Ancora un notevole spettacolo al teatro Ambasciatori di Catania, gustato in compagnia di Veronica per questa stagione 2010/2011 allo Stabile di Catania.
Aspettando Godot mi ha spiazzato, a momenti fortemente angosciato di fronte all’evidente nonsense della vita catturato magnificamente dalla performance teatrale della compagnia: Eros Pagni sempre grandissimo, che con voce grave interpreta la parte di Vladimiro (Didi); ho avuto la fortuna di vederlo qualche anno fa in Morte di un commesso viaggiatore: le sue interpretazioni hanno una carica emotiva superiore a quella di molti attori.
Senza con questo nulla togliere nulla ad Ugo Pagliai, nella parte di Estragone (Gogò), perfetto nella parte dello smemorato barbone, e di un eccezionale (nella follia del suo personaggio) Gianluca Gobbi nella parte di Pozzo.
Cosa mi ha lasciato questo spettacolo? Beh, l’attesa dei due disgraziati verso qualcosa che probabilmente non arriverà mai, mi ha ricordato la ricerca di Qualcosa che da giovane coltivavo con ardore e che oggi, trascorsi questi anni, si è trasformata in attesa inerte che il Qualcosa venga da me: non è questo in fondo l’atteggiamento dell’agnostico? Non sono io che ho rinunciato alla ricerca per l’inconoscibilità della realtà ultima di ogni cosa, del significato della mia vita?!
Didi e Gogò sono due uomini ormai vecchi, con l’animo grigio e con la sola speranza che presto o tardi, un giorno o l’altro, Godot si presenti sotto quel salice. Parlano di impiccarsi, ma hanno paura di farlo. E’ passato un giorno tra il primo e il secondo atto, o ne sono passati 300? Eppure Pozzo torna col suo Knuc oramai cieco, e Didi non si capacità di come neanche il suo amico ricordi che solo il giorno addietro era in perfetta forma.
Il salice che il giorno prima pareva morto, nel secondo atto mette delle foglie: impossibile in una notte. Una vita ad aspettare Godot, che forse è Dio, forse il destino, forse ancora la morte. E la tristezza di tutta la storia è che i due personaggi non fanno nulla, subiscono un destino che non sono in grado di mutare, così come Luky, un intellettuale capace di pensare solo quando ha in testa il suo cappello, e Pozzo che vuole liberarsi del suo schiavo ma che in fondo non riesce a vivere senza di lui, come testimoniato, nel secondo atto, dalla corda più corta con il quale lo assicura a sè stesso.
Ci sono momenti di follia pura, attimi di ilarità, immagini intense suggerite dall’ottima scenografia e dal gioco di luci, in questa tragicommedia che simboleggia la triste realtà della condizione umana.