Bruno, il pittore pazzo

20 Giugno 2002
3 minuti di lettura

Quando lo conobbi non posso certo dire di aver fatto un buon affare, l’alito gli puzzava di alcool e diceva cose strane riguardo la sua abilità nel dipingere: “Nicò, quando io pitturo” diceva, trascinando le parole e ondeggiando a destra e a sinistra, “Vedo cose che l’uomo normale non può neanche sperare di immaginare, per questo mi chiamano Bruno, il pittore pazzo, perché io vedo cose che esistono solo nella mente dei pazzi, tutti quei sogni strani che non riesci a ricordare perché impazziresti anche tu, ciò che è nascosto nelle profondità della mente umana”

So che gli artisti hanno qualcosa di strano e studiando i suoi quadri, che ad una prima occhiata sembrano macchie di colore sparse per la tela, senza criterio alcuno, ho cercato di scorgerne la natura. Di uno mi colpì la totale mancanza di percezioni spaziali fisse e costanti, la prospettiva era probabilmente una tecnica che disconosceva e quando gliene chiedevo la ragione sosteneva che l’arte non doveva copiare la realtà ma esserne il totale ribaltamento. La cornice del quadro era abbozzata alla meno peggio e la tela sulla quale aveva dipinto era in realtà una vecchia maglietta tagliata. Nel disegno figure stilizzate di uccelli: un corvo, un avvoltoio, un’aquila, un falco. Questi erano tutti sapientemente fusi in un’unica immagine: l’avvoltoio visto da un’altra angolazione sembrava un falco e poi un’aquila e così via. Arte moderna, ma per capirla devi prima capire gli autori.

Bruno veniva a trovarci regolarmente nel circolo dove di tanto in tanto ci riunivamo per ascoltare musica e fumare un po’ d’erba, abitava poco lontano e quando sentiva del baccano insolito, insomma quando sentiva musica alternativa lasciava la nonna a casa e veniva da noi. Da principio ci faceva piacere la sua compagnia, ci mancava una persona totalmente fuori delle convenzioni sociali. Del resto la sua intera vita sembrava la trama di un romanzo pulp, il padre non l’aveva mai conosciuto, la madre ubriacona era morta vomitando alcool, e adesso la nonna che, paralizzata e completamente abbrutita, gli consentiva con la pensione di vivere a patto che si curasse di lei. Lui: sposato e divorziato, con un bambino che non gli era permesso di vedere, 35 anni suonati ma l’aspetto di un 50enne.

Un giorno Bruno ci raggiunse al circolo in condizioni pietose, gli occhi fuori delle orbite e lo sguardo perso nel vuoto. “Bruno che hai fatto?” gli chiese Luca, e lui gli mostrò il braccio con un grosso livido viola all’altezza della vena, ottimisticamente si poteva anche credere che avesse fatto una donazione all’AVIS e che l’infermiera di turno avrebbe fatto meglio a cercare un posto in macelleria, ma quando aggiunse: “una bella pera, dritta qui” battendosi con il palmo sulla parte violacea, tutti scoprimmo che oltre ad ubriacarsi Bruno si faceva. Quella sera fece saltare i nervi a tutti quanti, portò una bottiglia di vino e volle a tutti i costi tenerla in mano, dopo qualche minuto era più il vino sparso in terra e sui tavoli di quello che restava da bere. Il primo a dirgli di andarsene fu Luca “Non vorrai farci cacciare?”. Lui si offese e cominciò a fissarlo con occhi da pazzo, poi fece per andarsene ma tornò subito sui suoi passi rovesciando altro vino in terra. A quel punto arrivai io e gli dissi di andarsene, ché era troppo sballato e non era in grado di stare con noi, gli dissi che doveva rispettarci come noi avevamo sempre rispettato lui e le sue stravaganze. Andò via e non lo rivedemmo per quasi un mese. Il giorno in cui tornò era lucidissimo, “Visto che adesso sono lucido” mi disse “io porto rispetto agli amici!”. Da quella volta Bruno non era più indisponente con noi, ma il suo sguardo era triste, assente. Nessuno di noi gli dava anche solo quel minimo di considerazione che spetta a qualunque essere umano. Ricordo il giorno in cui mi diede il suo crocifisso, un gesto di sincera amicizia. Io non lo volli, gli dissi che non significava niente per me, ché non ero religioso, che avevo in odio qualsiasi forma iconica che rappresentasse una fede per me irrazionale. Lui voleva che lo tenessi, e mentre lo diceva l’alito non gli puzzava di alcool, posso dirlo perché quando Bruno parlava seriamente ti si metteva di fronte ad un palmo dal naso, per evitare che ti distraessi fissando qualcos’altro, forse non erano molti che lo stavano a sentire con attenzione. Io, che ero un po’ sballato, con gesto di stizza lo presi e feci il gesto di sputargli contro, subito dopo lo posai sul portacenere e gli dissi “Se non te lo riprendi, lo lascio qui” ed imprecai. Forse aveva solo bisogno di considerazione, ed io riuscii solo a bestemmiare perché in testa avevo i cazzi miei cui pensare. Da quel giorno non rivedemmo più Bruno, dopo qualche mese andai da sua nonna, anche solo per assicurarmi che stesse bene. Una vicina mi fermò mentre bussavo all’uscio della vecchia casa “Se cerca la signora, è morta da qualche giorno”, disse, “l’hanno portata via con l’ambulanza, poveretta, così giovane!”. “Morta… e Bruno?” le chiesi io, “Bruno chi…” “Beh, il nipote, il pittore…!”. – Ah, l’assistente sociale… credo sia andato via -. Forse Bruno aveva vergogna di dire che accudiva la nonna, chissà quale disperazione albergava nel suo cuore e quanto sordo può essere il mondo, anche delle persone più profonde, alla disperazione altrui. Ancor oggi, studiando i quadri che mi regalava in cambio di uno spinello, mi chiedo: che fine avrà fatto quel povero pittore pazzo.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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