Allucinazioni

20 Novembre 1996
14 minuti di lettura

Le luci del cruscotto si illuminarono tutte come un albero di natale: – Ma… – dissi a Luca – che gli prende a questo catorcio adesso -. Luca mi fissò per un attimo, poi stette con lo sguardo sospeso in aria come a dover cogliere un suono, subito diede una rapida occhiata al cruscotto e disse: – Beh, a me pare che sia tutto normale! – – Ma come, non vedi che… – mi interruppi, le spie erano di nuovo spente – Mah, mi era sembrato che le spie si fossero accese -.

Sorvolai sul fatto e presto fummo a casa di Luisa e Francesca, mi diedi una rapida sistemata ai capelli aiutandomi con lo specchietto retrovisore – Ma che ti sistemi a fare i capelli – disse Luca ridendo – li puoi solo scombinare di più -. Io gli feci una smorfia, poi, ammiccando col capo, aprii lo sportello e fui subito fuori. Francesca mi guardava dalla finestra, dal basso le sussurrai – Ciao amore mio –.

– Cosa? – rispose lei. Evitai di ripetermi limitandomi solo ad un saluto con la mano. – Salite! – disse Luisa, nel frattempo si era accostata alla sorella. Ero già nel grande androne a pensare, pensavo a cosa aspettarmi da quell’invito a cena, pensavo alla mia vita con lei: disastrosa: mai un attimo di serenità, solo dolore e confusione. – E la chitarra? – mi gridò prima che salissi le scale – Già… la prendo subito –

Il grande portone si richiuse alle mie spalle, cominciai a salire i gradini pensando alla canzone che avrei suonato per prima, magari Canzone d’amore o Stairway to heaven: erano quelle che colpivano di più, quelle che, come diceva lei, le facevano diventare gli occhi a cuoricino. – Che buon odorino! – esclamai quando raggiunsi la stanza da pranzo – Cosa c’è per cena cara –.

Lei sorrise – Non hai ancora perso il vizio –

– No, francamente continuo a mangiare ancora – e lei ridendo – Mi riferivo al cara… –

Consumammo la deliziosa cenetta in breve tempo, poi Luisa tirò fuori due bottiglioni di vino dalla credenza, pian piano le mie aspettative cominciavano a delinearsi sempre più, in senso positivo naturalmente. Ci sistemammo tutti e quattro sul divano a guardare uno stupido gioco a quiz in tv, io guardavo Francesca, Luisa guardava Luca; poi Francesca cominciò a guardare me e Luca ricambiò gli sguardi di Luisa, insomma bastarono pochi minuti perchè nessuno guardasse più la televisione. – Posso usufruire del tuo vano servizi – dissi a Luisa, ma Luisa, impegnata com’era a guardare Luca, non mi rispose. Tacito assenso, pensai, e mi diressi verso il bagno. Il vino aveva già cominciato ad annebbiarmi i pensieri, credo abbia fatto lo stesso effetto anche a Francesca perchè mi seguì lasciando i due tra sorrisini e sguardi complici.

Tu che ne dici? – prima che varcassi la soglia Francesca mi prese per mano – Beh, dico che ti amo, come ho sempre fatto – le risposi – Ma no… come fai a fraintendere tutto, che ne dici di mia sorella e Luca. Secondo te può nascere qualcosa? – – Francamente mi sembra che sia un po’ presto per parlare di bambini, Luca è ancora disoccupato -. Francesca rise, rideva sempre alle mie battute sceme, diceva sempre che mi amava perché la facevo ridere, mi chiedevo se il suo ragazzo, quello cui ogni tanto metteva le corna, non fosse un comico di professione si, insomma, uno di quei comici che ti fanno mancare il respiro. Glielo avrei pure detto se non fosse stato per i suoi occhi, ogni volta che mi fermavo a fissarli per più di qualche minuto mi incantavano ma, come pietre preziose, sapevo che non avrei mai potuto permettermeli.

Appena tornammo dagli altri li trovammo a tubare come due piccioncini, risi forte e anche Luca rise non appena sentì ridere me. Luisa invece diventò rossa, Francesca si limitò a darmi un affettuoso scapaccione e la signora del telegiornale parlava di terremoto.

Avrei potuto rimandare le prove col gruppo quella sera, Vittorio, Salvo e Riccardo ci guardavano come se fossimo degli alieni, a Francesca poi Vittorio stava antipatico – Cerca sempre di sminuirti – mi diceva. Certo in quelle condizioni non ero in grado di azzeccare anche un solo accordo e, dopo il primo pezzo, mi alzai con la scusa di andare in bagno dirigendomi verso il muretto esterno del locale prove. Francesca mi seguì, lei però doveva davvero espletare il bisogno fisiologico, e per una donna non è certo come per un uomo. Dopo la prima curva il vicolo si chiudeva in una piccola piazzetta dove i gatti andavano a far festa la sera. – Fai attenzione che non venga nessuno – – Ho capito, ti do le spalle – ma questa non la capì perché non rise. Saranno svantaggiate dalla posizione ma almeno finiscono in fretta, le donne, quando si parla di bisogni, mi girai e lei si avvicinò sorridendo dolcemente – Guarda, sono ingrassata, non riesco a chiudere l’ultimo bottone – Le guardai il jeans all’altezza del cavallo, poi tornai a guardare lei, e i suoi occhi tornarono ad incantarmi. – Ti dispiace abbottonarmelo? – Non me lo feci certo ripetere e in un attimo fui vicinissimo a lei con lo sguardo fisso sul bottone. Prima che potessi fare qualsiasi cosa mi carezzò i capelli, sollevai lo sguardo e le mie labbra si incontrarono presto con le sue, la mano ancora sul bottone. La presi in braccio e continuai a baciarla ma persi l’equilibrio, presto ci ritrovammo in terra teneramente avvinghiati. Ogni tanto mi piaceva guardarla dritto negli occhi, sentire il sapore delle sue labbra: questo mi rendeva incredibilmente felice. Tornai a baciarla ma qualche minuto dopo ero privo di sensi, Francesca urlava – Ragazzi, ragazzi, Dennis sta male –

– Ma cosa ti è saltato in mente? – la mamma con la sua solita dolcezza mi carezzava il viso, papà invece borbottava con la consueta espressione in faccia da genitore deluso. Passato lo spavento mi avrebbe sicuramente detto – Pensassi a studiare invece di ubriacarti -. Caspita, avevo bevuto davvero troppo, ero rimasto svenuto per almeno un paio d’ore. Mamma mi baciò sulla fronte e chiuse la porta, mi appisolai subito.

– Dennis, telefono – sbadigliai precipitandomi a guardare la sveglia: le 8 del mattino. – Se è quello stronzo di Luca che vuole un passaggio per la cittadella lo uccido! – pensai mentre mi trascinavo al telefono. – Ciao Dennis, sai, mi hai fatto preoccupare l’altra sera – – Francesca! – esclamai riprendendomi quasi del tutto dello stordimento da “appena alzato”. – Sto andando a scuola, ti va di fare colazione insieme – – Ok, ti passo a prendere – – Meglio se ci vediamo direttamente di fronte alla scuola – stupido che ero, figuriamoci se i suoi l’avrebbero lasciata andare con il suo ex la mattina presto. Le dissi che stavo partendo di casa immediatamente, posata la cornetta mi vestii velocemente e in meno di dieci minuti fui di fronte la scuola. Francesca mi raggiunse alle spalle, poi mi tirò per la mano verso la villetta vicina. Presto trovammo il nostro angolino solitario, lei prendendomi entrambe le mani disse – Non sei un ripiego, volevo dirtelo ma mi sei svenuto davanti – la baciai e fin quando non suonò la campanella che invitava gli alunni ad entrare in classe non mi separai dalle sue labbra per un solo momento. – Ti amo – le dissi fissandola negli occhi – lo sai! – Lei non rispose, mi salutò con un bacio affettuoso e poi si diresse verso la scuola. – Quando conti di potermi dedicare un altro po’ di tempo – le gridai da lontano, lei rispose – Ti chiamo io! – poi scomparve dalla mia vista.

– Dimmi qualcosa – – Qualcosa! – ed entrambi ridemmo forte.

– Mi hai fatto prendere uno spavento incredibile, non devi più prendere trip se ti fanno questo effetto, mi senti, Dennis, mi senti? – – Certo che ti sento Luca, non gridare. Non so che mi ha preso, di solito lo controllo molto bene – – Di solito! Ci sono sempre le eccezioni con ‘ste porcherie – Il sole era appena spuntato e Luca teneva a stento gli occhi aperti, l’avevo tirato giù dal letto alle 3 di notte preda di una follia che solo un trip che ti “prende male” riesce a procurarti. Avevo sempre Francesca davanti agli occhi, avevo sempre i suoi occhi nella mia testa e volevo non dover esserne così schiavo, ho passato tutto il viaggio mentale con un desiderio struggente di averla per me, solo per me, e stavo impazzendo di dolore, ero disperato e tutte le allucinazioni di quella sera avevano lei come tema principale, lei e il suo amato Fabio che, tornato per natale da Bologna, se la spupazzava a dovere. Dio, il solo pensare che sfiorasse il suo corpo mi faceva impazzire, e davanti ai miei occhi si disegnavano scene di amplessi ai quali potevo solo assistere. Dio, se solo avessi immaginato che il ritorno con lei, seppure in via non ufficiale, mi avrebbe creato tutti questi problemi, avrei evitato accuratamente di concedergli tutti gli spazi che proprio in stati alterati di coscienza rievocavo con angoscia. – Come ti va con Luisa – domandai a Luca che, ancora mezzo addormentato, sbadigliava quasi ogni secondo. – Non lo so, sento che sta nascendo qualcosa di importante, è cominciato tutto per gioco ma adesso non riesco più a vedermi senza di lei – – E lei? – – Mi ha detto ti amo l’altra sera, Luisa che dice ti amo, non ti sembra assurdo – e ridacchiava passandosi le mani sui capelli. Passammo le ultime ore dell’alba a parlare di Luisa, io le ero davvero affezionato, era sempre stata la mia sorellina e sapere che aveva trovato qualcuno da amare mi faceva stare bene, di Luca poi potevo fidarmi, sapevo che era un ragazzo sensibile e onesto.

– Allora sig Carbone, mi parli di Hegel e della sua fenomenologia della spirito –. Vuoto di memoria, tabula rasa, non ricordavo nulla di ciò che avevo studiato negli ultimi mesi, eppure avevo lavorato sodo, fino al giorno prima avevo ripetuto tutto il programma fino alla nausea. – Mi spiace professore, ho avuto un improvviso vuoto di memoria – – Va bene, mi parli della volontà di Shopenhauer – Niente, ancora vuoto… il professore molto umanamente continuò a farmi domande ma era come se sconoscessi ogni cosa, ricordavo a malapena i nomi e nient’altro. Quando mi alzai dal tavolo mi venne incontro Luca – Dennis, che ti prende, hai buttato sangue per mesi sui testi di filosofia! –

– Non gli risposi uscendo dall’aula in fretta e, non appena fuori dalla facoltà, tirai una boccata d’ossigeno, poi cominciai a preoccuparmi: il cervello, qualcosa non va nel mio cervello; devo smetterla con le droghe, devo chiudere con l’alcool e devo piantarla di pensare sempre a Francesca. E mentre ripetevo a me stesso i buoni propositi ero già dentro il bar deciso a trangugiare il solito goccino di whisky che si è sempre rivelato il miglior rimedio al freddo delle gelide mattine invernali. Il prossimo esame sarebbe stato l’anno successivo e, come si dice, anno nuovo vita nuova, avrei mollato droghe e palliativi vari.

Agli amici mi è sempre parso giusto perdonare ogni cosa, persino le cattiverie che ogni tanto bisogna subire quando non si è capaci di elargirle. Luca non si faceva più sentire da quando aveva fatto quei discorsi sul miglioramento del rapporto con Luisa.

Classico, pensavo, la coppia nei primi momenti di vita ha bisogno di molta intimità e spesso si isola dal mondo perché il mondo non può capire l’immensità dell’amore che si sperimenta, o forse si isola semplicemente per poter fare all’amore ogni ora. Non riuscivo comunque a sentire rabbia e gelosia nei confronti dei due amici anche se in una volta sola li avevo persi entrambi.

Il sentirsi soli fa diventare di pessima compagnia, sembra quasi che si diventi acidi e pettegoli come le zitelle in cerca di un principe che sono convinte di non poter trovare mai in più, personalmente, mi capitava di perdere il dono della parola e dare così un impressione sprezzante e superiore alle persone che per caso o per bisogno mi trovavo a frequentare. Non ero mai stato tanto male e mi mancava tanto Francesca, pensavo a quando sarebbe partito Fabio, pensavo a quando lei mi avrebbe chiamato, pensavo che forse avrei dovuto essere io a chiamarla ma, no… non potevo, i suoi le avrebbero fatto il terzo grado. Avevo tanto bisogno di lei, o forse avevo semplicemente bisogno di un po’ di compagnia.

Sfoghi pittorici, si, mi pare che si chiamino così quelle macchie di colore che a volte i pittori riversano sulla tela per liberarsi della tensione ed esprimere al meglio la loro idea: le avevo sempre dinanzi agli occhi e mi riusciva persino difficile vedere la realtà che stava dietro quelle curiose girandole di luce. Non potevo andare dal medico, un’analisi approfondita avrebbe rivelato tracce di LSD nel mio fisico e chi glielo diceva ai miei. Diedi la colpa delle strane allucinazioni colorate all’abuso di droga rinnovando a me stesso la promessa che l’avrei fatta finita da subito ma, nonostante questo, la paura che il fenomeno non dipendesse dalla droga o dall’alcool non mi abbandonava per un istante..

L’ultimo giorno dell’anno arrivò presto e Luca si fece sentire giusto in prima mattinata: – Chi si risente?! – risposi acido – Dennis, cos’è, ti sei svegliato con la luna storta? –

– Ma figurati, sai che mi piace scherzare, soprattutto con chi molla gli amici quando non gli servono più –

– Ma Dennis – rispose confuso Luca – è passata poco più di una settimana dall’ultima volta che siamo usciti, e poi, beh, sai com’è… – . Già – risposi io – scusami, solo che dal giorno degli esami mi sembra sia passata un’infinità… maledetta insonnia! – – Parliamo di cose serie… ti va di passare l’ultimo dell’anno a casa di Sandro? Sandro, il cugino di Fabio, si insomma, il cugino del ragazzo di Francesca? – stetti per un attimo in silenzio, poi continuai – Perché no! E a voi va di festeggiare con un po’ di neve? – – E lo chiedi pure? Certo che ci va… sai dove procurarla? – – Nessun problema, voi pensate al fumo -. Riagganciai la cornetta per chiamare subito il mio spacciatore di fiducia. Pomeriggio avevo già la coca in saccoccia, almeno non avrei sofferto della presenza di Francesca quella sera. Tirammo in tre prima di arrivare alla festa, Saro doveva avercene data più di un grammo dato che in tutta la serata ne uscirono fuori 12 autostrade. Fabio era già perso più che mai quando entrammo in casa, Francesca gli stava seduta sopra le gambe e, non appena entrai, lui cominciò a baciarla sul collo. Miracolo della coca, non me ne importava nulla, sapevo però che il mio cervello avrebbe registrato il tutto a dovere e che tutto il fastidio e la gelosia che avrebbero dovuto travolgermi sul momento, si sarebbero concentrate in una volta sola non appena l’effetto sarebbe svanito ma, con una pista ogni tre ore, avrei raggiunto l’alba senza problemi e dopo una buona dormita, forse, avrei evitato gli effetti collaterali. Per tutta la prima serata suonai e cantai a squarciagola, mi parve di non sentire stanchezza, potevo continuare fino alla morte. Dopo la mezzanotte tutti si scambiarono gli auguri, solo io uscii fuori, non mi andava di sbaciucchiare quaranta persone di cui ne conoscevo a malapena un quarto. Luca e Luisa si erano appartati per conto loro qualche ora prima, non credo che anche a loro premesse granché lo scambio d’auguri.

Seduto sullo scalino fuori della porta mi fermai a guardare la luna: astro lucente gradito assai ai poeti. E mi sentii immerso nella più dolce delle poesie quando Francesca mi avvolse nel suo abbraccio dicendo semplicemente – Auguri -.

– E di che – le risposi io – di passare un altro anno del cazzo come l’ultimo -. Lei sbuffò per continuare subito dopo: – Guardati intorno…hai visto Laura come ti guarda, secondo me è cotta di te, perché non ci provi? – Stavolta fui io a sbuffare, poi mi divincolai dalla sua presa, mi voltai e, tenendole il viso fra le mani, le dissi – Questa luna, queste stelle, tutto questo mondo, niente ha un senso se non posso osservarlo con te al mio fianco. Forse ti è parso che non ci tenessi davvero quando Fabio ha cominciato a ronzarti intorno ed io facevo finta di niente, forse ti è parso che non abbia lottato perché il mio sentimento non era abbastanza profondo ma, dio mi fulmini se ti dico una cazzata, tutto il mio essere tende a te, ti amo più di qualsiasi altra cosa, ti amo al di sopra di ogni persona, tengo a te più che ad ogni mia passione. Ti amo Francesca… ti amo –subito mi ammutolii stupendomi di ciò che ero riuscito a dirle. Lei stette a guardarmi in silenzio con gli occhi che le luccicavano alla luce della luna, io che la fissavo non potevo far altro che sorriderle dolcemente. Poi una voce da dentro casa la invitò a tornare al suo posto, ed il suo posto era vicino a Fabio, si alzò – Sei fantastico –disse, poi mi baciò per un secondo sulle labbra lasciandomi solo. Ancora una volta sapevo che il “down” sarebbe stato devastante, probabilmente l’indomani avrei passato l’intera giornata col mal di stomaco. Cercai Luisa e Luca e, non appena riuscii a trovarli, tirai con forza un’altra pista. La serata poteva continuare così com’era cominciata; dopo la mezzanotte, e fino a che la luna non tramontò, non feci altro che fissarla, forse il modo peggiore di passare una serata “tirato”.

L’alba portò con sé tanta stanchezza e altrettanta paura. La coca era finita e adesso non restava altro da fare che aspettare il “down” che, puntuale, arrivò circa un’ora dopo aver preso sonno. Mi svegliai di soprassalto e fino a mezzogiorno non riuscii a dormire, piansi forte: per fortuna i miei erano sulle Madonie.

Da quel giorno non fui più lo stesso, i vuoti di memoria cominciarono ad essere sempre più invadenti e le macchie colorate davanti agli occhi non mancavano di coprire la realtà con una frequenza più che preoccupante.

Da un po’ di tempo non facevo più ridere Francesca, le persone mi evitavano come la peste, ero strano, ero diverso. Un giorno c’incontrammo in un negozio di dischi, lei mi si avvicinò per prima e mi baciò sulla guancia; le sussurrai: – Dimmi qualcosa di noi – e lei – Che cosa vuoi che ti dica, Fabio è troppo geloso ormai, mi controlla in continuazione ed io… – s’interruppe guardandosi intorno, la imbarazzava il mio sguardo, sapeva che era tutto per me, sapeva che quello che avrebbe detto successivamente mi avrebbe fatto male.

– Continua, sai che mi piace ascoltare la verità dalle persone… – – Beh, vedi… – i suoi toni tradivano un formidabile imbarazzo – Io non capisco cosa provo per te, ti sono molto legata ma con Fabio, 3 anni non sono pochi, qualcosa c’è, devi capirlo, insomma, non posso perderlo, devo per forza rinunciare a te, devo… scusami, ti prego, scusami – e si allontanò lasciandomi curvo e triste col CD di Mike Oldfield in mano. Piansi quasi subito e nel locale qualcuno ridacchiava.

I mesi volarono ma io pensavo a lei come sempre, Luisa e Luca pensavano a loro, insomma mancava chi pensasse a guardare la strada, difatti, come spesso accade in una via piena zeppa di fast food e bar, un’automobile stava preparandosi a voltare verso un parcheggio, io non vidi la freccia e non vidi la macchina davanti a me perché pensavo a lei, Luisa e Luca continuavano a pensare a loro, l’incidente fece sì che tutti venissimo portati alla realtà. L’urto fu violento, io sbattei la testa sul volante perdendo subito conoscenza, Luisa si ruppe qualche dente, e Luca si tagliò il labbro superiore in quello che si suole definire un bacio molto violento. Io mi risvegliai in ospedale, fortunatamente si trattava solo di un trauma cranico ma la TAC aveva svelato qualcos’altro: un tumore grosso come una noce proprio al centro del mio cervello…

…d’improvviso mi spiegai tutto.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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