Finale di partita

8 Maggio 2011
4 minuti di lettura

La domanda che mi sono fatto mentre guardavo Finale di partita di Beckett è stata: perchè ci stanno facendo questo, perchè rappresentare in maniera tanto estrema la condizione umana e perchè, nonostante il ritmo sia così piatto, mi riesce così difficile distogliere la mente dai loro discorsi, dalle folli abitudini che seppur rappresentate in un’unica giornata si capisce come possano essersi radicate in tempi davvero lunghi, tempi in cui Clov era solo un bambino e Hamm un avido pezzo di merda come ce ne sono tanti ai giorni nostri. Non conoscendo quest’opera di Beckett, la prima spiegazione che mi sono dato all’isolamento dei personaggi è che ci fosse stata un’apocalisse, che fuori la natura avesse cessato il suo corso di vita, unici superstiti Hamm e Clov, insieme ai genitori del primo, questi ultimi personaggi surreali nonchè rifiuti e per questo chiusi dentro bidoni dell’immondizia, tutti dentro quest’appartamento con un pavimento a scacchiera (si evince subito che il finale del titolo è riferito a quello di una partita a scacchi). Poi viene aperta una finestra, e si sentono grida felici di bambini e folla, ma Hamm non sente, il suo udito non funziona, e a quanto pare neanche quello di Clov, i due continuano a ripetere che il cielo è sempre grigio, che le maree non esistono più, che sotto il mare giacciono relitti di una civiltà ormai svanita.

Lo spettacolo finisce con il consueto rito degli applausi finali agli attori, meritatissimi perchè capaci di interpretare un’opera a mio parere difficile da portare sul palcoscenico, e mi è bastato guardarmi intorno un attimo per capirlo: dietro di me c’era gente che russava, la signora accanto si rifaceva il trucco ogni 20 minuti, rito suggellato dal clic dello specchietto che aumentava il mio senso di sconforto relativo al genere umano che già sul palcoscenico era abbondantemente trattato e sviscerato. Con Veronica affrettiamo il passo per raggiungere il più vicino chiosco. Non parliamo, il silenzio ci attanaglia l’anima, e solo dopo un pò ci rendiamo conto che il silenzio non è fuori, ma dentro di noi, perchè ancora portavamo il peso di quei due personaggi, perchè quando l’arte è degna di essere chiamata tale, ti lascia dentro le emozioni dell’autore, che sia un senso di gioia e di freschezza, o al contrario paura e disordine mentale.

MI sforzo di riflettere, cerco una spiegazione, abbozzo commenti dal punto di vista tecnico: certo, gli attori sono stati eccezionali, ma il ritmo non ti è sembrato un pò fiacco? Forse, risponde lei, ma… e non completa… scusami, riprende, sono un pò nel pallone. Capivo bene, lo ero anch’io. Stavamo soffrendo di quella perdita dell’udito che sia Hamm che Clov lamentavano per tutto il copione, qualcosa che non ha nulla a che vedere con un problema all’orecchio, ma piuttosto un atteggiamento nei confronti di ciò che è fuori da te. Stavamo ancora vivendo nella catastrofe immaginaria della storia, gli altri erano nemici, tutti quanti, persino il tizio che ci sfreccia accanto con la sua stupida automobile gridandoci contro qualcosa; hai sentito cos’ha detto? E come avrei potuto? E’ altra gente, un’altra lingua. Che senso ha avere orecchie per ascoltare chi è fuori da noi, a maggior ragione se ciò che ascoltiamo può ferirci e costringerci ad una reazione di cui inevitabilmente pentirci. E allora via l’udito, via il problema… e anzi, sai che ti dico, via anche la vista… in questo modo il mondo sarà fatto solo delle nostre personali emozioni, nulla potrà ucciderci o ferirti. E allora… dove sta il problema? Fuori c’è l’apocalisse, noi restiamo in casa e non rischieremo nulla. Da qui la riflessione sui piccoli riti quotidiani d’origine ossessivo compulsiva che assediano la vita di chi sceglie l’isolamento al confronto coi propri simili. L’attesa nevrotica del momento in cui prendere il calmante e di quello dello stimolante, come del Grande Fratello o delle ultime rivoluzioni nel fanta universo di Uomini e Donne, ma anche tutto l’uso che oggigiorno l’uomo moderno fa dei mezzi per l’intrattenimento: il cinema, la musica, le serie tv, internet, ognuna di queste arti è ormai ridotta a mero prodotto di consumo, escono 30 film al mese, così ce n’è uno al giorno per ciascuno, poi 1000 cd e 500.000 nuovi mp3, tanto è la stessa cosa, basta non rendersi conto del silenzio in cui ci troviamo, e ancora House, Fringe, Supernatural, 24 (citando le mie preferite) e poi Glee, Smallville, 100 vetrine, Beatiful… queste sono il calmante, arrivano e giorni ed ore predefinite… insomma… si conclude che tutto ciò che ci porta a chiudere il mondo fuori è solo l’incapacità individuale e soggettiva di fare entrare dentro quello vero perchè di imitazioni quasi perfette ce ne somministrano quasi ogni minuto.

In Aspettando Godot, dello stesso autore, tutta l’opera è pregna di speranza, speranza di un riscatto, di un’apparizione che forse non giungerà mai… qualcosa c’è, qualcosa per cui sperare ti rimane. In Finale di Partita sai che arriverà il momento dello scacco matto, sai che non c’è niente per cui sperare e che è troppo tardi per cambiare le cose.

Ringrazio Beckett e anche questo appuntamento dello Stabile gustato in compagnia di Veronica, perchè certe opere riescono a penetrare più a fondo di quanto non si possa immaginare e dal fondo, a volte, le stesse opere ti aiutano a portare in superficie quei meccanismi che sono in tutti noi, in altri ancora di più.  La conoscenza ci rende liberi, ed è in virtù di questo che non potrò mai fare a meno di ringraziare l’arte in ogni sua forma per avermi dato modo sempre ed in ogni momento di trovare in fondo al mio cuore le malattie più impensabili e, a volte, anche di guarirle.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

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