Pink Floyd

1 Novembre 1994
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3 minuti di lettura

Wow, credo che non sia facile parlare di un gruppo che, per molti anni, ha fatto da colonna sonora, e non solo, alla mia vita. Per me parlare dei Pink Floyd equivarrebbe a parlare del primo amore o della prima canna, momenti della propria adolescenza che difficilmente si dimenticano. Il primo album dei Pink che comprai fu Atom Heart Mother, e lo feci all’età di 11 anni; beh, immaginate cosa mi prese quando ascoltai la monumentale suite del primo lato: niente di particolare fuorchè un senso di profondo smarrimento misto alla voglia di riportare l’album al titolare del negozio che me lo aveva consigliato (all’epoca tale Gianni Cabibbo). La mia timidezza comunque mi costrinse a tenere l’album, devo ringraziare fral’altro la mia cocciutaggine nel volermelo far piacere per forza: tanto lo ascoltai, tanto me ne innamorai, e da allora fino ad adesso non ho fatto altro che amarli. The wall ha rappresentato per molti anni il mio modo di vivere, pensare e sentire le cose… e non potrò mai dimenticare come mi sentivo quando ascoltavo One of my tunes e pensavo alla mia fallimentare situazione amorosa, o quando con Hey You mi sentivo davvero partecipe di quel senso di solitudine ed isolamento con quell’isolato sprizzo di speranza che descriveva Waters dentro il suo muro, o ancora Don’t Leave me now e Nobody Home: l’angoscia di essere abbandonati dalla propria donna perchè non si è riusciti a soddisfarla; Vera, con la quale maturavo già una coscienza sociale più reale di quella che mi propinava la TV; Confortably Numb: la ricerca della pura insensibilità; la voglia di spezzare tutti con Run like hell; il desiderio di rompere il muro che alimentava la mia incomunicabilità con The trial e Outside the wall. Vi basta dare un’occhiata a Improvvisazioni-Saga giovanile per capire quanto sia stato importante The wall per la mia crescita, insomma è stato molto più di un fottuto insegnante con la bacchetta in mano, molto più di un padre o di una madre così lontani dal tuo mondo da permettirsi di romperti la chitarra sulle spalle quando gli rispondevi male, molto più degli amici sempre pronti a tradirti quando una bella fichetta si ci metteva di mezzo. Naturalmente con gli anni ho scoperto anche gli album più ostici dei Pink: gli acidi The piper at the gates of dawn, A saucerful of secrets e Ummagumma mi hanno trascinato per lungo tempo in in un limbo surreale dal quale credevo non sarei più venuto fuori, Meddle e la bellissima Echoes, una psichedelia più costruita. The Dark side of the moon, forse il loro capolavoro assoluto, ha avuto il merito di spingermi a conoscere il loro tecnico del suono Alan Parson di cui ancora apprezzo ogni lavoro… tutto ciò che porta l’uomo alla follia, un bell’album, suonato egregiamente, con degli effetti sbalorditivi ma tuttavia freddo, già freddo (e scusate se bestemmio); mi ero abituato a dei concept più globali, ai tempi si sfornavano opere come Tommy e Quadrophenia degli Who, Ziggy Stardust di Bowie che altro non erano se non delle storie affascinanti portate in musica e, come nel caso di quelli menzionati, anche nel cinema. Beh, se devo essere sincero, ho sempre odiato Gilmour e il suo concetto di melodia… le più belle cose i Pink le hanno fatte sotto la direzione di Barrett e di Waters, e solo loro sono riusciti a farmi entrare dentro non solo parole o musica ma anche stati d’animo, emozioni, The Dark Side of the Moon mi sembra più un fritto misto di ritmi orecchiabili, le mie preferite sono On the run, Brain damage ed Any colour you like… le altre, a parte Eclipse che si può considerare il brano di chiusura, mi sanno tanto di “Questa deve piacervi per forza”. The Final Cut è stato l’ultimo album dei Pink per me, dopo inizia il declino Gilmouriano che etichetterà Ummagumma come spazzatura e pubblicherà roba come A Momentary Lapse of Reason, giusto per sottolineare il cambiamento di stile, e l’ultimo Division Bell fatto di testi scontati e melodie pessime. Forse sono così duro per via del fatto che i Pink sono stati troppo grandi, in fondo anche Alan Parson ha avuto una notevole caduta di stile dopo l’addio di Woolfson, è difficile accettare dei prodotti come Learning to Fly da chi un tempo ha prodotto pezzi come: Julia Dream o Corporal Clegg, per ricordare i vecchi Pink cui Gilmour dice di ispirarsi; Astronomy Domine (WOW) o le quattro parti di Sysyphus, The gunner dream e Shine On You Crazy Diamond dedicata all’impareggiabile Syd che con i suoi Opel, Barret e The Madcap Laughs continua a farmi sognare e tutti gli altri impareggiabili capolavori del mitico fenicottero rosa.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

2 Comments Leave a Reply

    • Penso che la magia del gruppo sia stata distrutta dai personalismi e dalle rivalità, i Pink Floyd erano impareggiabili perchè le qualità dei singoli si fondevano in un mix straordinario, quindi non serve dire chi fosse il maggior artefice o il meno impoprtate , rimane solo il fatto che si è rotto un bel giocattolo, del resto dopo The Final Cut lo stesso Waters cosa ha prodotto di memorabile?

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