
vorrei spiegarti
eppur temo l’etichetta
tanti i pensieri falsi
ma sono certo di sentirmi al sicuro
davanti alla carezza della tua comprensione
che sia dannato se riuscirò a perderti ancora;
volando sugli anfiteatri vuoti del nostro tempo
attraversando le scogliere della mia insicurezza
saprò cogliere la tristezza della luna
senza più incolparti del mio non essere adeguato
possa la notte portarmi sogni dorati
ove nessun tecnico monti la sua scatola
a ricordarmi di lei
e che quella malriuscita lavatrice
continui a lavare i panni sporchi altrove
perchè è un fantasma che sono
e nel sonno sentirai le catene urlare
dilaniate dai chiodi d’acciaio