Anatheóresis parte 2: il sorriso di mamma

11 Maggio 2014
4 minuti di lettura

– Respira e chiudi gli occhi. Hai davanti un fortino, sai descrivermi com’è fatto?
Si, è davanti a me, sembra una fabbrica, ci sono due ciminiere che svettano alte nel cielo ed è costruito con dei mattoncini rossicci, come quelli romani.
– Guardati intorno, dimmi cosa vedi
C’è solo desolazione e silenzio, è un deserto, sembra esserci stata un’esplosione atomica, dubito ci sia qualcuno là dentro.
– Eppure se ti avvicini verso la porta c’è qualcuno lì a difenderla.
Si è vero, sono due guardie con delle lance alte ed armature medievali
– Avvicinati. Riesci a vederle, riconosci i loro volti?
No, sono due sconosciuti.
– Ecco, fai bene attenzione, conto fino a 3…. 1, 2, 3… ecco, adesso sono due persone che conosci, dimmi di chi si tratta
Due amici, due buoni amici. Mi guardano e sorridono, scherzano anche tra loro.
– Ecco, adesso vanno via, sei solo davanti alla porta del fortino. E’ chiusa?
Si… sto guardando i miei amici allontanarsi. No, aspetta, la porta è socchiusa.
– Bene, prova ad entrare e dimmi cosa vedi.
C’è un grande spazio, tipo un’arena di gladiatori, ma dentro non c’è nessuno… ah, ecco, scorgo una porta da rugby in fondo. Non sto molto bene, mi sento schiacciato al suolo, ho le braccia pesanti, e così le mani, il petto… Voglio andare via… posso?
– Ancora un momento, adesso ti trovi davanti ad XXX…
Si… ma continuo a non stare bene. Sarà colpa del suo solito sorriso.
– Come ti senti?
Ho ancora le braccia terribilmente pesanti, adesso si è aggiunto un forte peso allo stomaco.
– E’ sullo stomaco che senti questo dolore o da qualche altra parte?
Si… sullo stomaco ma… adesso che ci faccio caso, lo sento più insistente sulla fronte. Mi schiaccia e mi disorienta. Mi gira la testa, non sto bene, voglio andarmene, lei non può aiutarmi… non so neanche perchè sia sempre così disponibile, non ha una buona opinione di me, non mi accetterà mai per quello che sono, c’è sempre quel sorriso ed io rispondo con lo stesso sorriso, ci compiaciamo a vicenda, ci teniamo a far finta che tutto vada bene, ed io vorrei dirle qualcosa… non mi piace, voglio andare via.
– Per favore fermati un momento a sentire quello che provi, concentrati sul punto del tuo corpo dove il peso è maggiore, trattieni questa sensazione.
Si (apro per un attimo gli occhi)…
– Adesso conto fino a 3… 1, 2, 3… ecco, adesso hai circa 7-8 anni, e provi la medesima sensazione. Sai dirmi dove ti trovi?
… si, credo d’essere a casa mia.
– C’è qualcuno intorno a te?
Si, c’è mamma in cucina che prepara da mangiare e papà che guarda la televisione, legge anche un giornale… un pò l’una e un pò l’altro.
– Come ti senti?
Sto meglio ma… c’è qualcosa che mi schiaccia sul pavimento. Sono seduto accanto alla sedia di papà, nell’angolo dove c’è il termosifone, ho vicino il balcone e fuori il cielo è grigio.
– Riesci a capire cosa sta schiacciandoti.
Si… le vedo, sono diverse braccia; dalle maniche nere delle giacche escono fuori i polsini di una camicia bianca… mi sfiora, è seta!
– Di chi sono quelle braccia?
Non lo so… ne vedo tante ma… aspetta, in realtà è il braccio sinistro di papà. Con una mano tiene il giornale e con l’altra mi schiaccia sul pavimento.
– Perchè lo sta facendo?
Lo disturbo, vuole vedere la partita e leggere il giornale. Così può dirmi di stare fermo senza alzare la voce, perchè la mamma potrebbe seccarsi.
– Prova a liberarti. Ti viene facile?
Si… allontano il braccio di papà… ho davanti un foglio bianco ed in mano dei pastelli colorati.
– Stai disegnando qualcosa?
Si… faccio dei disegni, ma sono scarabocchi, a papà non piacciono.
– A papà non interessano i tuoi disegni.
No, a lui interessa la partita, non li guarda neanche… ma sono io che non glieli faccio vedere.
– E invece a mamma li fai vedere?
Si… aspetta, la raggiungo in cucina. Ecco… glieli sto facendo vedere. Lei dice che sono bravissimo
– Ah si? La stai guardando adesso?
Si… sorride.

Ho le mani doloranti, le sto guardando, trattengono il mio corpo sospeso. Sono al parco ed oscillo in avanti appeso ad una sbarra di ferro.
– Cosa vedi?
Guardo le punte delle mie scarpe ma sta arrivando qualcosa dal cielo. E’ un aeroplano. Si avvicina… (rido)
– Riesci a vedere chi guida l’aeroplano?
Si, c’è Mutley dentro, ridacchia al suo solito modo. Adesso sto scendendo da una scala di corda. C’è una bambina bionda che mi aspetta ma non riesco a vederla in viso. Aspetta, è  mia sorella…
– Siete sempre al parco?
Credo di si, comunque stiamo andando insieme verso un boschetto. Che strano, è tutto a misura di bambino, gli alberi sul prato sono bassi. Siamo sdraiati sull’erba e ci teniamo per mano.
– Come ti senti?
Mi appendo di nuovo alla sbarra… adesso è più alto… sotto c’è il corso di un fiume secco scavato sulla montagna. Le mani tornano doloranti.
– Ti ricordi se in passato hai provato una sensazione simile?
Si… sono ancora piccolo
– Sai quanti anni hai?
6-7 anni… sono in mare. Dei bambini cercano di annegarmi. Mamma e papà non se ne accorgono, sono lì davanti a me con l’ombrellone ma non vedono. Mi libero, ne afferro uno per la gola. Scappa piangendo. Sono triste, mi sento solo. Ho il capo chino e gli occhi semi chiusi.
– Torna ai tuoi 3-4 anni con la stessa sensazione
Si… sono seduto sulla lavatrice del doppio servizio. Mi sento solo… non c’è nessuno. Piango disperatamente. Arriva la mamma… mi prende in braccio, sorride sono felice. Ma ho ancora quella sensazione del fortino. Mi sento premere sulla fronte.
– Ferma quella sensazione. Cosa ti preme sulla fronte.
Sono nella pancia della mamma, sono stretto.
– Cosa fa mamma. Guarda dai suoi occhi
Sta guardando fuori dalla finestra. Hanno appena buttato giù una vecchia casa. E’ stanca… appesantita da me. Mi dispiace. Mi fa sentire triste. Adesso la libero… esco fuori. Mi faccio strada con le mani. C’è una luce bianca… è tutto bianco… sono fuori, in mano a delle infermiere. Ma non sono un bel bambino, sono una specie di verme, anzi no… uno di quei bruchi che si fanno a palla quando li tocchi. Mamma è lì… è sofferente… papà la conforta. Non mi guardano, sono io che l’ho fatta star male. Mi sento triste.
– Ecco adesso ti stanno portando da mamma.
(Rido)… si, sono sul suo petto. Mi sorride… è felice, è felicissima.
– E tu?
Io sto benissimo, adesso sono felice. Non mi sento più solo. Sono qui con la mia mamma. Ecco, sto anche bevendo il suo latte… sono tanti soldati che mi entrano dentro ed uccidono i vermi che ho nello stomaco
– Hai i vermi nello stomaco?
Si… sono lì che annegano nel latte.
– Stai bene con mamma.
Si… lei sorride
– Allora stai ancora un pò con la mamma e, quando ti va, apri pure gli occhi.

Nicola Randone, alias Art, è Scrittore, musicista compositore, leader della band Randone con all'attivo 7 cd ed 1 dvd LIVE sotto edizione discografica Electromantic Music. Qui pone frammenti di vita, espressioni dell'anima, lamenti del cuore ed improbabili farneticazioni intellettuali.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Articolo precedente

Mataderos

Prossimo articolo

Ground control to major Tom

Le ultime da Storie

La grande ora di Amok

di franc’O’brain Da quanto tempo sono chiuso nell’armadio? Sette, otto minuti… Si direbbe un’eternità. E Amok là fuori che continua a pazzeggiare.

Se la trota avesse gambe

di franc’O’brain Ma, all’improvviso, un orrendo sgomento la prese dell’odioso Ade. Rimase incerta per lungo tempo, e a lei tutte le care

Fausta

di franc’O’brain «È stata lei! Io sono innocente!» L’indiziato esordì così. «Sì, sì…» Il sergente ridacchiò. Poi disse agli altri: «Accomodatevi. Lei

Black queen

di franc’O’brain Stavo viaggiando sull’autostrada Roma-Berlino quando, non distante dall’uscita per Bucarest, la scorsi: una stupenda donna di colore che camminava accanto
TornaSu